“Polizia e democrazia”, nel numero di settembre, ha pubblicato, tra gli altri, un articolo di Andrea Nemiz sui fatti accaduti a Genova a margine del G8 di luglio dal titolo a mio giudizio inquietante: “La Polizia perde la faccia”.
Dissento totalmente, caro Direttore, da tale granitica certezza, e le chiedo, cortesemente, di pubblicare questa mia “contro-testimonianza” sul prossimo numero della pregevole rivista da lei autorevolmente diretta.
L’evento G8 ha fornito lo spunto al mondo intero per esprimere pareri, lanciarsi in più o meno calzanti analisi a sfondo sociologico, fare esercizio di faziosità, sparare sentenze. Giornali e mass-media hanno avuto di che nutrirsi per lungo tempo ricavando - soprattutto in alcuni casi - insperata notorietà e visibilità. Dalle barricate è piovuto di tutto ma è innegabile che alla fine dei conti i colpi di sfollagente meglio assestati sono stati messi a segno su un bersaglio paradossalmente inerme: le Forze dell’ordine.
È per questo motivo che ho la presunzione di voler dire la mia offrendo una ulteriore prospettiva interpretativa, quella di un poliziotto - genovese nato a Genova - profondamente offeso come difensore dello Stato e profondamente colpito da quanto di negativo e a tratti devastante si è abbattuto sulla sua bella città.
È difficile spiegare compiutamente quello che si è vissuto a Genova nei giorni del Vertice, dal pomeriggio di giovedì 19 luglio a quello di domenica 22. È difficile ma è doveroso tentare di farlo.
Da poliziotto dico che non si può accettare silenziosamente la colpevolizzazione delle Forze dell’ordine che è stata fatta da alcuni mass-media e uomini politici.
Da genovese dico che non si può accettare silenziosamente che si parli di quello che è successo a Genova solamente in relazione agli eventuali abusi commessi da singoli appartenenti alle Forze dell’ordine.
Premessa fondamentale: a mio giudizio, la globalizzazione estende il progresso ma va guidata, indirizzata perché si svolga in accordo con leggi e comportamenti corretti, e il principio di una equa ripartizione della ricchezza è e rimane una giusta causa. Altrettanto chiaro deve essere che tutti hanno il diritto di esprimere liberamente le proprie idee, anche e soprattutto quando sono opinioni critiche, ma questo diritto deve essere sempre improntato al rispetto delle leggi vigenti e al rifiuto della violenza.
A Genova non è successo questo e la cosa assurda è che l’immagine che hanno fornito certi organi di informazione su quello che è successo nella mia città (una vera e propria disinformazione, taluni addirittura riportando notizie false per screditare agli occhi dell’opinione pubblica l’operato delle Forze di polizia…..) è un’immagine falsa e distorta, che sembra volere mettere solamente gli appartenenti alle Forze dell’ordine (Polizia Penitenziaria e di Stato, Carabinieri, Guardia di Finanza, Corpo Forestale) sul banco degli imputati.
Non è un caso che alla fine di agosto la Procura di Genova abbia aperto un fascicolo contro ignoti per la pubblicazione di notizie false e tendenziose, tese a screditare anche l’operato delle Forze di polizia, partendo da un elenco di episodi, denunciati dal Genoa Social Forum, che sono stati verificati dagli agenti della Questura genovese e che non hanno trovato riscontro nella realtà (ad esempio, il caso di alcune ragazze austriache che hanno denunciato abusi sessuali).
Sergio Romano, sul Corriere della Sera, ha evidenziato molto chiaramente questo particolare aspetto che sembra mettere sotto accusa solamente l’operato delle Forze dell’ordine. La Polizia è inquisita, ma i manifestanti sospetti sono rilasciati. Si parla molto di eccessi polizieschi ma poco o nulla delle responsabilità di coloro che hanno deliberatamente provocato. Le colpe di alcuni agenti sembrano essere considerate più gravi della strategia con cui i contestatori sono scesi in piazza e delle complicità da cui hanno tratto vantaggio.
