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aprile/2002 - Interviste
Usura
Una esperienza significativa
di Gianclaudio Vianzone

È quella di Torino degli Anni Novanta, quando in questura fu creata una Squadra Operativa di Polizia giudiziaria, finalizzata alle indagini sugli “strozzini”. Quella struttura - oggi abolita - operò uno dei primi sequestri di beni appartenuti ad uno dei duecento usurai individuati

In questi anni, i mezzi d’informazione hanno ampiamente denunciato quanto grave sia sulla società contemporanea nazionale il fenomeno dell’usura. In poco più di un decennio si è visto fiorire un ampio fronte assistenzial-culturale che, componendosi di fondazioni, commissioni e quant’altro immaginabile, ha tentato di arginare il fenomeno. Il problema però rimane immutato perché a tutt’oggi gli interventi sono mirati essenzialmente alle conseguenze del fenomeno nell’ambito della vittimologia e totalmente trascurato - o marginalmente curato - è l’agire sulla causa. Non nel senso socio-economico del termine, che pure nelle sue implicazioni per le dinamiche della criminalità insita fisiologicamente nel sistema economico capitalistico varrebbe la pena considerare, ma nel rapporto fra giurisprudenza vigente ed operatività delle Forze di polizia.
L’usura è un fenomeno che proprio per la sua particolare articolazione e la sua compenetrazione nel tessuto sociale, trova nella scarsa punibilità un elemento fondamentale di sopravvivenza.
L’approccio tipico per le indagini di urusa è la denuncia di una vittima o il fatto che tale reato sia inserito in altre più redditizie figure di reato (normalmente collegate alla criminalità organizzata tradizionale ma anche dei cosiddetti “colletti bianchi”) sulle quali già si indaga. Ciò perché, nonostante il notevole allarme sociale - più d’immagine che sostanziale - l’usura è un reato che a fonte di pene irrisorie, richiede un’articolazione d’indagine che male si concilia come le innumerevoli incombenze cui devono fare fronte i vari organi di Polizia usualmente delegati ad occuparsi di tale materia (Squadre Mobili e di Polizia giudiziaria per la Polizia di Stato, Nuclei Operativi dell’Arma e Guardia di Finanza).
Pertanto il già richiamato metodo d’approccio, consente, sulla base della perquisizione della casa o degli uffici dello strozzino (presso uffici di finanziamenti o di promozione finanziaria, di acquisire il materiale che suffraga la denuncia della vittima e che pertanto soddisfa l’esigenza di portare in giudizio il responsabile del reato.
Si creano così centinaia di procedimenti penali che intaccano questo o quell’usuraio, soddisfacendo la vittima denunciante e qualche altra per la quale si siano trovati riscontri analoghi. Ma non si incide efficacemente sul fenomeno usuraio che martoria alle fondamenta la società civile. Ciò perché:
molti usurai si conoscono fra loro e - magari solo saltuariamente - collaborano per qualche cliente, creando così una rete strutturata fra elementi comunque svincolati gli uni dagli altri;
molti usurai già denunciati vengono considerati come recidivi ma non si analizza e non si interviene sul territorio o nell’ambiente in cui operano continuamente al fine di annullare il “terreno di coltura” sul quale fiorisce la loro attività;
molti usurai - in nome di semplice confidenza “amichevole” - godono della stima e della “collaborazione” di qualche bancario, che si prodiga ad indirizzare loro i clienti che non riescono più a far fronte agli oneri bancari e che sinché non viene indagato tende a farli apparire come dei “benefattori”.
È chiaro che un fenomeno così strutturato (e qui si fa appena accenno a come sia complicato) chiederebbe un impegno costante e qualificato da parte delle Forze di polizia, cosa attualmente non ipotizzabile per la sconvenienza fra costo e beneficio, secondo i criteri vigenti.
Questo però non significa che sia impossibile a pensarsi e ad attuarsi.
Infatti c’è stata una significativa esperienza nei primi anni ’90 a Torino, quando grazie all’intraprendenza di alcuni poliziotti, alla voglia di emergere del loro dirigente ed a un questore altrettanto motivato, si creò presso la Divisione Polizia anticrimine una Squadra Operativa di Polizia giudiziaria che interagiva strettamente con l’Ufficio Misure Prevenzione.
Proprio in virtù della nuova normativa sui sequestri patrimoniali connessi alle misure di prevenzione, quel piccolo pool - un funzionario, due ispettori e tre assistenti - effettuò a carico di un usuraio uno fra i primi sequestri record: beni per circa 8 miliardi di lire.
