L’apprezzabile iniziativa di questa rivista con il ricordo della legge 121/81, pur soffrendo di incompletezza dovuta anche all’esigenza di riassumere in poche pur se brillanti pagine un notevole e qualificato lavoro, ne dimentica le intuizioni moderne ed il rispetto per i valori costituzionali del buon andamento, che quella legge coniugò e realizzò.
La smilitarizzazione del Corpo delle Guardie della Pubblica Sicurezza; la individuazione di figure nuove (ad esempio gli Ispettori) funzionali al potenziamento delle competenze in materia di investigazione e prevenzione; la dignità riconosciuta ai ruoli tecnico-scientifici; la istituzionalizzazione del coordinamento centrale e periferico delle Forze di polizia attribuita ad un momento terzo, ad esse garantendo effettiva equiparazione; l’intensificazione della formazione a tutti i livelli; il riconoscimento di inquadramenti nuovi per professionalità effettive erano, nell’intenzione del legislatore e del governo, i pilastri essenziali della Riforma, che avrebbe dovuto consentire maggiore efficienza e più rapido sviluppo operativo nella lotta alle varie forme di criminalità.
Il raggiungimento di tali obiettivi è stato reso più difficoltoso per alcune innovazioni (svuotamento della figura degli Ispettori, divenuti per inquadramenti un gradino della carriera; trasformazione delle associazioni tra i lavoratori di Polizia in sindacati, cui sono consentiti lo sciopero ed ogni forma di agitazione, assumendo, altresì, caratteristiche trainanti le altre Forze militari di polizia; parziale esproprio dei compiti di indagine e di Polizia giudiziaria per effetto delle successive norme processuali penali determinate da impostazioni pseudo-culturali di sfrenato garantismo; svuotamento psicologico del personale conseguente all’accesso alle scarcerazioni di imputati anche per reati gravi; affievolimento del coordinamento: eccessive specialità che, giustificabili per la Dia, non significano il mantenimento delle altre e molte proliferazioni operative), che hanno ispirato anche il legislatore degli ultimi anni Ottanta e di quelli Novanta.
Ma la maggiore e più pesante incisione ordinamentale è stata, a mio parere, determinata dalla legge sul cosiddetto riordino delle Forze di polizia e dai successivi decreti delegati, di fatto concordati tra governo ed opposizione, le cui infelicità normative devono essere contestate e denunciate come uno degli aspetti più perniciosi ai fini di un rapporto, sinergico e non conflittuale, tra le Forze di polizia: come la pubblicizzata telefonata tra il Presidente del Consiglio dell’epoca ed il Presidente Cocer, la diffusione del relativo dossier, gli annunzi a pagamento sulla stampa con accuse dure e pesanti, le polemiche su non concordate operazioni di Polizia, il permanere di Reparti speciali che hanno chiaramente evidenziato lo stato di malessere.
Governo e Parlamento, infatti, con detta legge hanno pensato unicamente: a moltiplicare, nel numero, Generali dell’Arma dei Carabinieri e del Corpo della Guardia di Finanza, Dirigenti generali nella Pubblica Sicurezza, oltre ad aver promosso ed unificato ruoli, svilito il contributo dei Marescialli, degli Ispettori, dei Sovrintendenti, dei Brigadieri, dei senza grado, dimenticando che la maggiore professionalità non si ottiene con le promozioni, ma con aggiornamenti periodici non meramente dottrinari e con inquadramenti non regolati dall’anzianità, quanto nascenti dalla qualità delle operazioni e dallo spessore del servizio.
Questi nei e questi stravolgimenti vanno invece corretti ritrovando lo spirito che sostanziò la legge 121.
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