Posso comprendere le preoccupazioni dei magistrati inquirenti e il loro desiderio di evitare decisioni affrettate, soprattutto quando le prove contro i dimostranti non sono del tutto conclusive. Ma se alla fine dei conti, quando le indagini saranno completate, i colpevoli saranno principalmente poliziotti, il giudizio non rispecchierà né la realtà dei fatti né le attese degli italiani.
Non si può, insomma, accettare che gli aggressori diventino aggrediti!
Dare un senso a quello che è successo è impervio perché - al di là della cronaca strettamente giornalistica sui sistematici episodi di guerriglia urbana che hanno messo Genova a ferro e fuoco, al di là della descrizione dell’ampiezza e dell’importanza dei temi trattati dagli Otto Grandi nelle sale maestose di palazzo Ducale - nella famigerata “zona rossa”- mentre, fuori, la città bruciava (e non solo per la torrida temperatura estiva ….) – chi era nel capoluogo ligure in quei giorni ha vissuto stati d’animo e sensazioni, anche fisiche, che è quasi impossibile riportare per iscritto.
Mi riferisco a quello che si è provato nel vivere per 96 ore con il rumore sistematico degli elicotteri che, giorno e notte, hanno sorvolato una città spettrale. Accenno alle strade irrealmente deserte, all’aria viziata dai fumi delle macchine e delle banche incendiate, al gusto acre dei lacrimogeni, alle gimcane forzate che i pochi automobilisti hanno dovuto affrontare tra i cassonetti della spazzatura dati alle fiamme, i frutti delle devastazioni ed i saccheggi, le macerie della nostra città.
I dati di quei “tre giorni di autentica follia”, seppure ancora parziali, parlano da soli. Un manifestante è morto, diverse centinaia sono stati i feriti ed altrettante centinaia gli arresti.
Sono stati danneggiati - incendiati o distrutti - un centinaio di veicoli, tra auto e moto, 45 negozi tra cui sei supermercati, sette banche e 51 agenzie di credito, nove uffici postali, 20 distributori di benzina, 23 edifici pubblici e quattro di civile abitazione. Danni economicamente quantificati in decine di miliardi.
Particolare inquietante: tra gli edifici danneggiati a seguito delle manifestazioni del 20, 21 e 22 luglio ci sono le caserme dei Carabinieri di San Giuliano (danni per 50 milioni circa) e di San Martino (40 milioni), il carcere di Marassi (60 milioni) le caserme della Polizia Stradale di via Saluzzo (70 milioni) e P. Ilardi (50 milioni), la caserma della Guardia di Finanza di via Nizza (50 milioni).
La furia delle migliaia di criminali specializzati in guerriglia urbana si è riversata anche su decine e decine di cassonetti dell’Azienda di igiene urbana ed elementi di arredo urbano e di segnaletica, una decina di cabine telefoniche, 6 cabine dell’Azienda trasporti urbani, 1 carro attrezzi, 1 centralina per il rilevamento dell’inquinamento atmosferico. Rilevanti anche i danni prodotti a centinaia di edifici pubblici e privati, deturpati dalle scritte fatte con la vernice dai manifestanti, e alle vetrine e insegne infrante a centinaia di negozi.
Solo colpa del Black bloc, il “blocco nero” anarco-insurrezionalista violento ed oltranzista, valutato in circa 500 italiani e 2.000 stranieri (perlopiù tedeschi, spagnoli, greci, inglesi e statunitensi)? Principalmente, ma non esclusivamente.
I disordini di Genova, come ha riferito il Capo della Polizia De Gennaro in sede di audizione presso il Comitato parlamentare Paritetico sui fatti accaduti nel capoluogo ligure a margine del G8, hanno segnato l’ulteriore affermazione e l’espansione sulla scena internazionale di un nuovo soggetto.
Un soggetto composito che, come si è visto a Genova in forme più evidenti e come era emerso anche nei precedenti incontri internazionali, tenta di fare coesistere l’anima genuina e pacifista con alcune componenti di tipo estremista ed altre di tipo eversivo.
Nel capoluogo ligure, in particolare, ad una situazione già di per sé complessa si è aggiunta, da un lato, una dichiarata volontà di alcuni gruppi di impedire il vertice, dall’altro, una azione particolarmente violenta di “professionisti della guerriglia”.
