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febbraio/2002 - Laboratorio
Laboratorio
Ma che strana Giustizia
di Fabrizio Locurcio

Troppo spesso assistiamo a clamorosi casi di giustizia denegata e sugli effetti logoranti che essi comportano, ritenendo che, come avviene in uno Stato di diritto, accertata la verità, si possa riparare all’errore, cercando di limitare il più possibile il danno sofferto e arrecato ingiustamente.
Questo è quanto ragionevolmente pensiamo e quanto avviene, o dovrebbe avvenire, in una società civile, fatto salvo il ripristino della situazione che ha provocato l’evento ingiusto; purtroppo , però, non accade sempre, anzi, paradossalmente può peggiorare, come nel caso che riguarda la signora Brusa, che sopporta da oltre dieci anni e che è veramente senza precedenti.
La signora Brusa è stata allontanata “manu militari” il 12 ottobre 1994 dalla casa coniugale assieme ai due figli, “casa tra l’altro acquistata in regime di tacita comunione dei beni”, condannata alla restituzione retroattiva, dell’assegno alimentare che l’ex marito versava per i figli (all’epoca della sentenza entrambi studenti), di sole seicentomilalire “fatto che tra l’altro non ha precedenti giurisprudenziali”, e inoltre condannata per non aver prodotto i documenti richiesti dal Consigliere istruttore.
Questo è il risultato della sentenza 1461/91 pronunciata dalla Corte d’Appello di Roma, I° Sezione civile, che di certo ha voluto punire in modo esemplare una madre con i propri figli, consentendo all’ex marito, e padre dei due figli, di metterli in mezzo ad una strada, ovviamente obbligandoli a restituire gli alimenti, che il giudice Galbiati del tribunale civile di Roma ha nuovamente concesso nel 1995 a favore di un figlio, nonostante la Corte d’Appello ne avesse ordinato la restituzione retroattiva nel 1991, poiché necessari per la sua sopravvivenza.
Questa allucinante storia di giustizia, è stata già oggetto dell’attenzione dell’opinione pubblica, della Commissione parlamentare Giustizia nel 1995, dell’allora ministro degli Affari Sociali on. Guidi, e della giornalista Silvia Tortora, che le ha dedicato uno “speciale” su un settimanale.
Ciò che desta stupore della vicenda, non è tanto la decisione della Corte d’Appello, che, con la sua pronuncia ha completamente riformato la sentenza di I° grado, impugnata dall’ex marito della signora Brusa, ma, che tale sentenza è stata pronunciata senza contraddittorio, e, pertanto secondo il nostro ordinamento e la giurisprudenza costante, viola il principio cardine e costituzionale (art. 24 Cost.) della difesa in giudizio, comportando la nullità della sentenza e di tutti gli atti successivi.
A questo punto appare evidente il madornale errore giudiziario, ossia aver continuato il giudizio inaudita altera parte, poiché l’avvocato della signora Brusa durante il giudizio era stato sospeso e poi radiato con provvedimento disciplinare del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Roma. Questa circostanza era ignorata dalla signora, infatti solamente nel 1995, il nuovo difensore attraverso una indagine presso il Consiglio dell’Ordine di Roma, riceve notizia dell’avvenuta radiazione del precedente difensore.
Ovviamente, il nuovo difensore incardina ben due azioni di revocazione straordinaria della sentenza 1461/91, per ripristinare un equilibrio in questa aberrante situazione.
La Corte d’Appello adìta, accertata la verità e l’enormità clamorosa dell’errore, nelle persone di ben 4 Consiglieri e due Presidenti di Sezione emana in corso di causa cinque provvedimenti cautelari, che ricompongono nei limiti, la tanto invocata giustizia, restituendo la casa alla signora Brusa e ai figli con la sospensione dell’efficacia dell’esecuzione, perché tale esecuzione compromette “la sopravvivenza della Brusa e del figlio disoccupato”.
