Intervista a Giuseppe De Matteis, Segretario nazionale del Siulp: il problema più grave è quello della demotivazione e della frustrazione di tanti dirigenti della Polizia di Stato, troppo spesso sottratti al loro ruolo, magari per essere mandati in piazza, nei servizi di ordine pubblico
Un trafiletto che è uscito su un quotidiano di recente, forse un po’ troppo allarmistico, parlava di mille funzionari di Polizia che hanno chiesto il trasferimento in altre Amministrazioni, in base alla legge che dà questa possibilità ai funzionari. È così consistente il fenomeno oppure no?
I dati, almeno quelli ufficiali, sono molto inferiori rispetto a quelli forniti dal quotidiano. In realtà oggi possiamo dire che ufficialmente sono andati via dall’Amministrazione 96 funzionari; di questi, 5 sono dirigenti e 91 commissari. Di questi 91 già 6 hanno fatto domanda di rientro in Amministrazione.
In realtà però, quell’articolo centra un problema reale, cioé esiste veramente un problema di malumore dei funzionari della Polizia di Stato e secondo me esiste un problema di malumore anche in altri ruoli, ad esempio in quello degli ispettore. Il malumore è un po’ diffuso. Diciamo che è emerso questo anche perché altre associazioni, altri sindacati, hanno fatto un uso strumentale di questo malumore. È emerso per i funzionari perché essi hanno avuto questa possibilità giacché il riordino della carriera dei direttivi e dei dirigenti ha previsto questa possibilità di esodo in altre Amministrazioni su domanda ed accettazione dell’Amministrazione richiesta. La stessa possibilità non è stata data agli ispettori e credo che anche lì noi abbiamo a che fare con un problema di malumore.
Le cause sono un po’ diverse da quelle che vengono in genere prospettate. Il problema non è più solo retributivo, sebbene da questo punto di vista rimane ancora molto da fare. Il problema è essenzialmente di qualità della vita. Il poliziotto, che oggi è maturato anche dal punto di vista delle sue esigenze lavorative, vuole una qualità di vita superiore a quella che il lavoro di Polizia offre; rimane ancora molto da fare su questo fronte. C’è un problema di mobilità che riguarda soprattutto i funzionari, questo è vero, più che altri ruoli. Il funzionario ogni volta che viene promosso è sempre costretto a lasciare il posto in cui lavora e a traferirsi in un’altra città, in un altro territorio. Con una retribuzione come quella attuale, difficilmente si possono disporre di risorse necessarie per creare una nuova struttura logistica sul territorio, c’è quindi una forte carenza di alloggi, una forte carenza di interventi da parte dell’Amministrazione per rendere possibile questa mobilità; tant’è che a volte i funzionari sono costretti a scegliere tra la promozione, che vuol dire trasferimento, e restare per tutta la vita senza promozione pur di non affrontare le spese relative al trasferimento. Questo non è un bene per l’Amministrazione perché alla fine, le persone che vengono promosse sono quelle più disponibili al trasferimento, non quelle che hanno tutti i meriti per essere promossi. E questo è un male, perché si parla molto di creare una nuova filosofia aziendale nell’Amministrazione, ma la filosofia aziendale deve passare anche dagli investimenti. Non è più ammissibile la pretesa, che alcuni hanno, di fare le riforme a costo zero: le riforme hanno un costo. Se si vuole una dirigenza nuova, se si vuole una nuova leva di funzionari di Polizia, occorre metterli in condizioni di avere un addestramento, un aggiornamento professionale e disponibilità al movimento, perché purtroppo la Polizia, nonostante abbia i connotati di una professione, rimane sempre un mestiere dove si impara con l’esperienza. È chiaro che facendo girare un dirigente sul territorio, questo acquisisce un’esperienza necessaria per poter dare il meglio di sè. E questo è un motivo alla base del forte malumore, anche per come alcuni recenti Consigli di Amministrazione, che è il luogo dove vengono fatte le promozioni, sono stati gestiti.
La “preoccupazione” dell’Amministrazione è quella di premiare, di puntare su funzionari capaci ma giovani. Si crea allora un ulteriore penalizzazione per i funzionari anziani, i quali dopo una vita di sacrifici sulla strada, si vedono scavalcare da persone più giovani sulle quali l’Amministrazione sta puntando. Questo è un altro motivo di malumore, la mancanza di regole, la mancanza di possibilità di carriera, la mancanza di progressione.