Questo fa apparire in maniera sufficientemente chiara che i disordini di Genova non possono essere attribuiti solo all’azione dei Black bloc, ma hanno visto coinvolti un elevato numero di manifestanti comunque predisposti ad uno scontro con le Forze dell’ordine.
A Genova sono arrivate decine di migliaia di manifestanti di ogni età e fede, gente assolutamente pacifica convinta che marciare in tranquillità contro il G8 aiuti i poveri del mondo. “Ma anche inconsapevole” ha scritto Giampaolo Pansa su L’Espresso “di essere destinata a un ruolo sommamente rischioso: quello di fare da copertura a un piano violento che ha per scopo l’umiliare il texano Bush e il suo servo sciocco, l’odiato Berlusconi”.
Senza commento l’intervista rilasciata al quotidiano La Repubblica del 3 agosto da Luca Casarini, portavoce dei centri sociali del Nord Est e delle Tute bianche: “Rivendico di avere fatto le barricate a Genova. Era legittima protezione…Le Forze dell’ordine volevano ucciderci… Sì, è vero. Le Tute bianche hanno partecipato alla guerriglia che si è scatenata nel pomeriggio di venerdì 20 luglio, quando è stato ucciso Carlo Giuliani…E sabato non erano più soltanto i Black bloc a tirare i sassi, ma migliaia di persone”
Alle manifestazioni del G8 hanno partecipato, in sostanza, almeno diecimila dimostranti violenti che perseguivano scopi di guerra ed hanno fatto del loro meglio per provocare le reazioni della Polizia. Si sono confusi con i gruppi pacifici, li hanno usati per farsene scudo, hanno distrutto proprietà pubbliche e private, hanno deliberatamente creato condizioni in cui le Forze dell’ordine avrebbero colpito inevitabilmente, al tempo stesso, i colpevoli e gli innocenti.
Significativo il dato fornito dalla Questura di Genova sulle 329 persone denunciate e arrestare per gli scontri: il 50% ha precedenti specifici per fatti di reato commessi in manifestazioni di ordine pubblico e, di questi, il 30% sono quelli fermati durante il blitz alla scuola Diaz.
Vi è stata, a Genova, una strategia della violenza, freddamente concepita e realizzata. E vi è stata, nei gruppi pacifici, una responsabilità oggettiva (e non solo) originata da colpevole leggerezza.
Vi è stato un clima avvelenato da alcune dichiarazioni inquietanti – pre e post G8 – di Luca Casarini (tra le altre: la sua “dichiarazione di guerra ai potenti dell’ingiustizia e della miseria” del 26 maggio scorso con la quale aveva bandito la crociata e dichiarato che “porteremo la guerra a Genova”; la sua affermazione, nella citata intervista rilasciata a Repubblica del 3 agosto, che “… le Tute nere non vanno criminalizzate, sono una realtà storica, vittime di un forte disagio sociale..” e che a Genova, lui, le uniche Tute nere che aveva visto “… erano quelle dei carabinieri…”) e di Vittorio Agnoletto, portavoce del Genoa Social Forum (che il 23 luglio ha diffuso una bugia irresponsabile parlando addirittura di desaparecidos – “A Genova ci sono quattrocento giovani dispersi, di cui non si sa più nulla” –, che dopo i gravissimi episodi di venerdì 20 non ha voluto sospendere il caotico corteo programmato per il giorno dopo, al quale Pansa, nella sua rubrica “Bestiario” pubblicata su L’Espresso del 2 agosto, ha dedicato il seguente profilo: “Le sue doti primarie mi sembrano tre: un fondamentalismo senza argini, un assoluto cinismo tattico, una formidabile abilità mediatica di spacciare il falso come se fosse vero. È il primo a gridare, quando l’irruzione alla scuola Diaz non c’è ancora stata, che l’Italia assomiglia al Cile di Pinochet. Rifiuta di sospendere il corteo del 21 luglio e manda al disastro trecentomila giovani”).
Ma anche da sconcertanti affermazioni di alcuni parlamentari dell’opposizione (persino chi ha rivestito importanti incarichi istituzionali ….) che hanno preso pretesto dai fatti di Genova per demonizzare il Presidente del Consiglio Berlusconi, il suo esecutivo di centro-destra e le Forze dell’ordine.
