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ottobre/2001 - Interviste
Genova DOCET
Perché la “linea dura”?
di Paolo Miggiano

L’unico fatto davvero positivo è stato quello che ha avuto come protagonista il Capo della Polizia che, alla vigilia della riunione del G8, ha cercato di stabilire un contatto con i pacifisti del Genoa Global Forum

Alla vigilia dell’incontro a Genova degli otto uomini più potenti del mondo, i cosiddetti “g8”, il governo italiano ha cercato di dare all’opinione pubblica l’impressione che stesse organizzando il vertice con grande attenzione, preoccupandosi di accogliere gli autorevoli ospiti in un’atmosfera da paese delle favole, disponendo il rifacimento delle facciate dei palazzi della vecchia Genova, riempiendola di profumate fioriere e mettendo a disposizione dei “g” stanze dotate dei più bizzarri confort come lo scrittorio portatile o il personal-trainer. Si è giunti persino ad emanare un editto che imponeva alle casalinghe di non esporre ai balconi la biancheria ad asciugare.
Lo stesso Capo del governo italiano, con diversi sopralluoghi in città aveva voluto dare la sensazione che tutto era stato curato nei minimi dettagli. Alle frontiere, con la sospensione del trattato di Schengen, insieme ad alcuni noti attivisti violenti, venivano fermati e rimandati indietro migliaia di giovani che con lo zainetto colorato in spalla volevano solo essere a Genova per manifestare pacificamente il loro dissenso verso quei pochi potenti che credono di poter decidere il destino del pianeta e quello di miliardi di persone che lo abitano. Nonostante tutto questo alcune centinaia di indescrivibili violenti teppisti, per la maggior parte provenienti dal Nord Europa, sono riusciti a passare le frontiere ed a raggiungere il nostro Paese.
La città di Genova veniva divisa in zone colorate e la cosiddetta zona rossa, quella entro la quale si riunivano le delegazioni dei “g”, veniva presidiata e tutelata come una fortezza inespugnabile, mentre tutto il resto della città diventava terra di nessuno e, insieme alla libertà di manifestare di migliaia e migliaia di dimostranti pacifici, lasciata in mano alle incursioni di qualche centinaio di feroci e violenti assalitori che in questi giorni abbiamo appreso chiamarsi “black bloc” (tute nere).
Forse, tra il tanto gettar fumo negli occhi della gente, le uniche iniziative concrete che si sono registrate sul versante della distensione e della pacificazione sociale sono state quelle del Capo della Polizia che verso la fine di giugno ha tentato di stabilire, con i leader del Genoa Social Forum, un concreto dialogo e la diffusione, tra le Forze di polizia, di un codice di comportamento nel quale venivano dettate, agli agenti impegnati a garantire l’ordine pubblico, le regole da seguire durante lo svolgimento del servizio, che sembrano essere state formulate dal più illuminato e democratico dei sindacalisti della Polizia. In esso, infatti si leggevano frasi del tipo: “I manifestanti non sono tuoi nemici, stanno esprimendo le loro idee” ‘... non sei tu, come singolo, il loro obiettivo”. “Il tuo lavoro deve consentire il regolare svolgimento della riunione del G8; le manifestazioni pacifiche di chi non condivide gli obiettivi del summit; il sereno andamento della vita cittadina”.
La prima giornata del summit è trascorsa tranquillamente con la presenza in strada di migliaia di dimostranti pacifici che non hanno creato né tensioni né scontri con le Forze dell’ordine. Il secondo giorno, purtroppo, con il previsto assalto simbolico dei dimostranti alla cosiddetta zona rossa, la situazione dell’ordine pubblico degenerava e durante gli scontri tra Forze dell’ordine e manifestanti, un ragazzo di 23 anni, Carlo Giuliani, veniva ucciso da un colpo esploso da un suo coetaneo carabiniere di leva che, probabilmente preso dal panico, per quello che intorno a lui stava accadendo, lo colpiva in pieno volto.
Gli otto “g”, incuranti del sangue che scorreva nelle strade di Genova, non avevano neanche il pudore di sospendere il gran galà previsto per la cena.
Poi un’altra ombra veniva gettata sulla consolidata democrazia italiana quando nella notte di sabato le Forze dell’ordine eseguivano, probabilmente, un ordine (perché, in contesti del genere, è molto difficile ipotizzare che tali operazioni vengano effettuate senza che il governo o il ministro ne siano informati) che il Presidente del Tribunale di Milano definiva un’operazione incostituzionale che non ha precedenti nella storia dell’Italia Repubblicana: le Forze di polizia fanno irruzione nella sede del Genoa Social Forum per cercare i cosiddetti black bloc e le armi con le quali avevano messo a ferro e fuoco la città. Quando Polizia e Carabinieri lasciano la sede del Genoa Social Forum, portandosi via alcune decine di fermati ed altrettanti feriti, gli operatori delle televisioni filmavano quello che noi tutti abbiamo visto e non avremmo voluto vedere. Così il ritrovamento di solo due bottiglie incendiarie, alcune mazzuole e qualche coltellino multiuso ha consentito al governo di poter fare l’equazione: Genoa Social Forum uguale a tute nere violente.
