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febbraio/2002 - Laboratorio
Laboratorio
Genova città straziata
di Ennio Di Francesco

Pensavano non avessi un’anima ma solo un corpo da sezionare in zone rosse e gialle. Hanno costruito barricate per difendere quegli ospiti illustri e lottare contro chi veniva per contestarli e chi solo per distruggere.
Mi hanno offesa e violentata, come ai tempi dei vandali e lanzichenecchi; neppure durante la seconda Guerra Mondiale forse ho tanto sofferto. Dalla “lanterna” ho visto la mia gente costretta a fuggire in esilio, tremante per i loro anziani, i loro figli, le proprie case, la propria roba, barricarsi in casa come topi; ho visto le mie membra, palazzi, vie, monumenti, giardini..., imbrattati, danneggiati e distrutti, senza ritegno. Che rabbia e dolore! Chi ci ha fatto questo regalo avvelenato?
Chi ha scelto a suo tempo non aveva previsto che questo mio corpo stretto tra monti e mare non avrebbe potuto sopportare le numerose delegazioni, le decine di migliaia di persone che sarebbero venute per protestare, pur pacificamente, ammassandosi nelle vene strette dei miei carruggi e nelle arterie delle poche larghe strade del centro e dei quartieri vicini abbandonati a sé stessi? Che tra tanta moltitudine, tanti gruppi giunti anche dall’estero solo per colpire e distruggere, si sarebbero abilmente infiltrati seminando ovunque in maniera non controllabile vile e cieca violenza?
Quali elementi, tra visibilità politica, soldi che sarebbero giunti in appalti, sicurezza della gente, rispetto e difesa della città, avevano prevalso in quella scelta infelice?
Pur se mi si chiama ancora “la Superba” e talora mugugno contro chi turba la mia riservatezza, sono solita aprire le braccia a tutti coloro che vengono in pace a godere della mia bellezza e della mia ospitalità. Ma questa volta tuttavia era proprio difficile se non impossibile farlo, senza neppure poter contare sulla recettività preclusa per motivi di sicurezza dei miei splendidi cugini da Santa Margherita a Rapallo, da Camogli a Paraggi, ove tanti ospiti politici, delegati e giornalisti, avrebbero goduto il fascino della nostra riviera di sogno.
Che dolore assistere poi a quegli scontri annunciati, tra gas lacrimogeni, pietre, biglie di ferro, spranghe e bombe incendiarie; e vedere tanti ragazzi, in divisa o no, ingiuriarsi, battersi e odiarsi, provocati da quei vandali vigliacchi già vestiti di lutto.
Che dolore e tristezza arretrare così nella storia e nella cultura; proprio qui nelle mie vie dove per primi poliziotti e metallurgici, carabinieri e portuali, dopo tremendi anni del passato si erano di nuovo strette in ritrovata pace le mani.
Io Città, avevo gli occhi pieni di lacrime, rabbia, sangue... e poi, Dio mio, anche di morte con quel ragazzo dei miei vicoli in passamontagna caduto di violenza nella violenza, per reazione terrorizzata di un fratello in divisa.
Ora tutto sembra passato, resta la vergogna, il singulto del pianto, il silenzio della distruzione e della morte. Nella Capitale si cercheranno responsabili, colpe, capri espiatori; arriveranno parole e soldi per cercare di sanare il mio corpo massacrato. Forse mi daranno anche una medaglia allo “scempio civile”! Rituali del dopo... Chi penserà allo strazio della mia anima? Sono solo una città, per tanti una cosa...
Ennio Di Francesco

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