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ottobre/2001 - Laboratorio
Laboratorio
A tutti gli iscritti
di Antonio Ciaramella

A seguito del documento finale del direttivo nazionale del 16 e 17 aprile scorso ritengo inderogabile, in questa lettera aperta a tutti gli iscritti, ribadire ulteriormente la natura e la scelta di principio del Siulp che, fin dall’origine, si fondavano su tre presupposti essenziali e qualificati per qualsiasi organizzazione che si voglia definire sindacale: la libertà, l’autonomia di pensiero ed il pluralismo.
A mio parere, ritengo che la ricerca di “riferimenti confederali preferenziali” con qualsivoglia organizzazione sindacale, certamente non aiuta a salvaguardare il pluralismo delle idee e la tradizione politico-culturale ventennale della nostra organizzazione sindacale.
Credo, invece e fermamente, che l’unitarietà della nostra organizzazione deve essere intesa come sinonimo di democrazia rappresentativa e garanzia di pluralismo di idee, che di fatto costituirebbe la premessa e la condizione insopprimibile di arricchimento e crescita culturale e politica di questo sindacato.
Tutti noi dobbiamo prendere atto, soprattutto da una lettura asettica delle recenti scissioni interne, ma anche dal catastrofico contesto quotidiano di parcellizzazione di piccoli “sindacatini” o “partitini”, che la divisione tra sindacati non ha consentito una crescita democratica della nostra istituzione e del modello sicurezza e di pari passo si è verificato l’indebolimento del potere contrattuale e di rappresentanza della categoria, causando collateralmente una perdita di consenso e di partecipazione attiva alla vita democratica ed ai riferimenti sociali e culturali più progressisti del sindacato da parte della stragrande maggioranza dei lavoratori di Polizia.
La pletora di sindacati di Polizia, che di fatto occultano, ma non tanto velatamente, i singoli protagonismi ed egoismi di categoria, non hanno fatto altro che sollecitare le esasperazioni, aumentare le divisioni all’interno della stessa categoria, facendo così il gioco della gloriosa Amministrazione della Ps che puntualmente controlla le nostre diatribe dall’alto di un osservatorio privilegiato mettendoci, forse ed a volte, del proprio per alimentarle laddove non esistono. Una cosa è certa: mai come oggi si è affermato il motto latino dividi et impera che imperversa nella pratica, mai osteggiato da quadri sindacali troppo ammaliati dalle sirene e del fatiscente potere del “servo sciocco del padrone”.
Per il Siulp, almeno agli albori, la democrazia sindacale ha costituito lo strumento insostituibile di salvaguardia della propria autonomia di elaborazione e di decisione politica.
Oggi, a mio parere, non si ha abbastanza coraggio di ribadirlo e, qualcuno, preferisce appiattirsi, sommessamente, alla suadente e residuale nicchia confederale; non importa se qualche quadro sindacale ha avuto il coraggio di pronunciare “il gran rifiuto” alla sua confederazione di riferimento, mostrando onestà intellettuale e coraggio ideologico, presiozo e non unico patrimonio culturale ereditato dalla lunga militanza nel Siulp.
Ancora una volta credo che sia d’obbligo ricordare in maniera forte ed incisiva le origini dalle quali la nostra organizzazione è sorta, e quindi partire da esse per fare un approfondito esame e rilancio del concetto concreto, e non astratto, di unitarietà e confederalità.
L’unitarietà dovrebbe accompagnarsi al principio della più ampia democrazia interna, ovvero che tutte le cariche sociali siano designate dal basso; che in ognuno degli organismi dirigenti, dal vertice alla base, debba essere assicurata la partecipazione proporzionale delle minoranze e che in tutte le fasi congressuali si dovrebbe assicurare la libertà di espressione ed il rispetto reciproco di ogni opinione politica.
Insomma ogni iscritto ha diritto all’elettorato attivo e passivo, ovvero tutti sono eleggibili e non esiste nessun unto dal Signore.
La confederalità, tanto per essere chiari, non è da intendersi come partecipazione a quello o a questo sindacato, ma un valore intrinseco e, direi, geneticamente appartenente al Siulp.
Confederalità significa soprattutto affrontare, con una prospettiva progettuale più ampia e meno ottusa, qualsiasi rivendicazione salariale della categoria in maniera solidale con l’intera classe lavoratrice.
Solidarietà significa unità dei lavoratori per il miglioramento delle condizioni salariali e di vita, anche negli aspetti della salvaguardia dei tempi di non lavoro, intendendo però l’interezza dei lavoratori, ovvero a prescindere dal grado o dalla funzione; inoltre, non solo la cura degli interessi della singola categoria ma anche degli interessi al di fuori della categoria, volgendo lo sguardo agli altri lavoratori, ai disoccupati, ai pensionati ed a tutte le fasce sociali più deboli, in un concetto di condivisione dei problemi sociali.
