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gennaio/2002 - Interviste
Guerra
L'arma della paura
di Marco Cannavicci

L’uso della violenza e delle minacce occulte come base dell’azione del terrorismo. Gli effetti psicologici della morte in diretta tv

Il fenomeno del terrorismo è molto poco studiato nei suoi risvolti psicologici ed anche in questo momento in cui i mass media offrono ampio spazio alla pagina sul terrorismo è molto raro trovare degli articoli che ne analizzino la componente psicologica. Il terrorismo ha come obiettivo finale il suscitare nelle persone del campo avversario delle emozioni negative come la paura, l’angoscia, l’inibizione delle attività e la riduzione dei comportamenti sociali. È un modo quindi per condizionare, controllare, inibire il comportamento altrui attraverso la suggestione emotiva della paura. Da sempre la violenza e la paura, sia espresse con attentati che minacciate dalla propaganda, sono usate come tecniche di pressione sulla popolazione avversaria.
Dall’11 settembre scorso nel mondo occidentale la risonanza delle immagini degli aerei che si schiantano contro le Torri Gemelle a New York ha provocato un cambiamento nella routine quotidiana di moltissime persone. L’obiettivo non era solo il creare ad esempio grosse difficoltà nel trasporto aereo, per l’amplificata paura indotta che quasi tutti hanno nel prendere l’aereo, per cui da allora in tutto il mondo si prende l’aereo solo se strettamente necessario. In più le ultime minacce del terrorismo batteriologico stanno modificando alcune abitudini come andare al cinema, al ristorante, prendere la metropolitana o semplicemente aprire la posta.
Gli atti di terrorismo coinvolgono emotivamente tutta la popolazione avversaria, non solo quindi obiettivi come gli uomini di governo, i politici e le Forze armate. Il terrorista ottiene, con l’effettiva uccisione di poche (o molte) vittime, il condizionamento inibitorio di tutta la popolazione avversaria. Il coinvolgimento emotivo riguarda la potente stimolazione di ogni forma di paura che risieda nella personalità della vittima. Si amplificano infatti non solo la paura della morte, ma anche quelle intime e soggettive della paura delle malattie, degli incidenti, delle brutte notizie e di molte altre ancora. C’è inoltre una più forte intolleranza allo stress e alle frustrazioni. Aumenta la diffidenza e l’ostilità verso tutto ciò che è straniero, sconosciuto, estraneo al proprio quotidiano. Persone che già avevano per motivi personali un precario equilibrio psicologico, dopo l’11 settembre si sono ritrovate a non dormire, a non riuscire a stare da sole, a rifiutare i luoghi affollati e a far un uso massiccio di psicofarmaci sedativi. Tutti questi effetti psicologici e comportamentali rappresentano l’obiettivo del terrorismo.
Per coinvolgere il maggior numero di persone possibili il terrorismo ha bisogno ed usa i mezzi di comunicazione di massa che fungono quindi da inconsapevole ma necessaria cassa di risonanza. Non potrebbe esistere il terrorismo senza giornali e televisione ed è per questo che il fenomeno è esploso in questo secolo ed in questi anni. Ogni terrorista cerca il contatto con la stampa e le televisioni ed accetta ogni richiesta di intervista con piacere. Il governo degli Usa ha per questo più volte chiesto ai network dell’informazione, come la Cnn, una specie di censura sulle dichiarazioni di Osama Bin Laden. Il terrorismo vuole agire sotto i riflettori e le telecamere delle televisioni. Non avrebbe avuto lo stesso effetto psicologico il sapere semplicemente che due aerei si erano abbattuti sulle Torri Gemelle. Il saperlo leggendolo sul giornale sarebbe stata una semplice informazione con scarsa risonanza emotiva, così come avviene per i frequenti genocidi che avvengono in Africa tra tribù rivali. Il terrorista sa che nel mondo della comunicazione globale esiste solo ciò che la televisione trasmette. Vedere più e più volte gli aerei che esplodevano sulle torri, e da più angolazioni, ne moltiplica il distruttivo impatto psicologico sulla popolazione. Non è più solo informazione, è un dramma emotivo collettivo, uno scuotimento interiore pubblico e per ognuno è un cedimento delle proprie certezze e dell’equilibrio su cui si regge il vivere civile.
Le immagini di morte e di terrore, sia in video che sulla stampa, non inducono al ragionamento, colpiscono direttamente l’emotività dello spettatore. Di fronte all’immagine della morte, nell’attimo in cui viene consumato il dramma dell’attentato o immediatamente dopo, lo spettatore subisce un condizionamento psicologico acritico che scavalca le proprie capacità di ragionamento: quello che riceve è solo una suggestione emotiva. Con il ragionamento si toglierebbe efficacia ad ogni forma di induzione della paura: ragionare scaccia le paure.
