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febbraio/2002 - Interviste
Pubblicazioni
L’industria dei rapimenti
di Valter Vecellio

In un libro del giornalista Pino Scaccia (che da anni segue il fenomeno dei sequestri di persona) si ripercorrono le vicende di tutte le persone vittime, in Italia, di questo odioso crimine

In una ipotetica classifica del crimine più ripugnante, assieme allo stupro e alla violenza ai minori, c’è sicuramente il sequestro di persona. Un delitto che, a giudicare dalle cifre fornite dal recente rapporto sulla sicurezza elaborato dal Ministero dell’Interno, sembra in flessione; forse perché altre attività criminali risultano più remunerative e meno impegnative: tenere “custodita” una persona per settimane e mesi; vivere braccati in zone impervie dell’Aspromonte, della Barbagia o nelle macchie inaccessibili di certe zone della Toscana; riciclare il denaro ricavato dal sequestro; tutto questo e altro, richiede complicità ramificate e non improvvisabili. Un qualcosa, insomma, piuttosto complesso. Non a caso il tradizionale rapimento è stato sostituito da sequestri di persona lampo, si tiene in ostaggio un ragazzino o un’intera famiglia fino a quando il capofamiglia non torna con il riscatto richiesto; e poi ci si dilegua. La criminalità organizzata, certamente per una maggiore pressione delle forze dell’ordine, e anche perché infastidita, forse, dal clamore che inevitabilmente ogni sequestro provoca, sembra aver dirottato le sue attenzioni agli appalti, al traffico di extracomunitari, l’immancabile droga, al commercio di armi: maggiori guadagni, minor fatica.
Un crimine odioso, antico quanto l’uomo. “È un forte choc. È come trovarsi di fronte alla propria morte”, ha raccontato un ex sequestrato. E un sequestratore in vena di confidenze: “Il sequestro è nato con il furto delle pecore. Anzi, è più sicuro, perché l’uomo non bela”.
Anche Giulio Cesare, per dire, venne rapito e tenuto prigioniero dai pirati. Dovette pagare un lauto riscatto per la sua liberazione; ottenutala, diede una caccia irriducibile ai suoi sequestratori, e non fu soddisfatto fino a quando non li vide crocefissi tutti. Per venire a tempi più vicini a noi, fecero scalpore negli Stati Uniti il rapimento del piccolo Charles Jr. Lindberg di appena dieci mesi, figlio del celebre trasvolatore; di Eric Peugeot, in Francia. Ma è soprattutto in Italia che il sequestro di persona è diventato una specie di industria. È quello di un nobile sardo, il cavaliere Antonio Meloni Gaja di Mamoiada, vicino a Nuoro, il primo rapimento di cui si riferisce su un giornale: ne parla “Il Giornale di Sardegna”, è il maggio del 1875; da allora, e fino al 1968, altri 216 sequestri; nei trent’anni successivi, una drammatica impennata: altri 694, per un totale di 910 sequestri di persona. Dei 694 sequestrati, ben 82 sono morti; tra quelli più lunghi, quello di Carlo Celadon, durato ben 831 giorni; seguito da quello di Pupo Troffa (743 giorni), Cesare Casella (742 giorni), Claudio Fiorentino (671 giorni), Nicolò De Nora (524); una sessantina le donne rapite (cinque le uccise); una trentina i bambini, il più piccolo Francesco F. Misti, di soli sette mesi, rapito nel gennaio 1975, e rilasciato dopo due giorni; tre i bambini uccisi, il sequestro più lungo quello di Giovanni Furci, nove anni, rapito nel 1979, tenuto prigioniero per sette mesi; per la sua liberazione è stato pagato un miliardo.
