Non è solo Panariello che dice assurdità e con esse cerca di far ridere gli italiani. Chi ha avuto la forza d’animo di leggere sino in fondo un articolo firmato da un ex prefetto della Repubblica, apparso su un quotidiano, si sarà reso conto di quanta abilità (e quanta fatica) abbia dovuto sciorinare quel funzionario nel dire assurdità storiche, ottenendo, come unico risultato, quello di far ridere chi, come noi, conosce fin troppo bene le vicende della riforma della Polizia italiana.
Cominciamo con una frase assai significativa del nostro autore che sottoponiamo all’attenzione dei nostri lettori, specialmente ai tutori della legge: “Si è ritenuto che l’immane lavoro svolto nel dopoguerra (e che ha impegnato una generazione dal 1945 al 1970) valesse per sempre e che la solidità delle Forze di polizia avrebbe sopportato le riforme fatte per puro interesse corporativo e per assecondare ideologie politiche”.
Secondo l’illuminato conoscitore delle cose di Polizia, “Il grande patrimonio di una Polizia considerata una delle migliori del mondo, è stato inesorabilmente eroso, negli ultimi lustri a causa dei seguenti fatti che hanno inciso sulla operatività delle strutture”. E, poi, di seguito elenca i fatti “erosivi” fra i quali: la impossibilità per la Polizia di effettuare indagini senza l’autorizzazione e le direttive dei magistrati, perdendo così la spinta a dare il meglio di se stessi; secondo fatto cui attribuire la inefficienza della Polizia italiana è lo “scioglimento” (sic) del Corpo Ufficiali di Ps. Non sapevamo che gli Ufficiali costituissero un Corpo; pensavamo che fossero un Ruolo.
Era chiaro (per noi, s’intende) che l’Accademia dovesse essere soppressa giacché il Parlamento si apprestava a varare il ritorno allo status civile della Polizia. O forse il nostro autore pensa che la Polizia, una volta abolito il decreto Badoglio, dovesse continuare a disporre di Ufficiali? Mistero.
E poi, ultima ciliegina (poteva essere altrimenti?) il prefetto di ferro cita come suprema iattura per la Polizia italiana la riforma del 1981. Ma non basta: egli sostiene che tale riforma non è stata prospettata dai tecnici dell’Amministrazione, ma voluta dai partiti e dai sindacati. Orrore!
Ma in realtà, l’autore ignora o finge di ignorare che l’articolato di quella riforma fu approntato, corretto, ricorretto, rielaborato da alti funzionari prefettizi di allora che conoscevano, come pochi altri, la materia. I partiti (taluni di essi) avanzarono alcune proposte, non tutte recepite, per quanto atteneva il meccanismo della rappresentanza sindacale.
L’autorevole esponente ministeriale termina il suo saggio sulla efficienza della Polizia italiana, con una considerazione che possiamo definire la cartina di tornasole della di lui posizione. Eccovela integrale: “Adesso occorre acquisire la consapevolezza che l’efficienza delle Forze di polizia - che non manca di una dirigenza valida e di uomini valorosi - ora gravemente compromessa, può essere, in tempi ragionevolmente brevi, (rivedendo la normativa del Codice di procedura penale), riportata a livelli operativi raggiunti al tempo dei grandi statisti ministri dell’Interno (De Gasperi, Scelba, Taviani) per garantire il progresso dell’Italia, con la libertà delle istituzioni e la sicurezza dei cittadini”.
Questo l’uomo e questo il suo pensiero. Meditate, gente, meditate...
E. G.
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