C’è da considerare la responsabilità morale dei mezzi d’informazione che hanno preferito, alla vigilia dell’incontro di Genova, privilegiare aspetti tecnici anziché parlare di povertà, ambiente, diritti umani, alimentando tensioni di entrambi le parti
Nei giorni seguenti ai fatti di Genova ho provato sentimenti di sgomento, di dolore, le immagini di quanto accaduto mi hanno sconvolto e il fatto di vivere in diretta avvenimenti, scontri di piazza e morte è stato devastante. Ho 34 anni e quindi la violenza negli scontri di piazza ha rappresentato per me un fatto storico, importante da conoscere, ma in ogni caso appartenente ad un’altra epoca.
Assistere quasi in diretta alla morte di un giovane manifestante in una piazza italiana, ha evocato spettri di una storia passata. Voi ricorderete meglio di me Giorgiana Masi, che sembrava, fino a pochi mesi fa, impossibile da ripetersi.
La mia frustrazione è enorme davanti a questa doppia tragedia: la morte del giovane Carlo, sceso in una piazza durante una manifestazione e la tragedia del giovane collega, lasciato solo nella stessa piazza che purtroppo, per paura e in preda al panico, si è reso responsabile di un gesto che non potrà non segnare tutta la sua vita.
Sui dettagli dell’episodio c’è un’inchiesta in corso, ma credo sia chiaro a tutti che la situazione e le circostanze abbiano decisamente influenzato i gesti di entrambi i giovani.
Lasciando da parte l’aspetto materiale dell’episodio, visto il suo vergognoso uso fatto dal teatrino della politica, volevo porre l’accento sulle responsabilità morali.
Responsabilità morale dell’informazione, che nei giorni precedenti ha concentrato l’interesse sull’ordine pubblico, sulla “zona rossa”, censurando il tema della povertà, del debito, dell’ambiente, del rispetto dei diritti umani, creando un’aspettativa d’incidenti alimentando tensioni e infiammando gli animi di entrambe le parti.
Responsabilità morale di chi ha fallito politicamente la gestione del summit, per non fare torti a nessuno, prima il governo Amato e poi il governo Berlusconi, non riuscendo ad instaurare un dialogo con la maggioranza sana e pacifica degli antiglobalizzatori, preoccupandosi solo di curare l’immagine sfarzosa al vertice stesso.
Responsabilità morale di chi ha fallito la prevenzione e la gestione dell’ordine pubblico. Credo sia sufficiente ricordare che la prima morte, dalla nascita di questo nuovo movimento di protesta, è avvenuta in una piazza italiana. Il bilancio di un morto e un numero impressionante di feriti fra dimostranti, giornalisti e operatori di Polizia, alla luce di quanto visto, poteva anche essere peggiore.
La mia solidarietà va innanzitutto ai colleghi partiti per garantire l’incolumità di tutti, il rispetto delle leggi e delle regole ma che si sono trovati costretti ad attuare piani di battaglie e ordini mirati alla difesa del “forte”, non riuscendo a garantire i diritti elementari dei genovesi e il diritto dei manifestanti di sfilare pacificamente.
Solidarietà alle migliaia di cittadini che hanno deciso di recarsi a Genova per manifestare pacificamente il loro dissenso verso questo modello di globalizzazione neoliberista e si sono trovati invece in un campo di battaglia.
Solidarietà verso i genovesi che hanno vissuto sulla pelle la blindatura e la militarizzazione della città, con misure di difesa senza precedenti, e la limitazione delle libertà per poi essere colpiti da un’ondata di violenza devastante.
Le mie sensazioni di sgomento, oggi si sono trasformate in rabbia e indignazione per l’episodio della perquisizione alla sede del Genoa Social Forum, e per aver assistito a delle trasmissioni d’approfondimento come “Porta a porta” e “Tg 2 Dossier”, “Primo piano” dove, oltre alla consueta partecipazione di politici e rappresentanti di governo, c’è stata la partecipazione di due rappresentanti sindacali, Aliquò (Associazione Funzionari) e Paladini (Sap) con interventi vergognosi (particolarmente quello del Sap).
Io mi colloco dalla parte del movimento antiglobalizzazione, sono mesi che ne studio le proposte, i contenuti pacifici delle proteste e condivido gli obiettivi della loro battaglia.
Al Genoa Social Forum hanno aderito centinaia di associazioni, movimenti di opinione, organizzazioni cattoliche, missionari, che costituiscono una trasversalità di appartenenze ideologiche che non ha precedenti e rifiuto l’equazione Gsf=black bloc=violenti, proposta durante la conferenza stampa dal Presidente del Consiglio.
Come poliziotto sono dalla parte dei miei colleghi che hanno subito la violenza del blocco duro dei manifestanti, ma non dalla parte di chi li ha comandati ed impiegati, soprattutto in particolari frangenti.
Come rappresentante sindacale intendo prendere le distanze dalle posizioni espresse dai sindacalisti intervenuti nelle trasmissioni televisive, credo in altri valori e rigetto totalmente ogni forma di violenza da qualunque parte provenga; mi spaventa che un funzionario-sindacalista dichiari “ci hanno fatto gestire un servizio di ordine pubblico, ma se qualcuno ci avesse dato i poteri per gestire una guerriglia ne saremmo stati capaci”. Temo sempre chi evoca poteri sempre più forti.
Ho anche provato tristezza nell’apprendere i modi ed i resoconti della perquisizione operata quel famoso sabato notte, perché prevenire non credo sia distruggere una sala stampa o colpire giornalisti che rappresentano l’informazione; rifiuto l’idea di poter essere uno strumento nelle mani del governo, utilizzato per la repressione delle libertà personali e dell’informazione e non voglio essere utilizzato per costruire elementi che diano una parvenza di credibilità alle equazioni del presidente del Consiglio Berlusconi.
Mi rendo conto della difficoltà di una risposta alle mie considerazioni, visto anche il momento precongressuale del Siulp. Fare sindacato non ci obbliga a denunciare i responsabili morali di quanto è accaduto ed analizzare gli errori se ne sono stati fatti, oppure dobbiamo limitarci a spiegare il concetto di “legittima difesa” o parlare del contratto da “favola” o magari spiegare circolari?
Non posso pensare che la categoria non è pronta per certe analisi perché se non cominciamo non cambierà mai nulla. Se non riusciamo a spiegare che è atto di violenza lanciare un sasso verso un poliziotto al pari di colpire gratuitamente una persona sdraiata in terra, abbiamo perso le nostre idee e il nostro sogno di cambiare le cose.
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