È superfluo dire che la situazione emersa in corso di revocazione, con legittimo contraddittorio, era completamente difforme da quella precedente della 1461/91, addirittura completamente falsata, dove l’ex marito, ex funzionario Bnl, da ricco possidente, proprietario di immobili e cointeressato in società di vendita di automobili, appariva precedentemente un nullatenente con un milione e duecentomilalire al mese di reddito.
La signorara Brusa finalmente potrà vedere affermata la tanto agognata giustizia, ma come in tutte le storie di ingiustizia c’è un imprevedibile colpo di scena: il Collegio della II° Sez. di Appello, dopo ben cinque anni di revocazione, cinque provvedimenti cautelari, respinge l’azione di revocazione, e condanna la Brusa alle spese legali, avendo cognizione piena degli effetti nefasti dell’errata sentenza, restituendo un “fucile carico” all’ex marito, che lo punta nuovamente contro la sua famiglia.
Nella motivazione il Consigliere relatore, pur riconoscendo la nullità della sentenza, rileva che la Brusa avrebbe dovuto sollevare tale vizio in Cassazione ancora prima che la stessa signora ne avesse avuto notizia!. È naturale che tutti i presupposti enunciati dall’art. 395 C. p. c., se conosciuti alla parte in tempo debito, sono eccepibili con ricorso in Cassazione,
Resta il fatto inconfutabile che il consigliere istruttore ha richiesto d’ufficio, in corso di revocazione nel 1995, notizie sul provvedimento disciplinare inflitto al precedente difensore, ove si evince il vizio denunciato dalla ricorrente (Brusa); se il fatto viene appreso nel 1995 come la stessa giudice afferma, come può la stessa aver confuso la data del ricorso in Cassazione, con quella della scoperta del nuovo e decisivo documento revocatorio?
La revocazione resta lo strumento idoneo che la legge fornisce per ripristinare un equilibrio in situazioni analoghe, e soprattutto ove l’esecuzione della viziata sentenza, produce effetti devastanti, essendo una conseguenza di una logica giuridica da manuale: sentenza viziata equivale ad inevitabile disastro.
La Corte d’Appello di Roma nel frattempo, avendo accertato la realtà dei fatti, ributta nuovamente in mezzo alla strada la signora oramai sfinita.
È evidente che ripristinare un ordine in questa esacerbante storia sarebbe stato troppo facile e normale, invece la logica giuridica, parossisticamente farebbe presupporre che l’avvocato difensore “si sarebbe sottoposto volutamente a procedimento disciplinare per ledere la parte assistita (Brusa), ignara, comportando così una violazione del principio costituzionale della difesa (art. 24 Cost.)”. È inconcepibile!
La signora Brusa dovrà rivivere tutto da capo, sfratto, pignoramento, che tutt’oggi l’ex marito ha eseguito tranquillamente sulla pensione, che, essendo accreditata in banca, viene interamente congelata, per garantire “il credito” al suo debitore, l’ex marito e padre dei figli, per la restituzione degli alimenti. Inoltre, viene “donata” sempre dal Collegio della Corte, la proprietà del mobilio presente all’interno della casa coniugale, mai richiesto dall’ex marito perché pacificamente riconosciuta quale assoluta proprietà della signora Brusa, fatto neanche previsto dalla sentenza 1461/91 impugnata con azione revocatoria.
È inutile dire che l’ex marito della signora continua tranquillo a fare la sua vita di sempre, pur essendo stato scoperto l’artificio posto in essere dallo stesso, che indusse in errore i giudici dell’Appello nel 1991.
Resta un'unica riflessione su questa triste vicenda di ingiustizia manifesta: i danni provocati ormai non sono più suscettibili di un congruo ristoro, dato l’indicibile supplizio a cui sono sottoposti quotidianamente la signora Brusa e i suoi figli. Comunque la signora Brusa, spera che un giorno un giudice faccia luce definitivamente sulla vicenda, avendo tra l’altro richiesto l’intervento delle Procure della Repubblica, e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, per ottenere una giustizia tanto invocata ma stranamente mai garantita.
Fabrizio Lo Curcio

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