C’è anche un altro problema: mi diceva un collega dirigente anziano, che si ritrova a 50 anni, con il casco e il manganello, alla stazione di una grande città, la domenica pomeriggio, a ricevere i tifosi che potrebbero essere suoi nipoti. Dunque c’è una crisi del funzionario, del dirigente di Polizia. In realtà la Polizia è sempre stata attenta, nonostante la riforma, a una dimensione di ordine pubblico. Cioè si pensa ancora molto alla sicurezza sociale, si pensa poco alla sicurezza personale. E quindi i dirigenti, i funzionari vengono impiegati essenzialmente per fare ordine pubblico, allo stadio, alle manifestazioni, ai cortei...
Io credo che ci sia una esagerazione nel valutare le necessità che un servizio d’ordine impone. Mi spiego meglio: molti servizi possono tranquillamente essere affidati a poliziotti esperti ma di un altro ruolo (a ispettori anziani, a vicecommissari) invece la tendenza del responsabile del servizio è quella di mandare a fare quel tipo di servizio un dirigente anziano. Noi abbiamo quindi un dirigente dello Stato che a 50 o 55 anni si trova con casco e manganello allo stadio con 10 carabinieri di leva, o con 10 agenti appena entrati in Polizia, a far fronte alla intemperanza di giovani tifosi, giovani manifestanti. Questo non è da sottovalutare. C’è un problema di sopravvalutazione dell’ordine pubblico. Ci sono dirigenti, che sono i responsabili dei commissariati di zona, che passano le settimane in strada a fare ordine pubblico. La situazione assurda è che quindi, il dirigente dello Stato, dell’Amministrazione, della Polizia, va a fare ordine pubblico con casco e manganello, il numero due, in genere un ispettore, è una persona molto più giovane di lui, molto meno professionale di lui che rimane il vero responsabile del commissariato. Questa è una situazione che riguarda soprattutto le grandi città.
C’è anche un altro fenomeno che ci preoccupa: la fuga dalla questura, dai commissariati, dai posti operativi, dai posti in cui si fa ordine pubblico. Ancora oggi, la Polizia giudiziaria, la Squadra mobile, l’investigazione, sono un territorio che l’Amministrazione della Ps considera secondario. Cioè, uno può fare indagini, può arrestare criminali, può lavorare sulla microcriminalità, soltanto nel tempo in cui non è impiegato nell’ordine pubblico. Un servizio di ordine pubblico può durare anche 12-14 ore. Se arrivano i manifestanti a Roma la mattina alle 8, il servizio comincia alle 6 e va avanti finché i manifestanti non sono tornati a casa. Il che vuol dire che un dirigente dello Stato, con una certa anzianità di servizio, pagato male, soggetto a trasferimenti, si trova a passare le sue giornate sulla piazza per far fronte a un’eventuale esigenza di ordine pubblico. Tutto questo è demotivante, scoraggiante. Anche perché non rimane tempo per la famiglia, per le relazioni sociali, per aggiornarsi, per leggere, per andare al cinema o al teatro. E tutto questo comporta un altro ulteriore gravissimo aspetto. Che il dirigente di Polizia, il funzionario di Polizia, ad un certo punto si chiude. Il fenomeno è questo. Mentre un agente tende sempre a migliorare, perché entra in contatto con realtà nuove, acquista una professionalità, si specializza, tende a prendere il diploma e poi anche la laurea (c’è un’altissima percentuale di agenti che in Polizia prendono la laurea o il diploma), per il funzionario il fenomeno è inverso, entra da laureato e poi si chiude: non si aggiorna, non studia, non ha più relazioni sociali, e così via. Questo spiega perché poi possono succedere cose francamente anomale.
Abbiamo visto a Genova che alcuni funzionari si sono comportati sulla piazza in un certo modo. Questo è un gravissimo segnale. Ciò vuol dire che bisogna rilanciare la qualità e l’aggiornamento professionale dei funzionari prima di ogni altra cosa.
