Rispondo con molto piacere alla lettera con la quale mi sollecitate la mia personale memoria su fatti che sembrano lontani ma che in realtà sono vivi sotto i nostri occhi.
Sono combattuto se scrivere tutti i pensieri, che in questo momento si affollano nella mia mente, oppure rispettare il vostro velato invito a scrivere in modo moderato.
I fatti, i personaggi, i luoghi e i colleghi, parte attiva di quel passato, che con il mio e loro contributo sono stati i protagonisti di un periodo che, senza retorica, possiamo definire “storico” per il Corpo in cui noi operavamo.
L’analisi, anche se stringata, deve iniziare dal clima politico che si respirava al tempo del nostro impegno.
Le nostre iniziative maturavano, in Bergamo e provincia, in un’epoca poco promettente per lo scrivente e per i colleghi, in quanto avere una divisa con le stellette rappresentava un rischio di carcere militare; lottare per avere un Corpo di Polizia più umano, con un rapporto diverso con la popolazione, rappresentava, per quel periodo, una provocazione da “comunisti”.
Le proposte formulate ai tempi, (smilitarizzazione e sindacalizzazione del Corpo di Polizia) trovarono un clima politico aperto ad una soluzione, in quanto nel governo dell’epoca, vi era un equilibrio politico che fu benefico; la maggioranza e l’opposizione erano forze talmente bilanciate che ognuna di esse, contava su una copiosa raccolta di voti nelle file della Polizia: fu così che i deputati dell’allora governo Dc e i deputati dell’opposizione di sinistra consentirono l’approvazione della legge che rappresentò, per noi tutti, la prima vittoria ed il primo passo per il riconoscimento, nella forma più ampia, della “persona” che indossava la divisa.
Ma prima di questa data, alcuni coraggiosi agenti e sottufficiali si incontravano di nascosto per formulare e propagandare le nuove idee per la “libertà dei poliziotti”; tanti sacrifici i più pesanti furono fatti da Franco Fedeli, che io ricordo con particolare affetto, quando a Bergamo con poca possibilità finanziaria, fu alloggiato alla “cooperativa Rosa Luxemburg”, mangiando panini per pranzo e per cena: io ero costretto a frequentare le riunioni di nascosto dai miei colleghi e superiori; tempi molto duri per chi voleva impegnarsi socialmente rischiando tutto, anche la propria famiglia.
Altamente appagante fu un memorabile documento diffuso con il soprannome “Carboneria della Polizia”; che io custodisco gelosamente. Anche in questa occasione vorrei ricordare il nome di Franco Fedeli grande trascinatore e combattente della nostra causa.
È motivo di particolare soddisfazione vedere che la piccola pianta nata dalle nostre rivendicazioni si sia trasformata in un magnifico albero che continua a dare buoni frutti per tutti i nostri colleghi in servizio.
Per chi ha lottato per un bene comune, poter scrivere questa breve nota, sulla storia che ha cambiato il Corpo di Polizia, è un raro privilegio.
Un caro saluto dal “carbonaro”
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