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marzo/2002 - Interviste
G8-Genova
Quei gas lacrimogeni...
di Carlo Gubitosa

L’impiego di questo mezzo di contrasto, non è sempre così innocuo come si pensa: in realtà questo “artifizio” può provocare, nel tempo, gravi danni all’organismo

Uno dei tanti misteri legati ai fatti di Genova è quello relativo all’impiego di gas Cs negli “artifizi lacrimogeni” utilizzati dalle Forze dell’ordine durante gli scontri. Per scoprire alcune cose molto interessanti relative a questo tipo di gas basta leggere le dichiarazioni rilasciate il 5 settembre 2001, davanti al Comitato Parlamentare d’indagine sui fatti di Genova, da Valerio Donnini, consulente per i Reparti Mobili del ministero dell’Interno ed ex comandante del Reparto Mobile di Roma. Donnini dice che “per quanto riguarda l’uso del gas; si può parlare di innovazioni solo fino ad un certo punto. Molto tempo fa, utilizzavamo il gas Cm, ma non essendo un chimico, non so dirle la composizione; si trattava di un gas lacrimogeno sparato, a quei tempi, con il vecchio moschetto 91. (...) I nuovi lacrimogeni, quasi tutti tranne una piccola parte, sono al Cs. Non sono gas urticanti - come, invece, ho letto su qualche giornale - ma irritanti, vale a dire che attaccano le vie aeree; ovviamente, risultano più efficienti anche se l’azione irritante si esaurisce dopo pochi minuti non appena ci si allontani dalla zona per così dire satura. Ma non si tratta di una novità; non essendo un tecnico e non facendo parte di quella direzione centrale, non posso essere preciso, ma credo che già dal 1994 la Polizia di Stato, come tutte le altre Forze di polizia, utilizzasse gas Cs. La novella sono le bombolette spray, anch’esse al Cs. Hanno quindi la stessa composizione chimica, anzi, per essere precisi, hanno una concentrazione molto minore”.
Nel resoconto stenografico è riportata la sigla Cm, ma più probabilmente Donnini si riferisce al gas basato sul composto chimico Cn (Chloro-Acetophenone), largamente impiegato in alternativa al Cs per la realizzazione di dispositivi lacrimogeni.
Il “supporto” legislativo che ha permesso l’utilizzo di questi gas è il decreto del Presidente della Repubblica n. 359, del 5 ottobre 1991, menzionato dallo stesso Donnini, che prevede l’autorizzazione all’impiego di armi diverse da quelle in dotazione per i compiti istituzionali, purché adeguatamente sperimentate e affidate a personale preventivamente addestrato.
Tuttavia l’impiego dei gas lacrimogeni basati sul Cs non è così innocuo come potrebbe sembrare, perché in base all’intensità e alla durata dell’esposizione, i danni provocati dall’Ortho-Chlorobenzylidene-Malonitrile (è questa l’esatta denominazione chimica del Cs) possono essere anche permanenti, andando ben al di là delle semplici “irritazioni” a danno delle vie respiratorie descritte da Donnini. La pericolosità del Cs e il rischio di danni permanenti dovuti ad una esposizione prolungata sono documentati in uno studio intitolato “Crowd Control Technologies” (letteralmente “tecnologie per il controllo delle folle”), realizzato nel giugno 2000 dallo Stoa, (Scientific and Technological Options Assessment), un organismo ufficiale del Parlamento Europeo dedicato all’analisi di questioni scientifiche.
In base a questo documento l’“adeguata sperimentazione” prevista dal decreto 359 già citato in precedenza sarebbe tutta da verificare, dal momento che lo Stoa, nell’esaminare le problematiche legate all’utilizzo di irritanti chimici, evidenzia il “rischio di trascurare le questioni relative alla salute e alla sicurezza, poiché i problemi con agenti chimici tossici si presentano solamente a molti anni di distanza dal loro impiego operativo”. Lo studio del Parlamento Europeo contiene anche un elenco dettagliato dei danni permanenti legati all’impiego dei due composti chimici utilizzati come lacrimogeni, il Cn e il Cs. In particolare, per quanto riguarda quest’ultimo, vengono riassunte le conclusioni delle 115,107 pubblicazioni scientifiche sull’Ortho-Chlorobenzylidene-Malonitrile “censite” dallo Stoa, documentando che in alcuni casi l’impiego di questo agente chimico può risultare gravemente dannoso, soprattutto se utilizzato in zone ristrette e prive di vie di fuga, dove è impossibile allontanarsi rapidamente dalle zone di massima concentrazione del gas. Dermatite, gastroenterite, edema polmonare, blocchi cardiaci, danni al fegato, modificazioni genetiche, cancro: sono questi, secondo lo Stoa, alcuni dei rischi più gravi causati dall’esposizione ai gas lacrimogeni “caricati” al Cs.
Va ricordato anche che in occasione degli scontri di Genova l’effetto dei gas lacrimogeni non ha colpito solamente i manifestanti, ma anche molti operatori delle Forze dell’ordine, tra cui i carabinieri presenti nel Land Rover rimasto bloccato in piazza Alimonda e che, per loro stessa ammissione, erano in quell’automezzo perché intossicati. Il 20 luglio Mario Placanica viene interrogato dai sostituti procuratori Anna Canepa, Francesco Pinto ed Andrea Canciani, e dichiara che “in quanto addetto a sparare i lacrimogeni, a causa del fumo, dopo ripetuti lanci, avevo inalato molto fumo e la mia maschera non era più in grado di proteggermi adeguatamente e quindi avevo occhi e viso in fiamme. Per questo motivo ad un certo punto mi sono avvicinato al “Defender” ed ho chiesto soccorso e sono salito sul mezzo dove ho iniziato a sentirmi male vomitando. Il mezzo sui cui sono salito era quello guidato dall’autista Cavataio”. Il tragico finale di questo racconto è, purtroppo, tristemente noto.