Quindi questo è molto importante. Si era infatti capito che questo disagio che veniva fuori dai funzionari, era una punta dell’iceberg di un disagio più profondo, generalizzato negli agenti, però, da quello che dici tu, mi pare che è soprattutto un problema specifico dei funzionari.
I funzionari hanno gli stessi motivi di malumore degli agenti, anche il funzionario è soggetto ad una gerarchia. Stranamente la gerarchia è più rigida ad alti livelli che in quelli bassi. Non ci sono chiaramente le degenerazioni che avvengono a livelli bassi, però la gerarchia è altrettanto rigida. In più il funzionario deve dare una costante disponibilità all’Amministrazione (non retribuita) e in più il funzionario deve dare una disponibilità alla movimentazione sul territorio (fenomeno che per quanto riguarda gli altri ruoli abbiamo un po’ contenuto).
Questo comporta una incertezza di diritti, una situazione di precarietà che molto spesso si riversa, purtroppo, anche sul servizio. Ecco perché chi non ha problemi particolari preferisce andare in altre Amministrazione, dove il ruolo del dirigente, del funzionario, ha un’altra dimensione: non si è più esposti alla piazza, alle intemperie e all’ordine pubblico e la retribuzione, addirittura, può essere anche più dignitosa.
E che cosa si può suggerire per affrontare questa questione?
Bisogna fare una riforma della dirigenza reale, non virtuale. Ci si aspettava molto da questo riordino della carriera dei dirigenti e dei direttivi, in realtà è rimasto esattamente uguale a prima. Non è cambiato niente se non una fittizia possibilità di avere in tempi rapidi la qualifica di vicequestore aggiunto. Mi spiego meglio. Prima della riforma si entrava da vicecommissari, si diventava commissari capi, poi vicequestore aggiunto. Con la riforma si entra come commissari capi e si passa a vicequestore aggiunto, ma per il resto non è cambiato niente, non ci sono le promozioni aggiuntive, non ci sono soldi in più.
La dirigenza rimane ancora l’unica dirigenza dell’Amministrazione pubblica non contrattualizzata. Questo vuol dire che i dirigenti e i funzionari che hanno 15 anni di servizio sono fermi ad un contratto del 96; e comincia ad essere un problema. Perché i dirigenti non prendono né gli aumenti previsti dal contratto del Comparto Sicurezza - che vale solo per i funzionari con 15 anni di anzianità - né gli aumenti previsti per la dirigenza pubblica. Questa è una situazione paradossale.
La prima cosa da fare è contrattualizzare la dirigenza, metterla in condizione di avere degli adeguamenti retributivi ogni due anni. La seconda cosa è puntare sulla dirigenza, non solo a parole, ma di fatto. Il questore di Milano, il questore di Roma, non hanno oggi l’autonomia di spese. Questo vuol dire che se il questore di Roma decide di comprare un computer in più per la questura, non può farlo, lui può spendere fino a 1 milione al mese per la questura di Roma e per tutto il resto deve chiedere il permesso al prefetto, che chiede il permesso al Dipartimento che, a sua volta, valuta la cosa e risponde al prefetto: è una cosa assurda.
Quindi è indispensabile creare un equilibrio tra ordine pubblico e lotta alla criminalità
Qualcuno dice che il secolo scorso era il secolo della sicurezza sociale (per secolo intendo dal 1900 al 2000): quindi è chiaro che lì c’era un’esigenza. Oggi francamente si ha un po’ un’idea del deserto dei Tartari, cioè c’è un immenso esercito predisposto all’ordine pubblico, che costa tantissimo e che in realtà viene impiegato per uno sforzo che non è proporzionato all’entità dei fatti. Invece c’è una forte richiesta per la microcriminalità.
Il procuratore generale della Corte di Cassazione all’inizio dell’anno ha fornito un dato allarmante. Sono stati commessi, l’anno scorso, in Italia, due milioni di reati. Di questi due milioni di reati di microcriminalità (furti, rapine scippi, borseggi) il 96,1% è rimasto senza autore. E questo non perché non si è in grado di occuparsene, ma perché il dirigente, il funzionario, l’ispettore sono destinati all’ordine pubblico, non si occupano di microcriminalità.
