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aprile/2002 - Interviste
Cogne
Quando la mente è colta da raptus
di Marco Cannavicci

Abbiamo alle spalle quasi un secolo di studi e di ricerche schientifiche sul cervello umano. Ma effettivamente sappiamo davvero molto poco. Si può uccidere un figlio e perché?

Una delle metafore più efficaci sulla vita emotiva è quella che paragona la mente umana ad una pentola a pressione. Le emozioni rappresentano una incessante spinta ad agire che continuamente la mente della persona deve controllare ed arginare per renderla compatibile con le regole del vivere sociale. Così come la pentola a pressione con l’aumento progressivo ed incessante della temperatura, senza valvole di sfogo, prima o poi esploderà, anche la mente umana con l’aumento progressivo ed incessante delle emozioni, senza valvole di sfogo, prima o poi esploderà. Le esplosioni emotive della mente si chiamano raptus e rappresentano la liberazione e lo sfogo violento, incontrollato ed irrazionale delle emozioni e delle frustrazioni represse. Sotto l’effetto di un raptus si inveisce, si rovesciano tavoli, si lanciano oggetti, si distrugge, si uccide.
Il raptus non è un atto premeditato, non è organizzato, non prevede una partecipazione razionale e cosciente della mente. Di tutto quello che si commette sotto l’effetto di un raptus emotivo la mente può non ricordare nulla per giorni e giorni. La persona stessa che ha commesso violenze ed omicidi sotto l’effetto di un raptus emotivo potrebbe aver bisogno di tempo per ricostruire i fatti accaduti in una sequenza logica.
Per tutti gli studiosi della mente, e non solo, il raptus violento è la quintessenza della follia ed è per questo che, fino al 1978, tutti i malati psichiatrici venivano rinchiusi nei manicomi in quanto erano, per definizione, “pericolosi per sé e per gli altri”.
La psichiatria oggi è arrivata alla conclusione che i raptus violenti non appartengono al repertorio comportamentale solo dei malati psichiatrici, bensì possono essere commessi da tutti. Nessuno può essere considerato esente rispetto al rischio di esplodere emotivamente. La psichiatria oggi afferma che per qualsiasi mente umana nulla è prevedibile e nulla è escludibile rispetto a quello che farà o non farà in futuro: gli studi sul comportamento umano possono solo ricostruire il percorso mentale, effettuato fino al quel momento, per arrivare a quella specifica condotta.
La vita psichica è ricostruibile solo a posteriori. È sempre possibile, dopo, restituire un senso alle dinamiche mentali che hanno portato a quel comportamento. Prevedere ciò che accadrà domani sulla base di quello che è accaduto oggi è quindi, per l’attività mentale, quasi impossibile. È infinita la serie dei comportamenti e dei fattori che incidono sulle scelte che compiamo, nel loro sommarsi o annullarsi a vicenda.
I delitti da raptus commessi da persone normali, mature ed adulte ci dicono che, dopo circa un secolo di studi più o meno scientifici sulla mente umana, quello che sappiamo sul suo funzionamento e sulle sue logiche è veramente poco.
Paradossalmente è possibile affermare che il comportamento delle persone malate è maggiormente prevedibile rispetto al comportamento delle persone normali, sane, adulte, equilibrate. Le patologie psichiatriche limitano rigidamente il comportamento umano ad alcuni prevedibili schemi, mentre la normalità rende il comportamento potenzialmente compatibile con qualsiasi condotta, anche con la condotta omicida.
Come una molla che viene sempre più compressa e alla fine scatta via, così anche la mente umana sempre più compressa da frustrazioni ed insoddisfazioni alla fine scatterà con una cieca ed aspecifica violenza contro tutti e contro tutto.
I delitti da raptus avvengono in uno stato mentale della coscienza alterato, quasi allucinatorio, e solo dopo diversi giorni gli autori ne prendono consapevolezza e si rendono conto di quello che hanno fatto e dei drammi che si sono compiuti. Durante il raptus si crea come un corto circuito tra emozioni violente e comportamento, con l’esclusione completa del controllo della logica e della razionalità. Durante il raptus emerge la primordiale animalità che tutti noi portiamo dentro e che abbiamo ingabbiato con l’educazione e le norme sociali.
L’innesco del raptus è la percezione assoluta ed acritica dell’ostilità nell’ambiente e nelle persone che vivono intorno. Ostilità non più tollerabile né sopportabile. Tutto in quel momento potrebbe essere identificato come un nemico su cui scaricare l’aggressività e la rabbia cieca e violenta.
Anche nella calda quiete domestica e familiare potrebbe essere sufficiente l’ennesimo capriccio o l’ennesima disubbidienza di un figlio per scatenare nella madre una furia omicida.
Il delitto di Cogne in cui è stato ucciso il piccolo Samuele, di quasi tre anni, richiama da vicino, nella dinamica comportamentale della mamma, il carattere tipicodei delitti da raptus.
