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ottobre/2001 - Interviste
1981-2001
Quelli che ci hanno ignorato
di Antonio Sannino

Dalla data di approvazione della legge 121 sono passati 20 anni; ma l’inizio per la democratizzazione dei Corpi separati dello Stato, è di una decina di anni prima. Bisogna quindi stare attenti, storicamente, a tralasciare il periodo antecedente, senza il quale sarebbe inspiegabile tutto ciò che è successo ed è seguito al 1 aprile 1981.
Principalmente, non si comprenderebbe il ruolo di Franco Fedeli, la sua lucida previsione politica, il suo credere nella giustezza in sé della battaglia, al di là del risultato.
Una tensione ideale da ricordare nell’epoca in cui i soggetti politici non sono più portatori di progetti di cambiamento ma contenitori, più o meno capaci, di tutto e del contrario di tutto.
Non sto esaltando il fideismo cieco e l’ideologismo vacuo, ma la capacità di “sentire prima” i bisogni del Paese e riuscire a rappresentarli e farli riconoscere veri e reali dalla maggioranza dei cittadini.
Franco Fedeli è riuscito a farlo e, soprattutto, è stato capace di trasmetterlo ad uno sparuto gruppo di poliziotti, armati di quinta elementare, prigionieri della logica dei “Corpi separati” dello Stato. Una logica doppia perché ad una parte consentiva la gestione piena ed indisturbata degli apparati di Polizia; dall’altra parte, garantiva l’esistenza di un “nemico” su cui scaricare rabbia e frustrazioni senza bisogno di ragionare, di spiegare, di confrontarsi.
Ecco lo Stato forte con deboli e debole con i forti; ecco le Istituzioni democratiche e repubblicane che, verso la fine degli anni 70, hanno rischiato di essere messe in ginocchio. Non tanto dai terroristi assassini, e nemmeno da chi gridava: “né con lo Stato né con le Brigate rosse”, quanto manifestando non un’idea bensì il vuoto progettuale, dalla grande maggioranza dei cittadini che sentivano lo Stato come cosa “altra da se”, vittime della sottocultura della delegittimazione politica, praticata nel nostro Paese.
Franco Fedeli aveva capito perfettamente il problema, e ce lo aveva fatto capire. Bisognava ricostruire il rapporto tra Stato e cittadini per salvare il Paese dal baratro che gli si parava davanti.
Il che non voleva significare la negazione del proprio modo di pensare, o la rinuncia a lottare per le proprie idee; anzi, le battaglie andavano intensificate verso un orizzonte non di barbarie ma di democrazia e di progresso civile.
È proprio questo che noi abbiamo fatto insieme a Franco Fedeli e Cgil, Cisl Uil e alle forze autenticamente democratiche. Su queste basi cittadini-poliziotti e cittadini-lavoratori stabilirono l’alleanza che si è rivelata strategica per la difesa delle libertà democratiche. Con queste motivazioni abbiamo abbattuto il muro dei “Corpi separati”, abbiamo sovvertito il rapporto, ancorché storicamente infondato, cittadino-Stato.
Una sera d’estate, ritornando da una riunione, io e Franco Fedeli, nel 1979, capitammo per caso nel bel mezzo di una manifestazione in Trastevere. Ai colleghi in servizio i giovani partecipanti gridavano: “poliziotto - sfruttato - fatti - il - sindacato”; ci venne subito da pensare a qualche anno prima quando gli slogan erano del tipo: “celerini assassini” o “Ps uguale SS”.
Sì, la battaglia era giusta. Ed era giusto pure il risultato.
Dopodiché, anche le litugie hanno una loro dignità.
E allora celebriamolo pure il ventennale della Riforma dell’ex Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza e celebriamo anche il ventennale del Sindacato Italiano Unitario Lavoratori di Polizia; una realtà in cui noi continuiamo a credere, altri no.
A Franco Fedeli sarebbe dispiaciuto, come è dispiaciuto a me e alla categoria.
Dunque, che la festa cominci anche per chi ci ha sbattuto la porta in faccia.

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