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gennaio/2002 - Interviste
Scuola
Un “telefono nemico” contro gli insegnanti?
di Giancarla Codrignani

L’istruzione pubblica è un terreno privilegiato per valutare le scelte politiche. Ma anzitutto si devono respingere interventi di segno repressivo che contraddicono i valori stessi della didattica

Sono state già acquisite - a prescindere dagli stati generali di Roma - modificazioni della Pubblica Istruzione che,alla spicciolata, sono state presentate al Paese attraverso intenzioni governative espresse a San Patrignano piuttosto che in Parlamento, leggine e circolari che hanno modificato radicalmente la struttura della scuola italiana. Per esempio la divisione fra licei per chi aspira alle professionalità alte e istituti professionali per chi è destinato al lavoro, la cancellazione della lingua straniera e dell’inglese dalle scuole elementari, l’investimento di 200 miliardi per immettere nei ruoli dello stato 13mila insegnanti di religione, il carico sugli insegnanti fino a 30 giorni delle assenze dei colleghi, la riduzione a opzionalità e a pagamento del tempo pieno o della storia dell’arte e dell’educazione fisica.
Ci sono, però, interventi che attengono alla moralità pubblica e alla pedagogia civile e che, in un modo o in un altro, proprio per l’essere riferiti alla scuola, tendono a contaminare il costume e ad alterare le regole della convivenza.
A Bologna un parlamentare di Forza Italia che è anche consigliere comunale, l’onorevole Fabio Garagnani, ha attivato nel suo ufficio in Comune una linea telefonica perché genitori e studenti, a conoscenza di insegnanti che nelle ore di lezione criticano il governo e fanno politica, possano esprimere le loro “sacrosante rimostranze e denunce”.
Lasciamo da parte le reazioni della città, le proteste degli studenti, le riserve del Provveditorato agli studi e dello stesso ministero della Pubblica Istruzione o l’apertura da parte della magistratura di un’indagine per accertare la sussistenza di estremi di reato. Lasciamo perdere anche l’uso delle linee telefoniche comunali per l’iniziativa personale di un consigliere. Vediamo invece il senso di un’operazione a suo modo esemplare.
Esemplare di quell’attenzione occhiuta e violenta che connota i metodi del controllo sociale repressivo e, in genere, delle dittature. Qualcuno dice sinteticamente: del fascismo. Si può essere d’accordo sulla generalizzazione eccessiva dell’attributo che impedisce di cogliere le differenze tra fascismo, nazismo, colonnelli greci o Pinochet; ma ci sono situazioni che evidenziano la forma-base autentica del fascismo. Tanto è vero che la linea telefonica è stata sommersa da insulti e proteste, ma non sono mancate le denunce. Il che significa che la cultura democratica resta lontanissima dai criteri illiberali, ma è esposta a paure di insicurezza e a tentazioni di forza per sé non eversive, ma premessa di degrado della vivibilità sociale.
Si tratta di episodi che vanno tenuti d’occhio. Infatti che cosa se ne fa un parlamentare dei dati che ha registrato? Ha una collezione privata? Informa il Parlamento o la Polizia? E, intanto, torna la logica dei reati d’opinione? Si potrà limitare lo studio della storia contemporanea, la lettura dei libri di tendenza?
La scuola è terreno privilegiato per valutare le scelte politiche. A prescindere dalle ideologie che dividono la destra dalla sinistra, va ricordato che la prima, grande riforma dello stato unitario fu quello dell’istruzione pubblica, obbligatoria per tutti e laica e che fu riforma liberale. In tempi recenti la sinistra prospettava il “diritto” all’educazione in un percorso che congiungeva l’asilo-nido con l’educazione permanente attraverso tutti i gradi e le diversificazioni qualitative.
Destra e sinistra, comunque, hanno incentrato nel nostro Paese l’idea della formazione scolastica sulla libertà, secondo il combinato che lega l’art.21 della Costituzione (“tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero…”) al 33 (“L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento…”). Il che appare ovvio e perfino banale, se non fosse che sotto il pretesto di tutelare le giovani menti, c’è chi, in buona o mala fede, cerca di inculcare principi contrari: non si deve criticare il governo, si deve ubbidire, se c’è qualche insegnante trasgressivo, bisogna denunciarlo. Insegnare la delazione è l’estrema offesa che si può fare a qualunque pedagogia che intenda educare alla responsabilità sociale. Se non fosse così bene avrebbero operato i regimi dell’Est nel reprimere il dissenso.
Oggi soprattutto è necessario dare capacità di argomentazione e libertà di giudizio a ciascun ragazzo che, di qualunque livello sociale, entra in un mondo in trasformazione accelerata, dove si può programmare la genetica, sperimentare gli spazi, clonare i divi delle pellicole antiche e produrre realtà virtuali con Marilyn Monroe redivive. La memoria è fondamentale e la storia serve per esercitare la critica: se le guerre del Peloponneso e la Prima Guerra Mondiale si studiassero solo per la cronologia, sarebbe meglio imparare l’uncinetto. Siamo - e saremo sempre più - chiamati a operare nella polis: come dicevano gli antichi Greci è “la società che educa l’essere umano”. In essa tutti hanno le loro responsabilità: il Parlamento per fare leggi, i partiti per fare politica, la magistratura per fare giustizia, la Polizia per fare ordine, la scuola per educare. Tutti con onestà e rigore professionale, in trasparenza e libertà.
L’onorevole Garagnani è andato a sostenere la bontà della sua proposta nel liceo dove aveva studiato: ha trovato giovani informati che hanno espresso le loro proteste nel modo più intelligente e funzionale: ragazze e ragazzi hanno sollevato cartelli individuali con scritte impegnative: “io studio”, “io penso”, “io rifletto”, “io sono”.
Meno male, sono loro a reagire anche contro le ispezioni.

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