home | noi | pubblicita | abbonamenti | rubriche | mailing list | archivio | link utili | lavora con noi | contatti

Giovedí, 22/10/2020 - 14:43

 
Menu
home
noi
video
pubblicita
abbonamenti
rubriche
mailing list
archivio
link utili
lavora con noi
contatti
Accesso Utente
Login Password
LOGIN>>

REGISTRATI!

Visualizza tutti i commenti   Scrivi il tuo commento   Invia articolo ad un amico   Stampa questo articolo
<<precedente indice successivo>>
febbraio/2002 - Interviste
Egitto
La “banda del buco” di 3000 anni fa
di Ettore Gerardi

I furti nelle necropoli dei re egiziani si verificavano subito dopo la morte dei regnanti e venivano perpetrati nonostante protezioni di vario genere. La storia di Rassul, predatore dell’800, che “collaborò” con la polizia

«Allora entrammo nella tomba del Re, aprimmo le bare e ci trovammo di fronte alla mummia. La nobile mummia era interamente coperta d’oro; prendemmo l’oro, gli amuleti e gli ornamenti. Rubammo anche tutte le suppellettili d’oro, d’argento e di bronzo e spartimmo il bottino in otto parti…».
Questa la confessione di un ladro di tombe di oltre 3.000 anni fa, che è giunta fino a noi attraverso un papiro egiziano risalente al sedicesimo anno di regno del Faraone Ramsete IX°, cioè verso il 1125 a.C. Tutto sommato, questo ladro di 3126 anni addietro può essere considerato il primo “collaboratore di giustizia” di cui si ha notizia.
Ovviamente non sapremo mai “come” fu ottenuta questa confessione, quali mezzi furono usati dagli antichi investigatori, ma è certo che le pene previste per i ladri di tombe, a quell’epoca, erano severe, molto più di quelle previste dai codici moderni.
Allora si passava dalle pesanti bastonature al taglio del naso, dalle frustate al taglio delle orecchie, dal taglio delle mani fino alla pena di morte.
Tuttavia i furti nelle necropoli avvenivano già a distanza di pochi anni dalla sepoltura dei Re ed in barba alle varie maledizioni dei Faraoni: i ladri non avevano paura di nulla e di nessuno.
È documentato come diversi Faraoni regnanti ordinassero periodicamente delle ispezioni nelle necropoli, incaricando i sacerdoti di curare il riassetto delle tombe profanate, facendone richiudere l’ingresso e apponendo sul muro il “sigillo della necropoli”, un marchio raffigurante uno sciacallo disteso su 9 prigionieri.
L’escalation dei saccheggi toccò l’apice verso il 1100 a.C., con l’avvento di regni deboli o di transizione, quando la sorveglianza delle necropoli divenne sempre più difficile e l’amministrazione centrali inefficiente.
Risulta che ci fu addirittura un periodo nel quale cominciarono anche a scarseggiare i rifornimenti di cibo e vestiario per gli operatori addetti alle necropoli, tanto che si arrivò al primo sciopero documentato della storia, risalente al 1170 a.C. e più esattamente “il 4° giorno del mese di novembre del 29° anno di regno del Faraone Ramsete III°”, come riportato scrupolosamente su di una serie di papiri trovati nel tempio di Ramsete III° a Medinet Habu, dove aveva sede l’amministrazione della necropoli reale.
Probabilmente furono i funzionari e gli operai della necropoli a saccheggiare, per primi, le tombe, esasperati da questa situazione, anche perché conoscevano perfettamente l’ubicazione delle sepolture reali.
Ramsete XI° (1085 a.C.) fu l’ultimo Faraone ad essere sepolto nella tormentata Valle dei Re; poi i regnanti successivi decisero di togliere dai sepolcri saccheggiati le mummie dei potenti Faraoni del passato e trasferirle in un nascondiglio di difficile accesso, collocato nella parete rocciosa di una località desertica chiamata Deir el Bahari.
Sulle bende delle mummie i sacerdoti registrarono accuratamente il nome del faraone e la data del trasferimento; in questo nuovo nascondiglio i corpi poterono riposare per quasi altri 3000 anni, ma furono scoperti (alla fine del secolo scorso) casualmente da una famiglia di predoni locali, quella facente capo ad Ahmed El Rassul, che cominciò sistematicamente, e per molti anni, a depredare ancora le povere mummie e le poche suppellettili rimaste, vendendo gli oggetti sul mercato clandestino. Questo traffico di reperti fu scoperto nel 1881 da Maspero, sovrintendente alle antichità egizie del Cairo che, nelle vesti di investigatore e con l’aiuto della Polizia locale, arrivò a far confessare al ladro quale fosse il nascondiglio della refurtiva.
È interessante vedere con quale stratagemma si ottenne questa confessione.
