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febbraio/2002 - Editoriale
A cena con i magistrati
di Paolo Andruccioli

Ci sono occasioni in cui vorresti rilassarti. Succede per esempio quando si sta a cena con amici, si chiacchiera del più e del meno davanti a qualche buon piatto. Piace a tutti stare insieme, frenare i ritmi vorticosi delle giornate, cercare di assaporare qualche raro momento spensierato. Ed è proprio allora che ti può succedere l’imprevisto. Qualche sera fa stavo a cena con amici. Si chiacchierava tranquillamente del più e del meno, della situazione politica, come dell’attualità che comprende ovviamente i giudizi sulla squadra della Roma, le difficoltà della Lazio, le imprese del Chievo e il ritorno della Juve e dell’Inter. Tra il giudizio su un film e una carrellata sulle ultime trovate dell’arte contemporanea, passando anche per le inevitabili battute sull’inquinamento e sulla situazione meteorologica che ci obbliga a passare dalla neve e dal ghiaccio sulle strade a un clima quasi primaverile, ad un certo punto il discorso si è fermato maldestramente sulla magistratura. Qualche battuta ingenua di qualcuno, qualche esagerazione verbale di qualcun altro ed è successo il patatrac. E sì perché a cena con noi, quella sera, c’erano due magistrati.
Vi sembrerà strano, ma il combattimento (dialettico, si intende) non si è giocato alla fine tra i magistrati e tutti gli altri o tra qualche “civile” e uno dei due magistrati. Il combattimento è stato invece tra loro. Un match aspro, veemente, senza risparmio di colpi, alcuni perfino bassi. Uno scontro che ci ha fatto capire tutta la tensione psicologica, professionale e perfino esistenziale che vive oggi una intera categoria che si sente attaccata e tradita dalla società, ma soprattutto dallo Stato.
La miccia di tutto è stato il giudizio sul discorso del procuratore Saverio Borrelli all’inaugurazione dell’Anno giudiziario e il ragionamento su tutte le vicende che si sono poi accavallate a proposito del processo Sme.
Da come hanno riletto i fatti di cronaca i due magistrati, che pure hanno vissuto una solida amicizia in passato e hanno collaborato in più occasioni, è emerso con chiarezza un diverso modo di affrontare il problema della giustizia.
Perché uno dei due si è mostrato più preoccupato di contrastare questa nuova tendenza a mettere il giudice all’angolo del ring, o meglio, per stare in tema, sul banco degli imputati. L’altro, il suo amico di sempre, era invece più preoccupato della necessità per ogni magistrato di rimanere saldamente ancorato alle tavole della legge senza cedere a nessuna tentazione di presenzialismo, di scelta politica di campo.
Uno accusava la Politica di voler uccidere la Magistratura e la Giustizia per difendere gli interessi privati, il Conflitto di interessi risolto a favore del più forte. L’altro accusava invece qualche suo collega di voler utilizzare tutte le armi a disposizione della Magistratura per poter arrivare alla conclusione dei processi che altrimenti vengono pesantemente inquinati, ritardati, deviati, trasferiti, derubricati.
Così se le sono dette di santa ragione, senza risparmiarsi appunto qualche giudizio al limite dell’offesa. “Alla tua età, tu non puoi far finta di non capire la differenza tra un Pm e un giudice”, ha detto a un certo punto uno dei due magistrati. E l’altro, di solito molto british nello stile e nel comportamento: “Queste cose valle a raccontare a qualche studente in legge, che sia iscritto al primo anno però, perché altrimenti c’è il rischio che ti rida in faccia”.
Si sono pronunciati giudizi che ovviamente nessuno dei due pensava realmente dell’altro e che sono sgorgati senza freni per dare un corpo alla passione. “Ora se la prendono tutti con i giudici di Milano, quando invece, qualche anno fa, erano considerati degli eroi, con il loro capo-eroe in testa, Antonio Di Pietro”. “Sì, va bene ricordare il voltafaccia di molti italiani, ma non dimentichiamoci che la nostra prima regola deve essere il garantismo. Non dobbiamo fare errori, la procedura deve essere sempre rispettata e non sono ammesse scorciatoie di nessun genere. È l’unico modo per non farci impallinare definitivamente e per applicare davvero la Legge”.
Il combattimento è passato così rapidamente dal terreno accademico a quello pratico, dalla storia del Diritto al cronaca del diritto quotidiano. Così uno dei due magistrati all’altro: “Ma ti sembra questo il momento di riproporre la nostra battaglia garantista quando in questo Paese viene infranta la legge ogni giorno. Non si fa altro che stiracchiare le norme, cambiare le carte in tavola a favore di chi deve fare degli affari?”. E l’altro per tutta risposta: “Lo vedi anche tu, però, che neppure la Sinistra progressista ha avuto un atteggiamento lineare su queste cose. Ci sono stati nostri colleghi che hanno deciso di fare i parlamentari per poter migliorare le cose. Ci sono colleghi che hanno avuto fiducia dello schieramento progressista dell’Ulivo. E allora qual è oggi il risultato? Tutti ci attaccano”. E subito l’altro: “Ma non lo vedi anche tu che cosa sta succedendo in Italia, che si mette in galera Vanna Marchi per darla in pasto all’opinione pubblica, quando poi non si riesce a processare gente che ha commesso reati di alto bordo”. “Sì però tu dimentichi che è colpa anche nostra, se siamo arrivati a questo punto. Il presente è frutto anche delle scelte che ci hanno diviso in passato e delle scelte che hanno diviso anche la Sinistra progressista”.
A un certo punto qualcuno di noi “civili”, imbarazzato per come si stava mettendo la cena, ha cercato di smorzare un po’ i toni. Qualcun altro, improvvido, ha ricordato invece che in carcere in questo momento ci sono migliaia di persone che forse sono anche innocenti e molte che stanno scontando pene severe per reati minori.
Un altro amico, tanto per rilassarci, ha raccontato di una sua esperienza con il Tribunale, una causa con un vicino di casa per un abuso edilizio.
Una storia che va avanti da quasi dieci anni, fatta di rinvii, di carte da bollo, di appuntamenti con gli avvocati, di parcelle.
Un altro, ancora più maligno, tanto per chiudere in bellezza la serata, ha ricordato che si sta cercando di cambiare perfino il Diritto del lavoro, contro gli interessi dei lavoratori, quando ci capita di sentire parlare Ministri che sostengono l’esatto contrario di quel che stanno facendo.
Ma chi sarà stato quel genio che ha scritto per primo la famosa frase sulla Legge in tutti i nostri tribunali?

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