Nel giro di circa tre anni, quella “squadretta” riuscì non solo ad effettuare indagini così dettagliate da riscontrare il plauso della magistratura, ma ad individuare tramite gli archivi circa duecento nominativi di usurai, per la gran parte dei quali era attuale e praticamente certa l’attività illecita del prestito di denaro “a strozzo” sui quali lavorare, ed a concludere almeno un paio di altre brillanti operazioni analoghe.
Dopo il primo caso (per il quale le indagini erano durate circa un anno e mezzo) però il cambio del questore, del dirigente e qualche “lamentela” da parte di alcuni colleghi della Squadra Mobile, costrinsero la “squadretta” ad interagire con quest’ultimo ufficio e quindi a sacrificare parte della peculiarità assunta in nome dell’usuale operatività sino ad allora attuata da coloro che si ritenevano depositari assoluti del diritto di intervenire su tale fenomeno delittuoso.
I cittadini, vittime dell’usura, che durante quei tre anni di attività avevano avuto modo di entrare in contatto con quei pochi poliziotti che con sincera passione avevano affrontato la materia - non senza riceverne minacce di vita - avevano sperimentato un modo nuovo di rapportarsi con il proprio grave problema e contemporaneamente con la Polizia. Le vittime venivano infatti avvicinate in modo delicatamente riservato solo dopo aver acquisito certi ed oggettivati elementi di implicazione nel meccanismo usurario e portati, mediante un dialogo improntato alla rassicurazione ed all’informazione (effettuata anche con gli opuscoli sociali diffusi dalle associazioni), alla collaborazione.
L’ispettore superiore sostituto ufficiale di pubblica sicurezza Vincenzo Saponara, allora coordinatore della “squadretta” e divenutone vero e proprio responsabile, a circa metà attività, dopo l’allontanamento del funzionario, ricorda: “L’esperienza professionale di quegli anni aveva consentito ai componenti della Squadra di maturare una profonda conoscenza del fenomeno usura in tutti i suoi risvolti. L’approccio investigativo, al di fuori degli schemi consueti di indagine, aveva infatti consentito di monitorare il fenomeno soprattutto in relazione al suo impatto socio-economico. Ci si era preoccupati, in questo senso, anche attraverso specifici contatti con le associazioni dei consumatori e professori universitari impegnati nel settore di elaborare delle tipologie sulle vittime dell’usura che dovevano poi servire per scopi diversi da quelli prettamente giudiziari”.
Mi viene allora spontaneo chiedergli: sulla base dell’esperienza vissuta come ritiene che si potrebbe stimolare chi legifera ad intervenire nel settore?
“Alla luce della mia piccola esperienza posso dire che risulta di fondamentale importanza una legislazione mirata e regolamentare e porre sotto stretto controllo l’attività di tutte quelle pseudo finanziarie che operano nel settore e che attraverso un’attività di intermediazione sempre poco chiara, traghettano le persone dal mercato legale a quello illegale. Ogni altro intervento rivolto per esempio a rendere meno difficile accedere ai finanziamenti bancari sarebbe sicuramente utile a diminuire il fenomeno. La trasparenza dei funzionari di banca sarebbe poi un requisito fondamentale. Chiaramente questo ragionamento non è proponibile nelle zone dove la criminalità organizzata controlla il territorio e dove il percorso che porta all’usuraio è del tutto diverso”.
Esperienza di vita e professionale dimostrano come il senso della realtà sia più marcato in questo operatore della Polizia di Stato che in tanti soggetti che della materia si occupano.
Ma già tale maturità si denotava nella guida che aveva della “squadretta”. Infatti l’integrazione delle numerose testimonianze assunte, unite all’abbondante e dettagliatissimo riscontro investigativo e patrimoniale, portava ad un’imputazione senza scampo. Quasi a ricordare il modo in cui nel film “Gli intoccabili” gli inquirenti incastrarono Al Capone. Ma quello era un film, la “squadretta” no e qualcuno avrà pensato che non era il caso di scimmiottare gli americani!
Di lì a pochi mesi la “squadretta” fu sciolta ed i suoi componenti tutti “promossi” a più qualificati incarichi.
Per quello che frutta l’arresto degli usurai, far loro una perquisizione, trovare qualche cambiale e perseguirli sulla base di tale materiale, è già sufficiente.
Ad oggi, la situazione è nuovamente quella che vige in tutto il Paese e tranne quella parentesi, nulla scuote l’immenso reticolato degli usurai.

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