Non parlo solo di Rifondazione Comunista, una delle componenti del Genoa Social Forum, in prima linea a criticare l’operato delle Forze di polizia.
Si pensi ai Democratici di Sinistra, protagonisti dell’ultima notizia politica della vigilia che, sempre secondo Giampaolo Pansa (e non solo…), si è rivelata anche la più grottesca. La notizia riguarda il vertice dei Ds che, la sera di martedì 17 luglio, ha deciso di scendere in piazza contro l’Impero del male chiamato G8. E ha invitato a marciare sulla Lanterna non soltanto i capi del partito, ossia se stessi, ma anche gli iscritti e gli elettori. Perché notizia grottesca? Così lo ha spiegato Pansa sulle colonne de L’Espresso: “Perché sono stati proprio i Ds, quando erano al governo e lo guidavano con Massimo D’Alema, a offrire come sede del vertice ‘una città di sinistra’, ossia Genova. Perché i capi della Quercia, se il 13 maggio avessero vinto le elezioni, oggi starebbero nel cuore della zona rossa accanto all’imperatore Bush e agli altri vice-imperatori. Perché adesso i vip diessini staranno assediando, a rimorchio degli Agnolotto e dei Casarini, i loro compagni della sinistra europea Blair, Jospin, Schroeder”.
I fatti di Genova, secondo alcuni politologi, hanno rappresentato per la sinistra politica una sorta di “riscatto” dalla campagna elettorale persa con l’evidente obiettivo di demonizzare chi, quelle elezioni, le ha democraticamente vinte: Silvio Berlusconi e la Casa delle libertà
Non si può accettare il parallelo assurdo fra i fatti più cruenti di Genova e il Cile golpista di Pinochet fatto da diversi parlamentari e giornali, paragone finalizzato a mortificare le Forze dell’ordine.
L’Unità del 23 luglio ha scritto: “Assalto alla Pinochet a Genova” e “La notte cilena di via Battisti”. Il 24 luglio, sempre su L’Unità, un politico pur assennato come Nando Dalla Chiesa ha parlato di “Garage Olimpo”, uno dei luoghi dove gli squadroni della morte argentini di Videla torturavano i desaparecidos. Il 27 luglio Pietro Folena ha parlato di “violenze di sapore cileno”, il giorno dopo Cesare Salvi ha detto di “ritenere che all’interno delle Forze di polizia ci sia una minoranza di estrema destra che si ritiene legittimata a comportamenti cileni”. Lunedì 30 luglio, Gavino Angius ha scelto un altro confronto storico: “L’orgia del potere dei colonnelli greci”, un orgia dove le vittime erano dei dimostranti incolpevoli.
Si è insomma gridato e scritto: ecco i primi esiti perversi del governo Berlusconi-Fini-Bossi! E si dimentica che in marzo a Napoli, in occasione dei lavori del Global Forum, sotto il governo ulivista e di centro-sinistra di Giuliano Amato, si erano avuti identici momenti di estrema tensione e scontro tra Forze di polizia e manifestanti. Allora, però, quasi nessuno se ne interessò. Come mai?
Ancora, D’Alema il 25 luglio: “Ho dovuto leggere sui giornali spagnoli e tedeschi le cronache di quello che è successo a Genova. Non vorrei che questo fosse il segno inquietante della mancanza di libertà dell’informazione”. Violante “corregge il tiro” l’8 agosto: “C’è un battage talmente pesante sui media italiani e stranieri che non dicono una parola sul fatto che di 20 mila uomini che erano a Genova – si tratta degli appartenenti alle varie Forze dell’ordine – soltanto poche centinaia hanno commesso fatti inaccettabili”. Sempre D’Alema il 26 luglio: “Rappresaglie di tipo cileno … atti di violenza di tipo fascista”; ancora Violante, l’8 agosto, “medica” le affermazioni dell’ex presidente del Consiglio: “Bisogna fare chiarezza per fermare il processo di criminalizzazione della Polizia”.
