L’assoluzione di quello che fu definito il “mostro di Firenze” da parte della Corte d’Assise ha segnato definitivamente il fallimento della fase investigativa. La responsabilità dei mezzi di informazione nel costruire il “personaggio”
Sul caso del “mostro di Firenze” si sono esercitati molti scrittori (... si fa per dire) che hanno tentato di trarre profitto da un evento giudiziario di portata indubbiamente straordinaria. Ma l’unico libro che si poteva scrivere non è stato ancora scritto!
A parte un volumetto, estremamente interessante, del magistrato che, da Presidente della Corte d’Assise d’Appello di Firenze, decise la piena assoluzione di Pietro Pacciani, nessuno ha pensato di comporre, se non un libro, almeno un manuale su come non deve essere condotta un’inchiesta giudiziaria.
Sintetizzando: dopo molti anni dall’inizio della catena di efferati omicidi nel territorio fiorentino, si è deciso di assicurare alla giustizia non il colpevole ma un colpevole, per la verità, seguendo più la teoria del delitto d’autore propria dei regimi autoritari, che quella - leggermente più avanzata - della certezza della prova.
Venne scelto Pietro Pacciani il quale, per la personalità violenta e inquietante, si prestava più di ogni altro a “rappresentare” il mostro di Firenze. Su di lui si costruì un castello di pseudo-prove, fantasiose ed inconsistenti, tentando di chiudere la vicenda con una serie di condanne all’ergastolo.
La Corte d’Assise d’Appello di Firenze, però, mandò tutto all’aria, frantumando una sentenza di condanna fondata solamente su astratte teorie ed assolvendo Pietro Pacciani, fino ad allora ritenuto il solo ed unico mostro.
Da quel momento, anziché prendere atto del fallimento investigativo, iniziò la “rivincita”, tuttora in atto ed in pieno svolgimento: al mostro si aggiunsero altri mostri che furono condannati con sentenza definitiva sulla base delle dichiarazioni di uno psicolabile, al limite della incapacità di intendere e volere. Nel frattempo Pietro Pacciani moriva per l’aggravarsi delle condizioni di salute da anni minate da gravissime malattie.
Gli investigatori intuiscono tuttavia che la condanna di qualche povero derelitto non poteva convincere nessuno e danno inizio ad un’infinita telenovela modificata, secondo le buone regole della fiction televisiva, per assecondare le curiosità del vasto pubblico.
La macchina investigativa e mediatica sta continuando imperterrita in questo delirio attraverso puntate sempre più sorprendenti, accompagnate dalle quotidiane promesse di una assolutamente prossima “soluzione del caso”.
Tralascio ogni giudizio sugli investigatori, alcuni dei quali aspiranti scrittori, che si sono succeduti nel tempo.
Preferisco rivolgere tre domande a quei cronisti che sono divenuti la cassa di risonanza di questa tragica farsa.
Il giornalista non dovrebbe essere anche il controllore critico del potere?
Dove è andato a finire il giornalismo d’inchiesta?
Non vi siete accorti della mutazione genetica che da giornalisti vi ha trasformato in coautori di un serial televisivo?
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