A Genova in questi tre giorni di vergogna si è visto di tutto: un morto e tanti feriti; tanta gente manifestare in modo pacifico; le tute nere che assalivano la Polizia e devastavano la bella Genova; si sono viste anche alcune spropositate reazioni da parte di entrambi gli “schieramenti”, si è persino sollevato l’inquietante sospetto (a cui noi stentiamo a credere) che tutto ciò sia stato voluto. Ma confondere migliaia e migliaia di dimostranti pacifici con un gruppo di violenti sanguinari è stato davvero un maldestro tentativo di mistificazione della realtà.
Occorrerà accertare quali siano state le ragioni per le quali si è seguita la linea dura ed abbandonata la strada del dialogo sapientemente indicata e intrapresa dal prefetto De Gennaro, facendo prevalere la repressione e concentrando la prevenzione solo ed esclusivamente a salvaguardia dei cosiddetti grandi.
In un Paese civile, i responsabili politici della gestione dell’ordine pubblico, davanti a tanta violenza, dovrebbero rassegnare le dimissioni dal loro incarico. A Genova si sono mandati allo sbaraglio migliaia di giovani poliziotti, carabinieri, finanzieri, agenti di Polizia Penitenziaria, guardie forestali (perché proprio loro?) e qualche migliaio di soldati. La loro preparazione è stata quella di un corso accelerato di pochi giorni. Questi giovani sono stati diretti da funzionari per la maggior parte normalmente impiegati nei vari uffici delle questure.
È inaccettabile il cinismo di alcuni nuovi governanti che con il corpo del giovane Carlo Giuliani ancora sull’asfalto, si mostravano in televisione come gli unici paladini delle Forze di polizia, come è inaccettabile l’impudenza di altri che appena terminato il G8 diramavano la notizia che “il governo si sarebbe occupato degli stipendi delle Forze dell’ordine”.
A tanto cinismo, però è contrapposto il composto dolore dei genitori del giovane Carlo Giuliani, le cui parole rimangono l’unico grande messaggio morale di questi giorni di scellerata follia. Il padre del ragazzo ucciso, ancora distrutto dal dolore, ha avuto la lucidità e il coraggio di affermare che il carabiniere che gli ha ucciso il figlio è anch’egli una vittima, vittima di chi non lo ha preparato con sufficienza a svolgere quel compito: “non esiste nulla che valga la vita di un ragazzo. Non esiste nulla che possa restituirlo a noi, a tutti i giovani come voi, alla vita. Per questo chiediamo pace e rifiuto della violenza. Chiediamo che i sentimenti di pace, di tolleranza, di solidarietà siano i valori autentici nei quali riconoscersi perché l’assurda morte di Carlo non sia ancora più assurda e più inutile. Carlo era un ragazzo come tanti altri, con i suoi problemi, che non ammetteva le ingiustizie. Credo che lui abbia vissuto l’episodio in cui è stato ucciso come un’ingiustizia e si sia ribellato. Provo pena per il carabiniere che ha sparato a mio figlio. Spero per lui che non dimentichi mai quello che ha fatto. Anche lui era una vittima”.
Questo è il messaggio che io poliziotto del Silp per la Cgil, insieme alla filosofia messa in campo dal prefetto De Gennaro alla vigilia del vertice, condivido e mi batterò per affermare, respingendo qualsiasi forma di violenza e mistificazione.
Ma la democrazia faticosamente costruita in questi anni tra i poliziotti non è stata tutta buttata nel mare agitato di Genova se alcuni poliziotti erano pronti a manifestare al fianco del Genoa Social Forum; se ci sono stati anche poliziotti che bloccavano alcuni loro colleghi proprio mentre malmenavano giovani inermi a terra; se alcuni ragazzi del Corpo Forestale avrebbero solidarizzato con i ragazzi che manifestavano pacificamente.
Adesso resta da comprendere se gli strumenti della sicurezza utilizzati a Genova erano quelli giusti sempre che il governo la smetta di scaricare le sue responsabilità politiche sulle Forze dell’ordine e si dichiari disponibile a spiegare quali siano state le sue priorità per la sicurezza del G8. Da questi chiarimenti sarebbe necessario partire per comprendere lo spirito con il quale l’esecutivo intende affrontare la gestione dell’ordine pubblico nel prossimo futuro. Questo per noi operatori del settore della sicurezza che saremo direttamente impegnati su questo delicato versante della vita del Paese rappresenta un diritto legittimo.

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