Al riguardo Piero Ostellino, editorialista del Corriere della Sera, ha scritto: “Le parole di Violante sarebbero rassicuranti se la sinistra avesse subito preso le distanze dagli Agnoletto e dai Casarini. Invece non lo sono. Infatti, se nello spazio di una quindicina di giorni prima D’Alema contribuisce a delegittimare le Forze dell’ordine, poi Violante, dopo aver minacciato lui stesso il ricorso alla piazza, cerca di rimediare, significa che qualcosa nei Ds non funziona. Sopravvive la ‘doppiezza togliattiana’ (ma senza il responsabile realismo di Togliatti), permane l’abitudine di dire tutto e il contrario di tutto, di tirare la pietra e nascondere la mano; si continua ad inseguire l’illusione di essere contemporaneamente ‘partito di lotta e di governo’, rimane l’ossessione di non avere ‘nessun nemico a sinistra’ che induce al tatticismo esasperato. Gli effetti sull’opinione pubblica sono devastanti”.
Ostellino racconta di avere ricevuto una lettera in cui, raccontando della morte del manifestante Carlo Giuliani, un suo lettore gli ha scritto: “Si cerca in ogni maniera di gonfiare il pericolo cui sarebbe incorso il carabiniere (non sarà simpatico che ti lancino un estintore, ma non si è mai sentito di nessuno morto in questa maniera)”.
Come dire: compito delle Forze dell’ordine – come è successo a Genova – è essere oggetto di lanci di bottiglie molotov, di bombe carta, di sassi presi dai binari ferroviari, di biglie di ferro, di estintori, di bottiglie di vetro artificiosamente riempite d’acqua per ottenere effetti più dirompenti, di tubi di ferro; è rischiare di essere linciati da criminali armati di bastoni, mazze ferrate, catene di ferro e tutto quello che può capitare in mano durante le fasi di una guerriglia urbana.
Insomma, compito delle Forze dell’ordine è prenderle. Se no, sono antidemocratiche. Peggio, fasciste.
La cronaca nuda e cruda racconta che giovedì 19 luglio un corteo interminabile di 50 mila persone si è snodato per tre ore nelle strade di una Genova blindata. È il corteo dei migranti, irriverente, ribelle ma sereno, variopinto e ordinato, chiassoso e pacifico, con un occhio alla vita disperata di tanti immigrati. Unici momenti di tensione, davanti alla Questura. Protagonista il gruppo anarco-insurrezionalista Black bloc. Un faccia a faccia nervoso con i poliziotti schierati. Volano pietre e bottiglie, c’è un tentativo di aggredire alcuni poliziotti della Digos, scatta una carica, ma intervengono i manifestanti pacifici e gli avvocati del Genoa Social Forum con la pettorina gialla a ristabilire la calma.
Venerdì 20 luglio: primo giorno del G8. Un giovane manifestante ucciso, centottanta feriti, alcuni dei quali gravi, una città sconvolta da nove ore di guerriglia urbana, quartieri nella morsa della paura, ostaggio delle incursioni delle Tute nere. Una devastante furia criminale ha messo a ferro e fuoco Genova e in particolare i quartieri di Brignole, Foce, Marassi, San Fruttuoso e San Martino. Gli incidenti cominciano poco prima di mezzogiorno in corso Buenos Aires (proprio sotto gli uffici del Provveditorato Regionale della Liguria) e proseguiranno fino in tarda serata. Sono bruciate macchine, cassonetti dell’immondizia, banche, distributori di benzina, automezzi delle Forze di polizia. Un gruppo di Black bloc tenta l’assalto al carcere di Marassi, lanciando diverse bottiglie molotov contro la struttura penitenziaria e distruggendo i vetri di alcune finestre prospicienti la strada.
Un episodio estremamente grave ma che si sarebbe potuto evitare se chi era preposto all’ordine pubblico avesse recepito, al riguardo, le nostre preoccupazioni dei mesi scorsi ed avesse potenziano il numero delle unità addette alla sorveglianza esterna della struttura carceraria.
