Il simpatico volto di un popolarissimo attore ci ha sorriso, nei scorsi giorni, dalla cornice dello schermo televisivo in un intelligente spot promosso dal ministero per gli Affari Sociali: invita i cittadini a conoscere meglio i diritti della famiglia, riferendosi naturalmente alla recente legge sui congedi parentali, la n. 53 dell’8 marzo 2000.
Che i diritti siano definiti “della famiglia” non è casuale; la legge nasce infatti proprio da una nuova impostazione del ruolo della famiglia rispetto al complesso sistema pubblico che la aveva progressivamente schiacciata verso spazi sempre più angusti, trasformando la maternità e la paternità da ideali “luoghi” naturali, in una sorta di gara di sopravvivenza che vedeva coinvolta tutta la famiglia in una esasperante e meticolosa organizzazione del tempo libero e dei ritmi di lavoro.
La novità più significativa della legge consiste, senza ombra di dubbio, nel riconoscimento del diritto di astenersi dal lavoro ad entrambi i coniugi, a prescindere dal fatto che “l’altro” sia anch’esso un lavoratore o una lavoratrice; ed anche contemporaneamente se sono entrambi lavoratori. Dunque oggi, anche il lavoratore coniugato con una donna che non lavora, può beneficiare di questa legge e dedicare alla famiglia e ai figli più tempo.
La durata dell’aspettativa non è più di sei mesi nel primo anno di vita del bambino ma di dieci mesi, che possono essere utilizzati sino all’ottavo anno di vita del bambino. Sicuramente un’ottima opportunità per favorire i tempi della famiglia e vivere la paternità e la maternità come un valore ed un’irrinunciabile risorsa per tutta la società.
Una letterale inversione di tendenza rispetto ad un concetto di paternità e maternità spesso grettamente percepiti e rappresentati, negli ambienti di lavoro, come pure occasioni di privilegio. Ne sanno qualcosa tutte le lavoratrici madri che si sentono dire “chi te l’ha fatto fare di mettere al mondo un figlio?”
Non posso dimenticare, tra i tanti esempi di “illuminata” gestione (o mala gestione) del personale, il senso di mortificazione con cui appena qualche anno fa una collega ha dovuto vivere la maternità: saputo del suo stato interessante, il dirigente le disse, con quella classica ironia che distingue certe menti e che lascia naturalmente poco spazio al dialogo, (in genere ci si arrende di fronte a cotanta intelligenza) che la sua maternità gli ricordava Sofia Loren nel famoso film in cui una contrabbandiera metteva al mondo figli solo per non scontare in carcere la pena cui era stata condannata.
Siamo quindi di fronte al solito dualismo: da una parte una società che cerca di “ricomporre” i ruoli e gli spazi dei lavoratori restituendo alla sfera privata ciò che la sfera pubblica spesso mortifica, costringendola ad un’eterna tenzone con gli ottusi apparati burocratici, dall’altra la pervicace cultura gerarchica della macchina amministrativa della pubblica sicurezza che non si arrende ai cambiamenti e sino all’ultimo tenta di affermare, sopra ogni diritto dei lavoratori, un potere discrezionale che nel nostro sistema non sempre assolve a quella funzione per cui lo stesso è concepito nella più pura cultura giuridica, ma al contrario rafforza le dinamiche dei processi di sottomissione alla dirigenza che non “riconosce” i diritti ma li “concede”. Ogni volta che l’Amministrazione “può” fare o non fare qualcosa, nessuno capisce mai quale sia il metro di misura adottato, di sicuro ogni giorno sperimentiamo che il grado di “fedeltà” e “lealtà” espresso dal dipendente non è del tutto indifferente.
Sta di fatto che a quasi un anno dall’approvazione di questa importante legge sulla famiglia il Dipartimento della Polizia di Stato non ha ancora emanato la circolare che dovrebbe disciplinare alcuni significativi aspetti, quali la possibilità di beneficiare del congedo straordinario in luogo dell’aspettativa, particolare questo, non di poco conto perché risparmierebbe al lavoratore la decurtazione dello stipendio almeno per quarantacinque giorni.
Nei primi mesi di applicazione della legge sono già stati numerosi gli interventi del Coordinamento Donne Siulp, che grazie alla vigilanza democratica costantemente svolta dalle Segreterie provinciali ha potuto offrire il proprio contributo per vincere le resistenze dell’Amministrazione. In una questura si rifiutavano addirittura di concedere il periodo di astensione facoltativa, perché “non è ancora arrivata la circolare”.
Maturo sempre di più la convinzione che la vera schizofrenia del nostro apparato stia nel pensare che i diritti, gli spazi e le legittime aspettative dei lavoratori di Polizia debbano comunque discendere anch’essi, come gli ordini, dall’alto verso il basso, gentilmente concessi dalla gerarchia (a volte riscontriamo che al di fuori di ogni rituale percorso contrattuale, alcuni lavoratori chiedono e ottengono dai rispettivi dirigenti orari e modalità di lavoro, che nemmeno il più avanzato dei contratti potrebbe mai ottenere).
Anche sui congedi parentali e sugli altri diritti previsti dalla legge 53/2000, il vero obiettivo sarà questo: impossessarsi degli strumenti che la legge mette al servizio del lavoratore ed in particolare della famiglia, nuovo cittadino di questo Paese, e neutralizzare l’anacronistica tendenza a negare i diritti solo per poterli poi “concedere”. La difficoltà che in genere i lavoratori di Polizia hanno nel vedersi riconosciuti i propri diritti e le proprie conquiste democratiche, soprattutto in materia di tutela della famiglia, (basta verificare la percentuale di aggregazioni “per motivi di famiglia” che viene concessa) provoca solo un indebolimento della categoria e fa maturare la sensazione che i lavoratori di Polizia non hanno diritti ma solo, ed è cosa ben diversa, concessioni.
Per questo è innanzitutto importante comprendere che i diritti che questa legge riconosce, non sono solo diritti dei lavoratori ma diritti della famiglia, intesa come primario luogo di crescita e formazione degli uomini e delle donne e al cui interno si sviluppa tutta la sfera affettiva dell’individuo.
Sarà questo, a mio parere, uno dei fronti sindacali su cui si concentreranno, da parte della categoria, molte aspettative e sarà sicuramente un bel banco di prova per misurare la nostra capacità di promuovere e stimolare i veri cambiamenti, quelli culturali, quelli che attengono non solo all’organizzazione del lavoro ma, a monte, alla visione dell’uomo, della convivenza civile e della famiglia e al modo con cui tra essi devono interagire
Rita Parisi - Siulp Bologna
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