Per il verificarsi di questo tipo di situazioni, il rapporto dello Stoa sostiene che “sia i cittadini che gli operatori delle Forze dell’ordine potrebbero in futuro avere delle rivendicazioni di carattere legale se le affermazioni scientifiche di sicurezza (dei composti chimici usati nei lacrimogeni) dovessero rivelarsi poco informate o negligenti”. È proprio per il raggiungimento della massima accuratezza sulle informazioni relative a questi gas che il Parlamento Europeo, attraverso lo Stoa, consiglia la massima trasparenza nelle ricerche scientifiche sugli irritanti chimici.
Un altro aspetto chiave di questa questione è quello relativo ai danni ambientali. Durante il vertice di Quebec City dell’aprile 2001, caratterizzato da un uso intensivo dei gas Cs, l’ufficio di igiene pubblica ha invitato i residenti ad indossare guanti di gomma e lenti protettive nel trattare i residui dei candelotti lacrimogeni, adottando le precauzioni necessarie per liberarsi del cibo eventualmente contaminato dai gas, rimpiazzare i filtri dell’aria condizionata e far lavare l’esterno delle abitazioni. Purtroppo non risulta che i cittadini genovesi siano stati messi in guardia con altrettanta precisione.
L’impiego dei lacrimogeni non è una soluzione obbligatoria per chi sovraintende alla gestione dell’ordine pubblico: esistono altri strumenti ugualmente efficaci, come le schiume collanti in grado di bloccare eventuali aggressori, o le cosiddette granate “flash-bang” che permettono di disperdere un gruppo di persone producendo un lampo e un botto senza procurare danni fisici.
Il documento del Parlamento Europeo descrive in dettaglio anche i pro e i contro degli strumenti alternativi alla “repressione chimica” dei disordini di piazza. Un’altra di queste alternative, oltre a quelle già menzionate, è rappresentata dai cosiddetti “manganelli elettrici” o in generale dalle armi stordenti. L’adozione di questo tipo di strumenti, tuttavia, non è priva di contraddizioni, poiché la peculiarità di non causare danni fisici evidenti, intensi o duraturi, rendendo difficile il riscontro di eventuali abusi o violazioni dei diritti umani, ha trasformato le armi elettriche nello strumento di tortura più diffuso nel mondo. Nel 1997, infatti, Amnesty International ha pubblicato un rapporto dedicato alla documentazione delle torture praticate con strumenti elettrici in 50 paesi del mondo a partire dal 1990, includendo nella “lista nera” anche paesi vicini all’Italia geograficamente o politicamente, come l’Austria, la Grecia, la Turchia o gli Stati Uniti d’America.
Un’altra possibilità più volte discussa è quella dell’adozione di pallottole di gomma, che tuttavia in alcuni casi si sono dimostrate altrettanto letali dei proiettili veri, soprattutto se utilizzate al di sotto della distanza di sicurezza o con tiri multipli, con l’aggravante di non lasciare delle tracce balistiche che possano facilitare la ricostruzione della dinamica di eventuali incidenti.
Il documento Stoa descrive anche un’altra prospettiva, molto più interessante e innovativa, che non presuppone solamente l’impiego di nuovi strumenti, ma una modifica radicale delle strategie di ordine pubblico impiegate fino ad oggi. L’idea è quella di sostituire alla gestione “repressiva” degli scontri di piazza una modalità di gestione “sociale” del rapporto tra i tutori dell’ordine pubblico e i manifestanti, basata sulla flessibilità e sulla comunicazione anziché sulla coercizione, utilizzando come “armi” l’intelligenza, l’autorevolezza, l’abilità verbale e la capacità di convincimento dei funzionari e degli agenti. Questa proposta apparentemente suicida non nasce dalla fantasia di qualche amante del dialogo, ma dall’osservazione di un caso molto concreto verificatosi di recente in Corea del Sud, dove la Polizia, al termine di un lungo periodo caratterizzato da frequenti manifestazioni antigovernative “ricondotte all’ordine” anche attraverso un massiccio impiego di gas Cs, ha deciso di cambiare strategia, mettendo a diretto contatto dei manifestanti donne poliziotto in uniforme ma senza protezioni, caschi, bardature o strumenti di repressione ipertecnologici, armate solo della loro professionalità e della loro capacità di riportare alla calma i manifestanti. Il risultato di questa gestione “morbida” dell’ordine pubblico è stato impressionante.
Dopo aver utilizzato 220.000 candelotti al Cs nel 1997, due anni più tardi la Polizia coreana non ha dovuto sparare neanche un lacrimogeno, e nell’aprile 2000 la nuova politica di “ingegneria sociale” adottata nelle piazze coreane ha colpito la sua unica vittima: la compagnia “Dae-A Chemical Industry”, produttrice di gas lacrimogeni a Seul, costretta a chiudere bottega.

*Segretario di “Peacelink” e collaboratore della rivista “Altreconomia”, che ringraziamo per la pubblicazione di questo articolo.

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