Si pensi alle segnalazioni delle strutture sindacali del Sappe. (che da qualche tempo avevano sottolineato come il penitenziario di Marassi potesse essere un obiettivo a rischio nei giorni del G8) e poi anche quelle istituzionali del Dipartimento (da ultimo l’articolo di Paolo Mancuso sull’impiego della Polizia Penitenziaria durante i giorni del Vertice a Genova e sulla detenzione degli eventuali responsabili di episodi criminosi, pubblicato sul numero di giugno de Le Due Città – “…L’utilizzazione degli istituti genovesi in funzione detentiva è esclusa. Troppo esposti a possibili attacchi e provocazioni sono quelle strutture ed il personale che quotidianamente vi si reca al lavoro. Ovviamente, le unità che le presidiano saranno adeguatamente rinforzate…)
Nei quartieri genovesi segnalati in precedenza, intanto, con una tattica di guerriglia urbana che si è sviluppata “a macchia di leopardo”, proseguono violenti scontri tra manifestanti e Forze dell’ordine, oggetto di attacchi di inusitata violenza.
L’episodio più grave si verifica verso le 17 in via Caffa, nei pressi di piazza Alimonda. Numerosi manifestanti, gran parte dei quali a volto coperto, aggrediscono un contingente di carabinieri. Durante queste fasi concitate, come ha riferito il Comandante Generale dell’Arma Siracusa in sede di Commissione parlamentare sui fatti di Genova, due automezzi – Land Rover Defender - di supporto logistico, inviate sul posto per il prelevamento di militari rimasti intossicati, rimangono isolate. Mentre una riesce con grande difficoltà a sganciarsi e a raggiungere il resto del contingente di carabinieri, l’altra rimane bloccata da un cassonetto dell’immondizia lanciato dai dimostranti che cominciano ad attaccare il mezzo e i tre carabinieri a bordo con estintori, spranghe, tavole di legno e con il lancio di blocchi di granito divelti dai marciapiedi che infrangono i vetri del mezzo. Sul sedile posteriore ci sono due militari che in precedenza erano stati colti da malore per una prolungata esposizione al fumo dei lacrimogeni.
Sono attimi drammatici. Uno dei due carabinieri seduto sul sedile posteriore, ripetutamente colpito alla testa e sanguinante, si accorge che il mezzo è circondato da una quarantina di esagitati; impugna la pistola d’ordinanza e intima loro di allontanarsi. L’aggressione diventa invece ancora più violenta e uno dei manifestanti (Carlo Giuliani) si avvicina al veicolo dalla parte posteriore con la chiara intenzione di lanciare un estintore all’interno dell’autovettura, che già presentava il lunotto infranto. In questo momento di particolare tensione il carabiniere, per difendersi da quello che risultava ormai un vero e proprio linciaggio, esplode due colpi di pistola uno dei quali raggiunge, uccidendolo, Carlo Giuliani. L’autista riesce quindi a ripartire e, nella manovra di disimpegno, non si accorge del cadavere del manifestante e lo investe.
A uno dei due carabinieri seduti sul sedile posteriore della macchina saranno poi riscontate diverse contusioni al naso, allo zigomo destro, alla spalla sinistra e al piede destro, mentre all’altro, quello che ha sparato, un trauma cranico e contusioni multiple all’arto inferiore. All’interno della Land Rover danneggiata dai dimostranti vengono successivamente rinvenuti numerose pietre e corpi contundenti lanciati dai facinorosi ed evidenti tracce di sangue dei militari feriti.
Eppure la realtà dei fatti è che Carlo Giuliani non è un simbolo né tanto meno un martire come si sta tentando di farlo apparire deformando verità e giustizia.
Lo ha anche scritto in una lettera aperta ai genitori di Giuliani, pubblicata sul quotidiano genovese Il Secolo XIX, un prete no global che era a Genova a manifestare. Le immagini immortalano Carlo Giuliani con un estintore in mano, pronto al lancio, pronto a colpire. Se avesse potuto uccidere, in quel momento, avrebbe ucciso. Giuliani non era con le centinaia di migliaia di ragazzi e ragazze pacifici e non violenti, ma era in prima fila, là solo dove i violenti dominavano la piazza.
È per questo che, pur con tutto il rispetto cristiano per il dolore tremendo dei genitori, non posso credere, proprio per come è successo quello che è successo in via Caffa, che Carlo Giuliani credesse, come ha detto il padre in occasione del trigesimo della morte, nel Valore della Pace.