Cosa è successo a Cogne al piccolo Samuele? Secondo le informazioni che sono trapelate dalla stampa, il piccolo è stato vittima di un delitto da raptus omicida, commesso da una mano di tipo femminile, la madre appunto. Se si fosse trattato di un delitto premeditato da una persona entrata dall’esterno della casa, l’autore avrebbe portato con sé l’arma del delitto e non avrebbe utilizzato un oggetto già presente sulla scena del crimine. Se l’autore fosse stato un uomo si sarebbe accanito sul bambino soffocandolo con le proprie mani fino alla morte (come fece qualche anno fa Luigi Chiatti a Foligno con le sue piccole vittime). Colpire la vittima ripetutamente alla testa è un gesto tipico femminile e che si tratti di un raptus lo si evince dal numero eccessivo di colpi sferrati rispetto alla “dose” sufficiente per dare all’autore la sensazione della morte, di aver ucciso (è l’overkilling degli autori americani che si giustifica con l’incapacità a fermarsi, tipico del delitto irrazionale, disorganizzato, su base emotiva).
Il raptus è finalizzato allo scarico ed alla liberazione di aggressività e violenza, non chiede necessariamente la morte: quando la donna si è fermata il piccolo era ancora vivo, forse era in coma per il traumatismo cranico, ma era ancora vivo. Il piccolo sicuramente è morto dissanguato sull’elicottero del 118.
Il raptus emotivo dunque non ha altro obiettivo che lo scarico e la liberazione di violenza ed aggressività, non ha l’obiettivo principale di uccidere.
Cosa ha condotto al raptus emotivo contro il piccolo Samuele? Una notte insonne, una intolleranza all’ennesimo capriccio o pianto del bambino, la perdita del controllo della situazione e della gestione delle proprie emozioni che la donna potrebbe aver vissuto dopo essere stata lasciata sola di fronte allo stress emotivo della gestione del bambino piccolo. Il problema emotivo della donna infatti durava già da molte ore al punto che intorno alle 6 si era reso necessario ricorrere alle cure dei sanitari del 118. La presenza del marito ha contenuto la situazione emotiva entro confini accettabili. La sua uscita da casa ha determinato il suo precipitare nel dramma e nell’omicidio.
Cosa potrebbe essere accaduto dopo sulla scena del delitto? La donna ha chiamato la sua psichiatra, la dottoressa Satragni, che è subito corsa ed ha cercato di “aggiustare” la scena e tentare di salvare il salvabile. Lei potrebbe essere la mente lucida e razionale che è intervenuta sulla scena del crimine dopo il delitto e che ha cercato di salvare la donna dall’accusa di infanticidio (è pur sempre la madre di un altro bambino). La dottoressa Satragni, in quanto medico, è tenuta per legge al segreto professionale per cui ha il diritto di non dire quello che sa, ha diritto di non riferire quello che ha visto, e che potrebbe essere determinante per ricostruire la dinamica del delitto. La legge sui segreti d’ufficio e professionali le consente infatti, in quanto medico, di tutelare la salute delle persone anche quando si trasformano in assassini.
In questo momento. nei confronti della donna non possono che essere accumulati solo indizi, l’unica prova è rappresentata dalla sua confessione, tuttavia per la confessione serve il ricordo di quello che è successo e la donna potrebbe non aver ancora recuperato il ricordo dei suoi atti delittuosi. Secondo alcune fonti di cronaca, al momento in cui è andata all’obitorio per vedere l’ultima volta il figlio la donna ha avuto un malore, ripetendo più volte, a se stessa, la frase “non sono stata io, non sono stata io” (senza contare che lo stesso concetto è stato ripetuto dalla donna nelle interviste televisive e giornalistiche nei giorni prima del suo arresto). Queste parole possono avere un senso solo se inquadrate nel conflitto interiore che la donna vive dentro di lei. Dirsi quelle cose è l’ultima difesa della sua psiche dalla sconvolgente consapevolezza cosciente di essere stata lei a compiere quel terribile gesto. Qualsiasi altra donna avrebbe inveito contro l’assassino, contro altre persone e non avrebbe avuto bisogno di ribadire l’ovvietà che una madre non uccide il proprio figlio.
Le condizioni psicologiche in cui si è consumato il delitto giustificano ampiamente l’esimente del vizio di mente rispetto alla imputabilità della donna. In quel momento non poteva autodeterminarsi, non aveva scelto il suo comportamento, e quindi non era nelle condizioni di intendere o di volere che il Codice penale prevede per l’imputabilità. Secondo la legge la donna è quindi responsabile del delitto, ma non è giuridicamente imputabile e non andrà in carcere. I provvedimenti giudiziari nei suoi confronti si limiteranno forse a toglierle l’affidamento dell’altro figlio. Con gli effetti della morte del piccolo Samuele, per un attimo di follia, si disgregherà tutta la sua famiglia.



BOX

I delitti di Jadranka Kuleva

Venerdì 29 giugno 2001, in una frazione del Comune di Palombara Sabina, vicino Roma, una donna macedone trentenne, in preda ad un raptus omicida, accoltella a morte i suoi due figli, Michele di 4 anni e Giuseppe di 6 anni. Richiamato dalle urla disperate dei figli il padre, Raffaele Russo, abbatte a calci la porta di casa e cerca di fermarla colpendola più volte con i pugni, ma inutilmente. La donna si rialza più volte e continua a colpire i figli con una ferocia ed una forza che la costringe a prendere un secondo coltello, dopo aver spezzato la lama del primo.
Gli psichiatri hanno diagnosticato che la donna ha agito sotto l’effetto di un raptus omicida che ha moltiplicato le sue forze e la sua determinazione contro la vita dei figli. Per molti giorni, in carcere, la donna non è riuscita a rievocare gli omicidi che aveva commesso, neanche con l’aiuto di potenti psicofarmaci.

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