È questo valore, ripeto inscindibile dal nostro patrimonio culturale e polito, l’identità sindacale del Siulp che ci contraddistingue dai particolarismi dei sindacati autonomi o di alcuni sindacati con monoidentità confederale.
Confederalità non è una patente concessa soltanto dalle tre grandi sorelle, non è un valore esclusivo, è un valore condiviso universalmente da tutti i lavoratori.
Il crescente distacco dei poliziotti dalle organizzazioni sindacali non ha fatto altro che produrre l’effetto di rafforzare, nei sindacati, una dirigenza burocratica, egoista e cosciente di trarre il proprio potere non dalla volontà di una base, ahimè sempre più distante, ma dagli umori del “palazzo” e delle “forze politiche” a cui la dirigenza sindacale chiede legittimazione non avendo alcun consenso dal basso.
Giova ricordare, tra le varie lezioni che la storia ci tramanda, quanto affermato da Achille Grandi il quale in una lettera aperta a Di Vittorio e Lizzadri sottolineò: “Bisogna che nella famiglia sindacale tutti si sentano a casa propria, non sopraffatti mai dai sospetti o diffidenze, né da maggioranze violente o settarie”.
Ecco la grande sfida del Siulp al suo quinto congresso: diventare, oggi più di ieri, la casa di tutti i lavoratori di Polizia.
È il caso, alle porte dell’ormai imminente fase congressuale, organizzare la nostra struttura sindacale in modo che sia effettivamente l’organizzazione di tutela dei lavoratori di Polizia, non un patronato o un erogatore di servizi.
Quindi occorre superare rapidamente il fenomeno di sovraesposizione di problemi meramente organizzativi e sottovalutazione dei problemi sollevati dagli operatori di Polizia; rafforzando e ponendo in essere regole precise ed inviolabili che portino i lavoratori a contare di più nella formazione delle decisioni politiche, sindacali e soprattutto contrattuali.
Superiamo una volta per tutte la sudditanza con il mondo confederale.
Lo scopo principe del sindacato dovrebbe essere quello di lavorare per evitare fratture all’interno della classe lavoratrice; fra chi si sente tutelato e chi non lo è; favorire e sviluppare una maggiore condivisione dei progetti e della vita sindacale per tutti gli iscritti.
Quello che è accaduto a Fiuggi è la lezione perché ci si adoperi per l’esatto contrario.
La democrazia sindacale di fatto è lo strumento insostituibile di salvaguardia per ciò che riguarda la sua autonomia nei processi di elaborazione e decisione per il benessere del personale, non allo status quo o all’affiliazione di qualche quadro sindacale al “mondo dei grandi”.
È questo il fattore che è venuto meno; è mancata l’effettiva spinta in avanti nella rappresentatività del sindacato, fattore necessario a tutelare, unificare e rappresentare tutte le espressioni dell’attuale sistema della Polizia di Stato; fattore vitale per il futuro della nostra stessa esistenza, l’apertura reale di qualsiasi struttura territoriale all’iscritto attivo, che consenta e conduca i poliziotti a contare di più ed incisivamente nella formazione delle decisioni.
Il movimento riformatore sarebbe stato definito pronto a mettere in campo una rivoluzione, in senso lato, per l’effettiva tutela dei propri lavoratori, invece, alla luce dei fatti, l’istituzione sindacato ha dato dimostrazione di essere andata verso un processo di normalizzazione, di appiattimento al dipartimento mai concretamente messo in discussione, e di grigiore sindacale in quanto alla ricerca di una legittimazione con quel partito o quella Confederazione.
Un’altra regola da ripristinare, rispettando sempre le origini di nascita e di cui si avverte la necessità di richiamare, sarebbe quella di stabilire una maggiore partecipazione dei Segretari provinciali, prevedendo il loro rientro negli organismi statutari, specie l’ingresso di diritto al Consiglio generale.
Noi del Siulp non dobbiamo fare del nostro mandato una politica di parte o di comodo, e neanche immaginare di mandare la procura dell’esercizio del sindacato a qualche confederazione, per nascondere il nostro fallimento di quadro sindacale autonomo ed indipendente, bensì dovremmo essere vincolati solo ed esclusivamente alla tutela di tutti i lavoratori.
Inoltre, a differenza del passato, se un solo lavoratore è minacciato per ingiusta causa, tutta la struttura deve sentirsi minacciata e quindi agire di conseguenza, al fine di ripristinare la difesa e la legalità nei confronti del singolo, ma anche a tutela di tutta la categoria e a monito dell’amministrazione, circa l’inviolabilità dei diritti sindacali ed il rispetto degli accordi e delle contrattazioni sottoscritte reciprocamente.
Consentitemi l’ultima citazione: il sindacalista deve essere ad un passo avanti i lavoratori, altrimenti verrà sopravanzato ed irriso dalla categoria.

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