Nel corso del dibattito in Parlamento (ma anche nelle polemiche giornalistiche) si è confuso il ruolo degli aggressori con quello degli aggrediti
“Genova the Day After”, ma non è un film: le varie Cassandre, me compreso, che esprimevano il timore che ci scappasse il morto, visti i precedenti G8 e le immagini diffuse i giorni prima dai Tg che mostravano vere e proprie esercitazioni di contrasto alle forze di sicurezza con mezzi che ben poco spazio lasciavano all’ipotesi di manifestazioni pacifiche, hanno purtroppo visto realizzato il maledetto oracolo.
Alle Camere è volato il fuoco greco, confondendo aggrediti con aggressori, chiedendo dimissioni in blocco (Cicero pro domo sua) dei vertici di coloro che rappresentano la legalità e dando poco più di una tiratina d’orecchie a chi la legalità, ben al di là di una civile protesta, l’ha calpestata e vilipesa nel modo più anarcoide e vandalico.
Il Capo del Governo, il Comandante Generale dell’Arma, il Ministro dell’Interno ed il Capo della Polizia sono per certa gente i responsabili della morte di un ragazzo ventenne. Mi fa caso che non siano state coinvolte per eventuali incriminazioni anche la Beretta spa e la Fiat spa in qualità di fornitori, rispettivamente, dell’armamento e dell’automezzo dei Carabinieri.
Le manifestazioni di protesta che sono seguite in questa città come in tante altre hanno marcato, senza mezzi termini, il carabiniere dalla cui arma è partito il colpo mortale come assassino, come se la sua pelle contasse meno che niente; e tra questi manifestanti indignati anche persone che si fanno vanto con gli amici del bar che “con i tempi che vanno se mi trovo un ladro in casa ed ho un’arma a portata di mano lo faccio secco senza pensarci su”.
Induzione da filmistica Tv? Può darsi.
Ma Genova non era un set cinematografico; o se a modo suo lo era vi si recitava a soggetto su un bruttissimo copione; il sangue non era anilina o ketchup: era vero e puzzava di odio presente e di futura memoria.
Una vecchia canzone diceva che anche “sui monti di pietra può nascere un fiore”. Questo fiore è spuntato dal macigno della tragica morte di un figlio sotto la forma delle parole del padre che invece di strabordare con veemenza in una marea di ciò che avrebbero potuto essere, cosa del resto umanamente comprensibile, sentimenti di astio e rivendicazione hanno messo su un medesimo livello il suo dolore e quello del carabiniere che certo non ha gioito per l’accaduto.
La compostezza, l’onestà morale e la coerenza quasi sconcertanti in senso positivo, dato il frangente, di quel padre hanno impartito, anche se l’espressione appare stridente, una grande ma proprio grande lezione di vita.
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