Ricavo questi dati, ma moltissimi altri ne potrei citare dall’interessante libro “Sequestro di persona”, di Pino Scaccia (Editori Riuniti, pagg.238, lire 20mila). Scaccia, inviato del Tg1, da anni segue il fenomeno dei sequestri di persona, in Calabria, Sardegna, Toscana. È stato testimone di una quantità di storie e vicende tristi e penose; il sequestro, per esempio, del piccolo Farouk Kassam: rapito nel gennaio del 1992 e liberato sei mesi dopo; è stato proprio Pino a dare per primo la notizia del suo rilascio, dopo che era stato pagato un riscatto di cinque miliardi in parte, si sospetta, pagato con i fondi neri del Sisde, il servizio di sicurezza civile; o quello di Casella; e anche la tragica, e ancora per tanti versi oscura, vicenda di Luigi Lombardini: il magistrato cagliaritano che si è ucciso l’11 agosto del 1998, durante una pausa del lungo interrogatorio da parte dei magistrati palermitani guidati dall’allora capo della Procura Gian Carlo Caselli. Lombardini: quel magistrato, un pò sceriffo, che da sempre si era interessato ai sequestri di persona, che ad un certo punto viene estromesso dalle indagini; e che tuttavia continua a occuparsene, “privatamente”, ed è a capo di una “rete” composta da una sessantina di persone: investigatori, ex rapiti, sacerdoti, imprenditori, professionisti; e anche banditi o ex banditi alcuni molto noti: “Il fulcro, cioè gli elementi organici, secondo le rivelazioni di chi faceva parte di questa struttura parallela non prendevano soldi. Venivano invece pagati latitanti e fiancheggiatori. Certamente un’organizzazione che costava: una decina di miliardi l’anno, secondo gli inquirenti siciliani” (pag.39). Una struttura che agiva probabilmente a fin di bene; ma tutti noi sappiamo non esser vero che il fine giustifica i mezzi, piuttosto i mezzi qualificano il fine; peraltro di ottime intenzioni, dicono, sono lastricate le strade dell’inferno. I fondi per finanziare la “rete”, racconta Scaccia, “arrivavano attraverso le pieghe delle mediazioni. Nel caso di Miria Furlanetto, ad esempio, c’è una differenza (è stato accertato), di 150 milioni fra la cifra versata dalla famiglia e il riscatto arrivato ai banditi. Ma soprattutto c’era un gruppo di imprenditori disposti a pagare pur di evitare il sequestro”. (pag.39).
La teoria di Scaccia è che vi sia “uno strano, pesante filo che unisce tutte le disgraziate storie dei sequestri… Per il rapimento della Melis è stata arrestata una donna, secondo l’accusa è lei, Grazia Marine, la carceriera di Silvia. Sessant’anni, di Orgosolo, tre volte vedova, un fratello condannato per sequestro, il figlio per omicidio… Anche Farouk Kassam fu custodito da una donna. Anche lei vedova. Anche lei sicuramente di Orgosolo. È come continuare a rincorrersi. Trovando spesso gli stessi protagonisti. E ogni volta a riscrivere una storia che sembrava già chiusa. Finirà mai, davvero, questa storia infinita?”.
“La Nuova Sardegna” pubblica un’intervista a un misterioso interlocutore che il giornalista garantisce essere un agente del Sisde: “La legge sul blocco dei beni non è mai stata violata, ma solo aggirata e sempre dietro autorizzazione di uomini di governo… Dell’organizzazione, che costava una decina di miliardi l’anno, hanno fatto parte magistrati, esperti di sequestri, ufficiali dell’esercito, dei carabinieri e della polizia… I fondi arrivavano dallo Stato, da persone che avevano paura di essere sequestrate, da operatori turistici che per motivi economici volevano ridurre al minimo i rapimenti… Esiste un dossier che documenta tutta la nostra storia: chi siamo, chi ci ha creato, chi ci ha protetto e fatto crescere. Prima o poi verrà fuori. E ci saranno scintille. Non sarà un bel giorno, quello, per nessuno”.
Chissà. A questo mister X, Scaccia qualche credito sembra darlo. Noi ci limitiamo a registrare il fatto. Non abbiamo elementi per dire se davvero esiste questo dossier; ma se c’è, preferiremmo di gran lunga che venisse reso noto, e nonostante i promessi effetti deflagranti: comunque preferibili al ricatto che inevitabilmente esercita fin che resta custodito chissà dove.

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