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aprile/2002 - Interviste
Pubblicazioni
Il ventre molle di Napoli
di Ella Baffoni

Eleonora Puntillo, giornalista napoletana e nostra collaboratrice, in un suo recente libro, narra le vicende del sottosuolo partenopeo: non è una questione di “fragilità” ma la conseguenza di interessi diversi, di avidità, di insipienza, di superficialità

Ricorda con rabbia, Eleonora Puntillo, nel suo libro "Le catastrofi innaturali" (Tullio Pironti editore, 11,36 euro, 190 pagg.). Con rabbia racconta perché le voragini che improvvisamente ingoiano, a Napoli, case e uomini, non siano un evento imprevedibile, ma le conseguenze di un dissennato abuso del suolo. Con rabbia, perché tutti sanno, anche se la voragine della rimozione collettiva ingoia anche le conoscenze.
Eleonora Puntillo non è una geologa. Giornalista all'Unità fa un'inchiesta sul ventre di Napoli, il suo sottosuolo così apparentemente fragile. E scopre che non è questione di fragilità. E' invece una congiura di interessi diversi, di avidità, insipienze e superficialità. Tutto cominciò nel 1926, con la costituzione della "grande Napoli", quando l'inglobamento di otto popolosi comuni della cintura periferica (tra cui san Giovanni a Teduccio, Barra, Ponticelli, Secondigliano, Miano, Soccavo, Pianura) portò l'allaccio alle fogne comunali di un enorme flusso di acque reflue. E il sistema fognario, la cui costruzione era iniziata nell’ottocento, ed era studiata e copiata dalle grandi capitali d’Europa, è tracollato. Da allora, a ogni temporale si rischiano allagamenti e frane. Un rischio che la speculazione del dopoguerra non ha fatto che ampliare. Lo documenta puntigliosamente, Eleonora Puntillo. Nonostante le battaglie dei cittadini, le concessioni edilizie e i nulla osta arrivano miracolosamente, le lottizzazioni delle colline verdi aumentano, le zone verdi del piano regolatore cambiano misteriosamente colore - miracolo comune a molte città italiane, tanto più se in odore di criminalità organizzata - aumentano vertiginosamente gli insediamenti umani e le loro acque reflue, si impermeabilizza il terreno. I tecnici? Eccetto qualche rara - e zittita - eccezione, ingegneri, geologi, architetti sostengono che i rischi sono remoti, improbabili, esagerati. E giù con il cemento.
Invece no. L'enorme pressione nelle fogne, costruite perché l'acqua vi corra senza lambirne nemmeno le volte, le fa esplodere: dalle crepe s'infiltra la terra che viene trascinata via, e pioggia dopo pioggia sotto l'asfalto o il basolato si crea una voragine, pronta a franare alla minima sollecitazione.
Ma quale fatalità, destino, malocchio; le strade si crepano, poi sprofondano e tutti giù a piangere, salvo poi, quando si arriva in tribunale, accusare le vittime di irresponsabilità. E' la storia di Alfredo Cerrato, la cui casa era stata lambita da un torrente d'acqua il 18 settembre del '69. Diede l'allarme ai vigili del fuoco, chiamò il comune, parlò con gli ingegneri dell’ufficio tecnico, ancora i pompieri. Dopo due giorni di allarmi continui e di risposte rassicuranti, mentre mostrava ai vigili del fuoco il punto più critico della strada davanti a casa sua, fu ingoiato da un baratro, aperto all'improvviso sotto i suoi piedi: il corpo verrà trovato solo quattro giorni più tardi, a 15 metri di profondità.
E’ l'occasione giusta per fare un processo alla città, alla sua crescita convulsa e speculativa, alla trasformazione del suo sistema fognario - fiore all’ochiello d'Europa, nell'800 - in una bomba a orologeria? Macché. Nonostante le perizie, le denuncie, le inchieste giornalistiche, la sentenza addossa a Alfredo Cerrato ogni responsabilità: al momento del disastro aveva superato le transenne di protezione del buco sull'asfalto e "se avesse davvero avuto sentore di una catastrofe imminente si sarebbe dovuto allontanare il più possibile dal luogo invece di superare le transenne per controllare lo stato del buco con un operaio, il che certamente non rientrava nelle sue competenze e nel suo diritto, e non è da escludere forse che il suo peso possa aver contribuito a determinare l'evento...". Se avesse tirato a campare, è la morale, forse sarebbe ancora vivo.