In più si può affermare che ogni scena di morte per lo spettatore è una evocazione della propria morte e quindi produce angoscia, produce paura e smarrimento. Questo accade soprattutto quando la morte riguarda persone in qualche modo simili, vicine a noi, con cui è possibile identificarsi. L’identificazione con le persone simili a noi appaga e rassicura normalmente e fisiologicamente il nostro bisogno di appartenenza e di protezione. Tuttavia quando viene colpito il nostro simile ci sentiamo più vulnerabili e più minacciati anche noi per il semplice pensiero che poteva capitare anche a noi.
C’è da dire inoltre che il terrorismo con il suo carico di sangue e di odio stimola e gratifica anche la componente violenta e distruttiva del nostro inconscio, cioè il nostro istinto di morte. Dentro l’inconscio di ognuno di noi risiede una componente violenta e distruttiva che chiede di tanto in tanto di essere soddisfatta in qualche modo. È per calmare la sete di violenza di questa componente della nostra personalità che si corre al cinema a vedere i film dell’orrore, che rallentiamo per strada quando vediamo delle macchine incidentate e che indugiamo tanto su quelle tremende immagini dell’attacco e della fine delle Torri Gemelle di New York.
Il senso di appartenenza ci rende quindi partecipi del dramma di chi veramente è morto nell’attentato alle Torri Gemelle di New York. Ed è lo stesso fisiologico senso di appartenenza che, per altri versi, sta suscitando consensi ed approvazione nel mondo islamico nei confronti dell’attentato. Il terrorismo islamico ha infatti l’elemento religioso in primo piano e con l’elemento religioso si richiama inevitabilmente la storia degli scontri tra il mondo islamico ed il mondo cristiano. La storia, dalle Crociate in poi, ha sempre visto soccombere il mondo islamico e questo viene vissuto in oriente con un profondo senso di ingiustizia e sete di vendetta. È su questo senso di ingiustizia e bisogno di vendetta che Osama Bin Laden sta puntando per cercare di compattare il mondo islamico contro il mondo occidentale. È forte quindi il pericolo che dal terrorismo si possa passare ad una nuova guerra di religione, attraverso il contagio dei mass-media. Il terrorismo islamico quindi, tramite i mass-media, sta veicolando anche in occidente, fra i musulmani, il senso di bisogni, di leggi, di verità e di rivendicazione non riconosciute dagli occidentali e che spingono gli islamici, suscettibili alla suggestione delle ingiustizie storiche, al rifiuto delle leggi occidentali ed al coinvolgimento al fanatismo terrorista. In questo senso Osama Bin Laden sta ottenendo non solo consensi politici nel mondo arabo estremista, ma anche nuovi “arruolati” sia in Bosnia che in Albania, come riportano le cronache di questi giorni.
Nei nuovi “arruolati” si stimola il passaggio dalla legalità alla clandestina illegalità, vivendo con i fondi offerti dalla causa fondamentalista. Queste persone si staccheranno progressivamente dalla realtà e non sarà più possibile discutere con loro, confrontarsi con loro. Il loro distacco ed isolamento renderà il loro fanatismo sempre più radicale ed aggressivo al punto che quando verrà dato loro l’ordine di attaccare gli obiettivi occidentali non avranno alcuna remora nel morire obbedendo agli ordini ricevuti.
I metodi tradizionali delle Polizie occidentali trovano ostacolo verso il terrorismo islamico non solo per l’invisibilità del nemico, ma anche per la mancanza in loro della paura della morte che possa funzionare come razionale deterrente. Tuttavia non solo gli stati democratici sono vulnerabili ai metodi dei terroristi, anche le dittature definibili come “stati di Polizia” hanno dovuto fare i conti con i successi dei terroristi. Quando il terrorismo fallisce ciò accade più spesso non per l’efficacia preventiva della Polizia bensì fallisce per errori interni alla organizzazione terrorista oppure perché troppe persone erano a conoscenza dei piani. Le Forze di polizia per avere successo contro il terrorismo devono scendere anche loro sul piano della illegalità, attraverso operazioni non convenzionali, definibili come operazioni di spionaggio o intelligence. Tali atti possono anche prevedere intercettazioni, arresti, perquisizioni e metodi di interrogatorio non consentibili dalle leggi in vigore. Una buona intelligence deve arrivare a consentire anche l’infiltrazione di propri agenti nei movimenti terroristici.
Il terrorismo ha modificato in molti casi il corso della storia, tuttavia nelle democrazie occidentali, dove non è l’uomo politico che conta, bensì il sistema sociale, nessun sistema sociale democratico è mai stato abbattuto dal terrorismo.