Quando Maspero arrivò in Egitto nel 1880, già da vari anni circolavano reperti antichi e papiri di grande valore, che finivano poi nelle mani dei collezionisti europei. Maspero intuì che gli oggetti provenivano dal villaggio arabo di Qurna, vicino alle necropoli; lì inviò il suo assistente Emile Brugsch che, fingendosi un ricco turista, si mise in contatto con i commercianti clandestini di antichità, acquistando alcuni oggetti.
Proprio da un abitante di questo villaggio, il ricordato Mohammed Ahmed El Rassul, egli si vide offrire nientemeno che una mummia della 21ª Dinastia: Rassul fu subito arrestato, ma negò ogni accusa anche di fronte a mezzi coercitivi piuttosto pesanti. Alla fine gli investigatori decisero di lasciarlo libero, di tornare al suo villaggio. Questo inaspettato rientro in sede, rese convinti tutti i suoi parenti, amici e complici che l’uomo avesse confessato. Lo scacciarono con l’accusa di essere diventato un “collaboratore di giustizia”; o “pentito”… ante litteram.
A quel punto per Rasul non restò che tornare dalle autorità e confessare, conducendo gli investigatori fino all’ingresso del nascondiglio, situato nella roccia a 60 metri dal suolo.
All’interno furono rinvenute ben 40 mummie di Re e Regine e Maspero rimase di stucco nel leggere sulle bende i nome dei Faraoni più grandi dell’antico Egitto: da Tutmosi III° a Seti I°, da Ramsete II° “il Grande” alla Regina Ahmose Nefertari, madre di Amenofi I°.
Oggi siamo in grado di ricostruire con quali tecniche venivano effettuati i furti nelle tombe: questo è stato possibile grazie allo studio accurato dei reperti rinvenuti nella tomba di Tutankhamon (1360 a.C.), effettuato dal famoso Hovard Carter.
Per primi agivano i predatori d’oro, d’argento e di gioielli, più facilmente asportabili ed immediatamente vendibili dato il loro valore. Nella tomba di Tutankhamon venne addirittura rinvenuto un pezzo di stoffa contenente alcuni anelli, che evidentemente era stato frettolosamente abbandonato dai ladri, scoperti ancora all’interno del sepolcro. All’epoca la tomba venne subito richiusa dai sorveglianti della necropoli, come è dimostrato dal “sigillo”, apposto sul muro d’ingresso. Carter valutò anche che a seguito di questo furto era stato asportato circa il 60% dei gioielli contenuti nella tomba e custodi in appositi cofanetti con su riportate le etichette del contenuto.
Poi entravano in azione altri predatori, che cercavano solo i preziosi olii ed i costosi profumi, presenti in quantità consistente nel corredo funebre. Anche in questo caso l’attento archeologo Carter nei panni di investigatore, notò nel corridoio di ingresso alcune giare abbandonate che erano servite per travasare i liquidi dagli otri posti all’interno della tomba e facilitarne così il trasporto: i grossi vasi, infatti, non sarebbero passati attraverso la piccola fessura praticata dai ladri nella parete per penetrare nella sepoltura.
In un otre c’era ancora della sostanza vischiosa rimasta dopo 3.000 anni e si notavano perfino le impronte delle dita lasciate dai ladri che avevano toccato il prezioso unguento.
Anche in occasione di quella seconda razzia, i ladri vennero scoperti, probabilmente sul fatto, e la tomba di Tutankhamon fu di nuovo richiusa.
I ladri delle necropoli passavano quindi alla terza fase: depredavano il sarcofago ed i mobili rivestiti di foglia d’oro, che venivano trasportati fuori e bruciati sul posto, per ricavarne mediante fusione, l’oro.
Successivamente e nel corso degli anni, il trafugamento diventava sistematico per tutto il rimanente contenuto, dagli oggetti più preziosi fino agli arredi, che venivano addirittura fatti a pezzi per essere rivenduti.
Si arrivava quindi alla mummia, che veniva totalmente smembrata e depredata dei numerosi amuleti e gioielli posti tra le bende: si pensi che solo sul corpo di Tutankhamon, fortunatamente non profanato, vennero rinvenuti ben 170 tra amuleti, monili d’oro e pietre preziose.
Gli architetti delle necropoli avevano studiato tutte le tecniche per rendere inaccessibili e sicure le tombe dei Faraoni, ricavandole nel deserto, spesso in punti non visibili e dotandole di ingegnosi accorgimenti: dai passaggi segreti alle finte porte, dai corridoi senza uscita ai pozzi pieni d’acqua.
Ma nessun sistema poté scoraggiare i ladri. E le tombe degli invincibili Faraoni, continuarono ad essere vinte dai ladri.

<<precedente indice successivo>>
 
<< indietro

Ricerca articoli
search..>>
VAI>>
 
COLLABORATORI
 
 
SIULP
 
SILP
 
SILP
 
SILP
 
SILP
 
 
Cittadino Lex
 
Scrivi il tuo libro: Noi ti pubblichiamo!
 
 
 
 
 

 

 

 

Sito ottimizzato per browser Internet Explorer 4.0 o superiore

chi siamo | contatti | copyright | credits | privacy policy

PoliziaeDemocrazia.it é una pubblicazione di DDE Editrice P.IVA 01989701006 - dati societari