Molti hanno tirato a campare a Napoli. Non è che manchino studi, libri bianchi, denuncie, analisi. Manca la volontà (e i miliardi) di mettere mano a un nuovo sistema fognario. E quella di fermare la speculazione edilizia, che ha martoriato la città cancellandone pregi e bellezze. Fabrizia Remondino in "Un giorno e mezzo" (Einaudi) racconta con malinconica vividezza la trasformazione di una villa nobiliare: "Quando la proprietà era stata divisa i furbi, fingendo di sacrificare il proprio attaccamento alla casa avita, avevano chiesto solo la terra, lasciando agli altri parenti la villa. Ma la terra, che al momento della successione pareva valere poco, era stata venduta a peso d'oro ai costruttori e i furbi, si era scoperto, avevano firmato i contratti in anticipo... Le case mangiavano la terra e questo accadeva dovunque, lo si vedeva bene lì dall'alto, persino le pendici del Vesuvio diventavano bianche di case".
Il rischio idrogeologico è enorme, per colpa delle "assurde modalità dello sviluppo urbano" scrive Antonio Baldo in "Napoli geologica" Tempolungo edizioni. Alle incontrollate e vistose manipolazioni del sottosuolo in un terreno geologicamente molto giovane - le cave, gli sventramenti, la copertura dei torrenti - si è aggiunto, scrive Baldo "un vero e proprio saccheggio, aggravato negli ultimi decenni dal fenomeno dell'urbanizzazione abusiva. I suoli sono stati impermeabilizzati dalla cementificazione, le fogne sono state sovraccaricate dagli scarichi dei nuovi insediamenti e dalla maggiore quantità delle acque di corrivazione, i versanti sono stati sventrati per creare aree di sedime, le linee di impluvio sono state ostruite. Si è fatto di tutto per creare aree di instabilità laddove naturalmente non vi sarebbero stati particolari problemi. Siamo arrivati al punto che quando avviene un disastro il tecnico accorto non si chiede perchè sia avvenuto, ma perché non sia avvenuto prima".
"Due milioni di metri cubi di edilizia residenziale - enumenta Eleonora Puntillo - autorizzati senza obbligo di urbanizzazione primaria e secondaria in epoca laurina; altri undici milioni autorizzati (con le stesse condizioni di sfacciato osceno favore ai costruttori) dai commissari straordinari Correra e D'Aiuto che governarono Napoli per conto della Dc dopo il laurismo; quindi con il centro sinistra anni '70 ancora altrettanti (o forse più) milioni di metri cubi, tra autorizzati (le licenze dell’agosto '68) e abusivi, apertamente tollerati e favoriti, poi legalizzati dal condono. Il tutto, è il caso di ripeterlo, senza obbligo di fogne e strade (e neanche di lasciar spazio per queste ultime né qualche metro per il verde pubblico dove far giocare i bambini, e tanto meno per una piazza)".
Ecco i colpevoli. Gli speculatori e chi gli ha retto bordone, come non si sapesse che una città è un organismo complesso, che le leggi ambientali – altro che lacci e lacciuoli – spesso proteggono l’incolumità e la salute dei cittadini, che il profitto non è l'unico motore del cambiamento.
A Napoli se le case mangiano la terra, la terra poi si vendica e ingoia le case. Una fatalità evitabile, una tragedia annunciata. Favorita dall'insofferenza per le regole - stupida, ma così comune di questi tempi, e non solo a Napoli - dalla cieca avidità, dall'ignoranza dei cosiddetti "imprenditori". E dalla doppiezza, dall'inettitudine, dall'incompetenza e dalla corruzione di chi dovrebbe controllare. Chi lo fa davvero passa per puntiglioso e uggioso cacadubbi, esagitato fondamentalista, retrogrado ostacolo alla modernità. E intanto a ogni temporale, a Napoli l'acqua scava, scava, scava...

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