Il viso travisato da un passamontagna, un rotolo di nastro adesivo per sigillare pacchi al braccio necessario per preparare bottiglie molotov, in prima linea nel lanciare tutto quello che capitava sotto mano alle Forze dell’ordine e in quello che sarebbe diventato un vero e proprio linciaggio di tre carabinieri responsabili unicamente di indossare una divisa: sono forse questi i comportamenti di un ragazzo che crede nella Pace?
La guerriglia, intanto, prosegue dappertutto, come continuerà per l’intera giornata di sabato, con gli animi dei manifestanti particolarmente accesi per la morte di Carlo Giuliani. Centinaia gli slogan gridati contro la “Polizia assassina” con altrettante centinaia di scritte sui muri con la vernice spray. Destinatari? Le Forze dell’ordine e il governo, entrambi accomunati e identificati da un solo, terribile, vocabolo: assassini!
Non voglio parlare di quello che è realmente successo all’interno della scuola Diaz - il famoso blitz della Polizia - la notte di sabato, operazione di servizio che si rese necessaria viste le numerose segnalazioni di autonomi violenti del Black bloc presenti in quelle aule. Sarà la magistratura che accerterà come si sono svolti i fatti.
Mi limito a notare che l’arrivo dei poliziotti è stato “salutato” da alcuni occupanti l’istituto scolastico con il lancio di oggetti e pietre - addirittura un martello -, che uno o più pacifici ragazzi hanno sferrato una coltellata ad un agente - che si è salvato solo grazie all’imbottitura rinforzata del giubbotto d’ordinanza -, che trovo strano che tutti quei ragazzi stessero tranquillamente dormendo quando la Polizia ha fatto irruzione nell’istituto – sfondando un cancello sbarrato con un proprio mezzo e con l’elicottero che seguiva l’operazione fermo in aria all’altezza delle finestre -, che sono emerse voci per cui il sangue che si è visto abbondantemente nei servizi giornalistici televisivi sulle pareti e sul pavimento fosse di occupanti l’istituto feriti negli scontri di piazza del pomeriggio che hanno rifiutato di andare in ospedale per non essere identificati, che parte di quelle macchie sarebbero state “diluite” con mercuro-cromo e pomodoro.
Altrettanto non dirò sulla famosa struttura interforze di Bolzaneto, in cui sono transitati i facinorosi arrestati prima di essere assegnati in strutture penitenziarie. Prendo atto che esistono intercettazioni ambientali dei carabinieri fatte nel carcere di Alessandria in cui alcuni giovani stranieri arrestati per gli scontri di Genova, che raccontarono ai propri avvocati e ai giornalisti di essere stati massacrati dalle Forze di polizia nella caserma di Bolzaneto, si compiacciono di essersi inventato tutto per fare clamore sui giornali contro le Forze dell’ordine. Come le ragazze austriache che hanno vaneggiato presunti abusi sessuali ai loro danni. O le palesi falsità raccontate contro un medico dell’Amministrazione penitenziaria che “strappava” i piercing agli arrestati. O contro i nostri colleghi della Polizia penitenziaria che lì operavano insieme agli appartenenti alla Polizia di Stato ed all’Arma dei Carabinieri, donne ed uomini ai quali va tutta la mia solidarietà, sentimento che intendo estendere a tutti gli operatori delle Forze dell’ordine che hanno operato a Genova in occasione del G8.
Sia chiaro: non escludo nulla e nemmeno l’ipotesi che nelle “quattro giornate di Genova” possano essere commessi eventuali abusi. Compete alla magistratura accertarlo. Questi abusi, però, devono essere contestualizzati in una vera e propria guerriglia urbana che si è combattuta a Genova principalmente contro i poliziotti, i carabinieri, i finanzieri, tutti quelli, insomma, che portavano addosso una divisa dello Stato.
A Bolzaneto hanno riempito una stanzone molto grande con tutti gli oggetti trasformati in armi sequestrati agli arrestati durante gli scontri. Mazze, catene, veri e propri arieti di acciaio, tubi ferrosi, coltelli …… e chi più ne ha – per ferire o ammazzare qualcuno –, più ne metta. Tutto materiale usato contro le Forze di polizia che a Genova hanno combattuto, loro malgrado, una guerra.