Box – 1

La personalità di Osama Bin Laden

Il ritratto psicologico di Osama Bin Laden che emerge dalla stampa, leggendo come viene descritto da chi lo conosce da tempo, è assai sorprendente. Osama Bin Laden viene descritto come una persona timida, introversa, socialmente impacciata, un solitario molto intelligente ma anche gravemente disadattato. Da adolescente ha fatto preoccupare alcuni suoi parenti per il suo pessimo carattere e questi avrebbero voluto per lui una terapia psicologica. C’è una foto di famiglia, che è stata molto riprodotta dalla stampa internazionale, in cui lui, quattordicenne, si trova in Svezia con i suoi fratelli. Dalla foto emerge un ragazzo che si nasconde con imbarazzo e si pone ai margini del gruppo. Immagine difficile da associare alle descrizioni attuali del “principe del male” che sta facendo tremare il mondo occidentale.
Dai suoi discorsi, che vengono diffusi dalle Tv arabe, emerge una visione riduttiva e semplicistica del mondo in cui prevale un senso cospiratorio di un mondo guidato da ebrei e americani contro i musulmani ed i palestinesi in particolare. È una visione che si collega a pensieri atipici e disturbati da nuclei di tipo paranoideo. Dalle sue parole emerge una visione estremamente ingenua del mondo, colorata di estrema ignoranza politica, ma assolutamente certa ed acritica. I giornalisti che lo hanno intervistato in passato descrivono le sue idee politiche come “stravaganti”. È la “stravaganza” paranoidea del suo pensiero che lo ha condotto ad interpretare il corano e la religione islamica in modo personale e separato dal resto del mondo musulmano. Osama Bin Laden da sempre ha avuto fondi sufficienti per trasformare le sue paranoie in una giusta causa a cui arruolare quante più persone possibili. Con una personalità di questo tipo non è possibile intavolare trattative, dialoghi, compromessi non essendo in grado di ammettere punti di vista diversi dal proprio. Ed è secondo questa ottica che va combattuto, come un eroe “atipico” che ha avuto a disposizione abbastanza soldi e distruttiva tecnologia da passare alla storia come uno dei più noti ed illustri sconfitti.



Box – 2

Come reagire alla paura

Il terrorismo ha per bersaglio la nostra emotività suscitando in noi lo smarrimento, la paura, il panico. Queste emozioni ci fanno sentire ancora più deboli, fragili e vulnerabili e fanno sentire gli avversari più forti, potenti e terribili. Il terrorismo induce una sottovalutazione di chi lo subisce ed una sopravvalutazione di chi lo esercita.
Sottovalutandoci, sottostimandoci diventiamo preda di paure e di angosce. Crescono le fobie e le ossessioni che altro non sono che dei meccanismi psicologici per tornare padroni di noi e sentire che controlliamo la nostra vita e quanto ci accade. Il terrorista vuole farci perdere il controllo della nostra realtà e della nostra quotidianità ed è proprio ricorrendo alla routine della quotidianità, alle nostre abitudini che recuperiamo la nostra sicurezza ed un certo equilibrio. Sentire che oggi accade tutto come accadeva ieri è un modo molto efficace per sentirsi sicuri e per trarre il beneficio che il senso della continuità della vita offre.


Box – 3

Identikit del terrorista

Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di giovani uomini di età compresa tra i 20 ed i 30 anni. È la fascia di età infatti che si lascia maggiormente trascinare dalle ideologie al fanatismo ed all’azione diretta. Imbevuti di ideologia e fanatismo non discutono le disposizioni che vengono impartite loro, anche se si tratta di andare incontro alla morte. I giovani inoltre hanno a disposizione quella rapidità di movimenti che li rende adatti alle azioni terroristiche. Nella maggioranza dei casi si tratta di giovani di aspetto comune, non in grado di attirare l’attenzione su di loro. Le esperienze del terrorismo definite con il termine di “anni di piombo”, sia in Italia che in Germania, ci hanno presentato un giovane di elevata cultura, ateo rispetto alla religione, con un solido equilibrio psicologico, pur avendo alle spalle una famiglia difficile, in cui erano deficitarie le figure parentali di riferimento. I giovani terroristi del mondo islamico hanno invece evidenziato un livello medio-basso di cultura, una famiglia molto solida ed unita alle spalle e la pericolosa tendenza al fanatismo religioso. In tutti i terroristi si è sempre osservato che più si chiudevano ed isolavano rispetto alla società più diminuiva il loro senso di realtà, alimentando così dichiarazioni sempre più farneticanti da rendere quindi ogni loro “delirio” come giusto e possibile. In tutti i terroristi si è anche sempre osservato che la molla che li ha spinti ad agire è sempre l’odio.

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