In un libro di Gianni Cirone si ripercorrono, dai tempi antichi a oggi, le tormentate vicende di una terra sempre contesa e spesso dilaniata da conflitti interni etnici e religiosi
Il primo invasore era stato Alessandro il Macedone, detto il Grande, che dopo aver sconfitto ad Arsela, nel 330 a.C., Dario III, ultimo re di Persia della dinastia achemènide, si era addentrato con il suo esercito nella profonda vallata di quello che è ancora uno dei transiti maggiormente percorsi dell’Afghanistan, il Khyber Pass. La Battriana, una regione corrispondente in parte all’attuale Afghanistan, già inglobata nel regno persiano, entrava a far parte dell’immenso bottino del Macedone, e alla morte di Alessandro diveniva una provincia del regno dei seleucidi.
Poi, come sempre e ovunque, la Storia continua. Ed è tutta la storia di questo Paese che scopriamo nel libro di Gianni Cirone (“I misteri dell’Afghanistan – Dalle origini alla caduta dei Taliban” , Editore Datanews, pagg.146, Euro 9.30), un’opera strutturata con un taglio giornalistico che si accompagna a una rigorosa ricerca. Una storia molto antica, che negli ultimi anni ha suscitato l’interesse degli archeologi di varie nazionalità. “Una ricerca iniziata dalla certezza, acquisita recentemente, - leggiamo nel libro di Cirone – di una presenza umana attestatasi nella parte settentrionale del paese nel Paleolitico. A Mundigak, presso Kandahar, si hanno poi i primi indizi di una produzione artistica. Siamo in pieno Neolitico, cioè nei quattromila anni a.C., e i prodotti che si ritrovano negli strati più antichi di alcuni scavi sono statuette in terracotta, ceramiche di diverse forme e decorazioni. Tutti manufatti che provano insediamenti con una precisa linea di sviluppo, società in evoluzione al punto da produrre, tra il 3500 e il 2000 a.C., sigilli che rimandano ad immagini simili a quelle di palazzi o templi, e ceramiche di sempre maggior raffinatezza simili, nella fattura e nello stile, a quelle ritrovate in Iran orientale, in Turkmenistan e nel Belucistan”.
Ma “I misteri dell’Afghanistan” non vuole essere una sorta di Bignami storico “per saperne di più”: è, piuttosto, la sintesi ragionata degli avvenimenti e delle motivazioni che hanno condotto questa nazione a essere, da lontana e volentieri dimenticata, a noi così vicina, e, dall’11 settembre 1991, incombente. Certo non per colpa, o per volontà, del popolo afgano, e questo Gianni Cirone riesce a narrarlo molto bene, e ancora meglio a farlo comprendere. Tracciando un ritratto per molti aspetti inedito, nel quale si ritrovano non solo le marcate diversità etniche e le conflittualità religiose, qui perfettamente delineate, ma anche il peso di interventi esterni che hanno fortemente concorso a produrre la situazione attuale, oggi dimenticati o, addirittura, ignorati. Riportiamo un esempio: «Nel 1991 il Time Magazine scrive: “Poiché gli Usa volevano fornire ai ribelli mujaheddin, in Afghanistan, missili Stinger e altro materiale militare, c’era il bisogno della piena collaborazione del Pakistan. Dalla metà degli anni ottanta il distaccamento della Cia a Islamabad fu una delle più grandi sedi di servizi segreti al mondo… Se lo scandalo Bcci è un così forte imbarazzo per gli Usa – afferma un uomo dell’intelligence statunitense interpretando la natura dell’apparente vuoto di indagini a riguardo – ciò ha molto a che fare con il tacito via libera che gli Usa diedero ai trafficanti di eroina in Pakistan. La Bcci, ovvero la Bank of Credit and Commerce International, “una vicenda che, partendo dal mondo arabo, provocherà uno scandalo internazionale di vaste proporzioni, fin dentro la City di Londra”. Ripercorrendo il filo delle avventurose operazioni di quella potente banca privata, fallita per debiti di oltre dieci miliardi di dollari, si scoprono nomi di persone note, e meno note ma altrettanto influenti, mentre in filigrana traspare anche quello del famigerato miliardario saudita.
Tornando all’Afghanistan, “rimane aperto il caso Osama Bin Laden e Al Qaeda. Dal loro punto di vista, si può ancora parlare di vittoria. Hanno messo in scacco gli Stati Uniti e il mondo. Hanno permesso la distruzione dell’Afghanistan dopo averlo usato come ‘base’… Sembra ormai certo, invece, che le menti di quel terrorismo che ha colpito New York e Washington, poco hanno a che fare con le radici autentiche di questo leggendario paese sospeso tra Occidente e Oriente. Di quest’Afghanistan, apolide ed errante in terra propria, ancora in cerca di un barlume di civile convivenza. Di quest’Afghanistan ancora vivo, anche se stretto all’angolo, nella postura di chi – per antica consuetudine – attende un altro colpo alla nuca».
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