I fatti di Genova alla luce delle norme del Codice penale. La proporzione fra difesa e offesa, il lancio di sassi e di altri oggetti contundenti e la liceità della risposta con l’arma in dotazione
I fatti di Genova in occasione del G8, sono stati di una violenza e una gravità tale che questa volta ho deciso di uscire dai normali temi che tratto su questa rivista e parlare di quello di attualità legato a questi fatti.
Eccoci quindi, superato il rispetto che merita ogni morte anche di chi avesse commesso dei reati, a parlare dei problemi giuridici connessi ai fatti in parola. Due norme in particolare trovano applicazione nella vicenda: quello della difesa legittima, quello di uso legittimo delle armi (art. 52 Codice penale e art. 53 Codice penale). In terza istanza può trovare una notevole motivazione: quella dello “stato di necessità” (art. 54 Codice penale). Recita il Codice: “nessuno è punibile per aver commesso il fatto per difendere se stesso o altri contro il rischio imminente di un pericolo attuale, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa” (art. 52 Codice penale). Precisiamo subito che la “proporzione” tra offesa e mezzo di difesa non va intesa nel senso esclusivamente “quantitativo” o “qualitativo”, ma in relazione alla pericolosità dell’offesa da cui legittimamente si intende difendersi. La norma riguarda poi il pericolo “attuale” di un’offesa ingiusta verso se stessi o altri.
Il carabiniere che con i colleghi, tre giovani carabinieri di leva, nessuno di Genova, si trovava sulla “Campagnola” potrà invocare il diritto alla difesa legittima in quanto non si trovava in quel luogo per sua volontà, bensì perché così avevano comandato i suoi superiori. Che il pericolo di offesa fosse imminente è dimostrabile attraverso la visione delle fotografie del particolare momento, e che possa invocare tale diritto anche a favore dei suoi colleghi è parimenti sicuro.
E veniamo al punto più importante: la proporzione fra difesa e offesa. Se i carabinieri si fossero trovati solo offesi da una “legittima” sassaiola (come può essere considerata tale e come si può stabilire che nessuno si sarebbe trovato in pericolo grave per un lancio di sampietrini è cosa opinabile) certamente il lancio a distanza ravvicinata di un estintore, configura gli estremi della pericolosità, il pericolo di incombenza è l’assoluta attualità dell’azione.
Per escludere la proporzione fra offesa e difesa sarebbe stato necessario scendere dall’automezzo e valutare se l’estintore era carico o scarico e quindi che tipo di danni avrebbe comportato il suo lancio e quindi difendersene scegliendo il mezzo idoneo alla difesa.
L’età del carabiniere che ha sparato (21 anni - ausiliario di leva) spiega molte cose. Cosa sarà passato per la sua testa in quei momenti? Era un lavoratore come gli altri, giovane come gli altri, solo aveva fatto una scelta diversa. Invece di contestare il G8 (che se bene non ha fatto, ma male neppure) era lì per difendere il diritto di ognuno alla sua libertà di scelta.
Anzi questa volta il signor Presidente della Repubblica e le autorità di governo, avevano invitato tutti al dialogo proprio perché l’Italia si apprestava a sollevare scottanti problemi: la fame e la malattia nel mondo, soprattutto in quello definito “Sud del mondo”, quale che sia la sua posizione geografica.
Ma altri uomini senza scrupoli, non si sa neppure da dove, non hanno esitato ad indicarlo come il pericolo da combattere. Sebbene più restrittiva può trovare applicazione lo “stato di necessità” ed ancora oggi a Genova è indicato come la “morte vestita da carabiniere” (art. 54 Codice penale). Infatti non è possibile difendersi da qualsiasi pericolo, ma solo quello derivante dal pericolo attuale di un danno grave alla persona; pericolo, recita il Codice, che non sia “diversamente evitabile”, fermo restando gli altri elementi della legittima difesa. E il tizio con la trave non aveva certo buone intenzioni!
La parola quindi ai periti, con lunghe dissertazioni sul tipo di pericolo causato dal lancio dei sassi, dalla rottura dei vetri e dal lancio (non evitabile) di un estintore.
Ognuno presenterà perizie di parte che normalmente saranno diametralmente opposte, e così si andrà avanti fino alla Cassazione. Restano solo due vite distrutte, quella del giovane genovese e quella del carabiniere che ha sparato.