Vorrei che vedessero questo materiale tutti, ma veramente tutti, quelli che hanno parlato di G8 e degli scontri di Genova. Credo che dopo questo “spettacolo” non avrebbero più alcun dubbio per capire chi erano gli aggrediti e chi gli aggressori. Con buona pace dell’ipocrisia politica e dell’inversione dei ruoli.
Come ha sottolineato Piero Ostellino sul Corriere della Sera, l’Italia del centrodestra non è il Cile di Pinochet e non sono “cilene” neppure le sue Forze dell’ordine (se non negli stipendi…) come non sono – per la par condicio - paragonabili a quelle cinesi che sterminarono gli studenti che chiedevano libertà e democrazia nella ormai storica piazza Tienanmen.
I media ne hanno parlato abbondantemente, l’opinione pubblica si è allarmata, l’opposizione ha chiesto al Governo di risponderne in Parlamento, cosa che è stata fatta, ed è nata una commissione Parlamentare con il compito di accertare i fatti. La giustizia amministrativa ha individuato le responsabilità operative mentre quella ordinaria indaga su quelle penali. Così vanno le cose in un Paese di democrazia liberale e in uno Stato di diritto.
Perché allora si è sollevato il gran “polverone cileno” (e non anche quello “cinese”)?
Perché la cultura politica di molti italiani è la stessa di chi tira le pietre, credendosi democratico. E perché la sinistra, che non si rassegna ad aver perso le elezioni, spera di (ri)conquistarne il consenso, è ancora in campagna elettorale e, in vista del suo congresso, oscilla fra la vecchia identità di forza di governo e una nuova identità di forza movimentista.
A incarnarne lo stato confusionale è persino Luciano Violante, tanto apprezzabile, per compostezza e moderazione, quando vestiva i panni istituzionali di presidente della Camera, quanto esagitato e massimalista ora, in quelli di capogruppo dei Ds.
Per concludere su quello che è successo a Genova in occasione del G8 mi faccio e faccio le seguenti domande: disubbidire alle leggi per manifestare contro la globalizzazione è un diritto? Le buone intenzioni e le cause giuste giustificano il mancato rispetto delle leggi? Cercare di penetrare in una zona presidiata dalla polizia per ragioni di sicurezza – come pretendevano gli antiglobalisti “pacifici” – è affermare un principio di libertà o violare l’ordine pubblico? Chi manifesta violentemente è, poi, una vittima delle Forze dell’ordine o un potenziale rivoluzionario che affronta consapevolmente un rischio?
E ancora: l’ordinamento giuridico (la Costituzione) di un Paese di democrazia liberale deve contemplare anche il diritto alla rivolta? Farsi giustizia da sé, reagendo all’intervento delle Forze dell’ordine, è reato o legittima difesa? Carlo Giuliani è morto per “legittima difesa” – come continua a sostenere il capo delle Tute bianche, Luca Casarini – o perché “un carabiniere ha scelto di non diventare una medaglia d’oro alle memoria” (come ha detto suggestivamente un giornalista non sospettabile di simpatie “cilene”, Toni Capuozzo)? Le Forze dell’ordine dovrebbero limitarsi a “fare barriera” contro la pressione dei dimostranti o hanno anche il diritto-dovere di “caricarli” per preservare l’ordine pubblico?
Per ultimo: la morte di un carabiniere o di un poliziotto è democraticamente più “accettabile” di quella di chi è andato al loro assalto? È giusto che a pagare per i fatti di Genova siano solamente i poliziotti, i responsabili dell’ordine pubblico “rimossi” dai loro incarichi forse troppo frettolosamente dal Ministro dell’Interno Scajola, e non anche chi ha organizzato e gestito la manifestazione degli antiglobalisti?
Domande scomode, per qualcuno, ma che attendono risposte. Soprattutto dall’opinione pubblica, nel rispetto di chi serve il proprio Paese, sempre e comunque, in pace e con grande responsabilità. Come a Genova, dove la Polizia (si chiami Penitenziaria o di Stato, Carabinieri o Finanza) non è vero che ha perso la faccia!
Roberto Martinelli
Seg. Reg. Liguria - Sappe
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