Quando il cittadino si presenta per denunciare un borseggio, nessuno indaga su un borseggiatore. Questa è la vera realtà. E allora si tratta di fissare una scala delle priorità e dare ad ogni fenomeno criminale la giusta importanza. Certo non si deve depotenziare l’ordine pubblico, i fatti di Genova lo insegnano, però non si deve continuare ad avere questo sovraesposizione della Polizia di Stato soltanto in ordine pubblico.
Dopo aver chiarito molto bene i problemi dei funzionari e dei dirigenti, puoi fare anche qualche altro accenno alla situazione generale della Polizia? È vero che la Polizia esercita ancora una forte attrazione tra i giovani, o il fenomeno si è attenuato?
Rimane ancora forte, tra gli aspiranti agenti di Polizia, la motivazione personale. La Polizia viene ancora sentita come una missione. E quindi, sebbene il titolo di studio richiesto sia ancora quello della scuola dell’obbligo, noi abbiamo molti diplomati, molti laureati che partecipano ai concorsi per agenti di Polizia. E lo stesso anche per gli ispettori.
Il vero problema è che una volta entrati in Polizia, queste persone, che hanno senz’altro una cultura superiore rispetto ai colleghi di venti o di trenta anni fa, si trovano davanti una Amministrazione che non sempre risponde alle attese, quindi c’è un problema di crisi di identità. E quello è il momento in cui molti giovani poliziotti determinati scelgono la cosiddetta vita tranquilla.
Il vero problema di oggi è che manca una generazione che insegni il mestiere ai giovani, perché c’è stato un ricambio frettoloso soprattutto con i pensionamenti in Polizia e questo è un grosso problema.
L’altro problema della Polizia è la demotivazione, che vale un po’ per tutti, nel momento in cui si rendono conto che la Polizia è una cosa un po’ diversa da quello che si aspettavano. Un ragazzo di vent’anni che entra in Polizia per fare indagini, per fare investigazioni, per combattere la mafia, la microcriminalità, quando si ritrova in un magazzino vestiario, all’archivio generale della questura, a fare l’autista a Tizio o a Caio, quando si ritrova con un dirigente che tutto il giorno è impiegato in ordine pubblico, quando si ritrova ogni sabato e domenica allo stadio, è chiaro che in lui scatta la molla della demotivazione.
Il vero problema è che bisogna creare profili professionali per l’ordine pubblico, perché Genova ha dimostrato che c’è bisogno di gente specializzata per questo servizio, soprattutto con le nuove esigenze, con la dimensione internazionale del fenomeno, al quale ancora non siamo abituati.
Altro problema è che occorre migliorare la qualità di addestramento, di aggiornamento professionale del poliziotto. Negli Stati Uniti, in Francia, in Inghilterra, c’è il sistema del breefing, 5 minuti prima di fare il servizio, il dirigente raduna il personale operante, spiega cosa è successo ieri sulla strada, quali sono le novità della strada e quali i problemi. Da noi l’aggiornamento professionale è una lezione sul Codice di procedura penale, fatta da un lauretato, da un magistrato, da un professore universitario, che è indubbiamente interessante, ma non è quello l’aggiornamento professionale di cui si ha bisogno.
Il poliziotto fa un mestiere diverso dal magistrato, dal professore universitario, dallo stesso giovane funzionario che fa la lezioncina. Da noi c’è purtroppo una prevalenza di cultura scolastica per cui c’è sempre un insegnate che insegna e un allievo che impara. Noi abbiamo bisogno di un insegnante che sia un bravo poliziotto e che sappia insegnare cose di Polizia. Abbiamo bisogno di creare una classe di agenti che possa recepire queste cose, non per cultura personale, ma perché poi deve applicarle sulla strada. Questo sistema del breefing manca.
Le scuole di Polizia preparano un modello di poliziotto-soldato, che una volta messo a confronto con la realtà deve dimenticare in fretta tutto ciò che ha fatto per ricominciare da capo, perché il mestiere di Polizia, del poliziotto, è un mestiere diverso da quello del soldato. Il soldato si prepara alla guerra, allo scontro fisico, all’aggressione armata, il poliziotto ha tutta un’altra funzione. È sbagliatissimo quello che si fa nelle scuole di Polizia. Occorre partire da questo dato per ridisegnare la figura professionale del poliziotto.
(a cura di Paolo Andruccioli)
|