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ottobre/2001 - Interviste
Genova DOCET
Non torniamo agli anni bui
di Maria Dell'Uva

Dopo i fatti di Genova s’impone una riflessione sui temi dell’ordine pubblico e della sicurezza che vanno visti nell’interesse generale del Paese senza pregiudizi

Il Comitato per il ritorno agli ideali della Riforma della Polizia si è costituito da tempo non appena coloro che avevano lottato per ottenere il varo della legge 121/81, si resero conto che la mancata attuazione della normativa, nella sua completezza, e le modifiche che si andavano via via maturando ne stavano snaturando i principi.
Nella convinzione che un tale indirizzo era pericoloso non solo per la funzione della Polizia di Stato, ma anche e soprattutto per il rapporto tra Forze di polizia e cittadini, nonché per l’esigenza di garantire ordine e sicurezza pubblica in un’ottica di crescita democratica, di convinta partecipazione sociale e di garanzia di diritti civili uguali per tutti, il Comitato si attivò per richiamare l’attenzione delle forze politiche e sociali sull’opportunità di seguire con attenzione dibattiti e proposte che si andavano accavallando e che avevano, come protagonisti - troppo spesso - persone che pur teoricamente preparate, non avevano alcun senso pratico della realtà.
Proprio ora, dopo i fatti di Genova - pur nella grande tristezza per avvenimenti che mai avrebbero dovuto verificarsi - si avverte la necessità e l’urgenza di invitare tutti ad una riflessione seria su temi che vanno trattati e visti nell’interesse generale, senza pregiudizi di sorta, né tentativi di copertura, né atteggiamenti precostituiti a favore di questa o quella parte.
Innanzitutto va fatta chiarezza su una pregiudiziale: non esistono parti contrapposte, ma cittadini con pari diritti e pari doveri, sia che partecipino a pacifiche manifestazioni, sia che indossino una divisa: e tutti - ciascuno nel proprio ruolo e nel proprio gruppo - devono contribuire per isolare violenti, prevaricatori, insensati.
Con la legge di Riforma 121/81, gli appartenenti alla Polizia di Stato dichiararono di voler essere, e sono, lavoratori tra i lavoratori, cittadini tra i cittadini.
Oggi, per responsabilità che vanno accertate e rese pubbliche, si avverte il pericolo di un ritorno ad anni bui; si ha l’impressione che si tenti di riproporre una frattura tra la gente e i tutori dell’ordine. Ciò deve essere evitato nell’interesse di tutti e di ciascuno.
La grande maggioranza degli appartenenti alle Forze di polizia vive la sua professionalità con grande abnegazione e senso del dovere, rifacendosi a principi democratici, per un convincimento personale, per un’esperienza maturata negli anni, per una dignità acquisita.
Tutto ciò ci realizza, per centinaia di agenti e dirigenti quotidianamente, non per le disposizioni che parlano di “Polizia di prossimità” o per l’uso invalso di far prevalere una “visibilità” delle divise, né per gli annunciati “insediamenti” di presidi sul territorio, ma per il rapporto che tutori dell’ordine, troppo spesso misconosciuti o ignorati anche da superiori diretti, riescono a creare con i cittadini del quartiere o della zona in cui operano.
Va, dunque, valorizzata questa schiera di operatori democratici e concreti, con una nuova svolta che porti a valutazioni diverse da quelle del passato, in cui, ahimè, troppe volte furono esaltati e premiati elementi che apparivano forti e decisi, individualmente superiori agli altri.
Bisogna, nell’immediatezza, rendere più sentito e forte il rapporto tra gli appartenenti alla Polizia di Stato, organizzati in organismo civile di prevenzione, e i cittadini, perché tutti insieme si mobilitino per garantire diritti civili e convivenza sociale.
Bisogna ritornare sul tema del Coordinamento delle Forze di polizia, con precise indicazioni e senza l’equivoco determinato dalle “autonomie” più o meno palesi, che, alla resa dei conti, si mimetizzano e scompaiono, così che, nel successo c’è pari dignità mentre, nella cattiva sorte, è solo la Polizia di Stato a pagare.
In un momento così difficile non vi è altra via che quella del confronto leale, diretto e chiarificatore.
Prevalga, su tutte le ipotesi e le convinzioni, l’interesse generale, perché è certo che, anche coloro che intendono “fare” avranno poco spazio se le piazze saranno occupate da manifestanti e se il fumo dei lacrimogeni oscurerà gli orizzonti.
Solo con il consenso si avrà l’ordine; solo con la collaborazione di tutti, si vinceranno insicurezze e tentennamenti.
Con la forza non si ottiene alcunché ed uno Stato è forte solo se ottiene consenso interno e stima e rispetto all’estero.

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