È possibile che venga fatto cenno anche ad un’altra causa di non punibilità: quella di forza maggiore essendo stato il carabiniere costretto a servirsi dell’arma ricevuta in dotazione (Art. 45) e l’attenuante di cui all’art. 62-3 (suggestione da una folla in tumulto). Resta l’intervento del procuratore generale presso la Corte d’Appello di Genova o, per legittima suspicione quello di Torino, ma stante la gravità dei fatti, è un intervento neppure da auspicare.
Lo Stato dovrà fornire la difesa da parte di un legale di fiducia che potrà essere membro dell’avvocatura dello Stato o un legale scelto dai diretti interessati se vi saranno incriminazioni a catena di uomini delle Forze dell’ordine.
Non essendo possibile assolutamente dimostrare la volontà di uccidere da parte dei carabinieri ed anche non usando la formulazione di “non intendere e di volere” al momento del fatto, potrebbe rimanere l’imputazione di “omicidio colposo” per eccesso colposo in uso legittimo delle armi o legittima difesa o stato di necessità (art. 55), infatti scatterà sicuramente la incriminazione per i dirigenti dei servizi che a loro volta invocheranno l’uso legittimo delle armi (non è punibile il pubblico ufficiale che usa o ordina di far uso delle armi per portare a termine un atto del proprio ufficio e vi è costretto dalla necessità di vincere una resistenza).
Per il resto che altro resta da fare? bisogna ritrovare il giusto equilibrio fra il passato e il presente. Nei tempi in cui l’ordine pubblico sembrava in pericolo, tanto da richiedere leggi straordinarie.
Ma l’adozione dello scudo rappresentò un passo indietro delle forze dello Stato, chiuse a difesa e non più titolari dell’iniziativa. Vennero di seguito lo scioglimento dei Reparti Mobili e Celeri che erano stati veicoli eccezionali di addestramento. Poi la legge sui caschi e sul travisamento in luogo aperto al pubblico.
Non è democrazia però rinunciare all’iniziativa di dialogare con chi vuole lo scontro ad ogni costo sciogliere le organizzazioni che la legge considera contrarie all’ordinato convivere civile. Possibile che solo questi centomila siano detentori della verità in tutto il mondo?
Oggi come oggi, lo abbiamo visto, masse sempre più numerose e agguerrite pretendono di dettar legge e imporre la propria volontà ad una popolazione che è stanca di violenze e vuole solo dedicarsi alle sue attività. Chi a Genova col duro lavoro di anni aveva messo insieme una attività economica si è visto privato in pochi minuti del frutto del proprio lavoro e sacrificio. Che colpa ne aveva o che aveva a che fare col G8?
E parliamo di attrezzature della Polizia. Occorrono mezzi più moderni, scudi più maneggevoli, caschi realmente protettivi che non facciano sentire gli agenti in costante pericolo. Ripristino delle operatività dei reparti a cavallo, con continuo addestramento. Infatti il cavallo può incutere timore ma non ha la dirompente capacità offensiva di un mezzo, anche se gli automezzi corazzati non hanno certo dato buoni risultati essendo più automezzi per il trasporto di agenti piuttosto che automezzi coi quali, in piena sicurezza, si possa, ad esempio, costituire una barriera interdittiva.
Ed ancora: è mai possibile che le industrie delle armi non siano mai state interessate o capaci di costruire un’arma adatta all’ordine pubblico, interdittiva, che lanci anche proiettili dolorosi ma che evitino effetti letali?
Non ci venga qualcuno a parlare di stanziamenti ridotti. Il Parlamento approvi leggi chiare e unificate, sfoltisca la pletora delle norme del settore e produca un “Testo unico sull’ordine pubblico”. Sarà anche ora di mettere da parte le gelosie e le rivalità fra i vari Corpi di Polizia, assegnando a ciascuno compiti ben precisi. Soprattutto occorre realizzare quel coordinamento di cui si parla almeno dal 1981. E speriamo che i prossimi appuntamenti internazionali, a Roma e Napoli, non siano luogo di esercitazione per i violenti.
Nel frattempo ci resta il penoso rammarico per due vite spezzate. Il giovane morto non sarà più coi suoi amici, coi suoi familiari, con la sua ragazza. La vita del giovanissimo carabiniere non sarà più la stessa perché “porterà” nella mente le orribili immagini di una giornata di pazzia collettiva.
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