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ottobre/2001 - Interviste
Genova DOCET
“No al modello repressivo”
di Paolo Andruccioli

Il segretario generale del Silp-Cgil Claudio Giardullo pone l’accento sul fatto che il governo, a Genova, ha voluto dare una svolta autoritaria al concetto di ordine pubblico

Diamo per scontato che i nostri lettori sappiano quello che è successo, perché ormai usciamo a distanza quasi di 2 mesi dai fatti di Genova; diamo anche per scontate tutte le informazioni e anche le eventuali novità che derivano dal lavoro della Commisione parlamentare d’inchiesta e dal lavoro della magistratura. La prima domanda è se secondo te c’è stata con Genova una svolta nella politica dell’ordine pubblico in Italia.
Sicuramente alcuni ambienti politici della maggioranza di governo hanno voluto far segnare con Genova una svolta nel modo di fare ordine pubblico in questo Paese. La mia sensazione è che una parte degli ambienti di maggioranza di governo siano molto lanciati lungo questa linea, che è la linea dell’inasprimento della piazza, di un ordine pubblico che ha un modello più repressivo, di un ordine pubblico fatto con i proiettili di gomma, con tante linee rosse invalicabili tracciate a terra. Noi consideriamo questo modello, oltre che discutibile da un punto di vista generale del rispetto dei diritti costituzionali, anche assolutamente inefficace. A Genova è stato un modello che si è dimostrato tale. La difesa del “fortino”, della zona rossa (giusta perché è evidente che il vertice doveva essere salvaguardato nel suo svolgimento) ha poi portato a un ordine pubblico con un morto e un centinaio di feriti tra le Forze dell’ordine e tra i manifestanti. Un ordine pubblico che si chiude con questo bilancio è comunque un fallimento. Al di là degli errori, delle inefficienze che anche le audizioni dei responsabili delle Forze di polizia in sede parlamentare hanno messo in evidenza, quelle audizioni hanno confermato ciò che sin dal primo momento noi abbiamo sostenuto, e cioè che l’impostazione strategica dell’ordine pubblico, durante quei giorni, cioè con un “fortino” super controllato da una parte e con una città con i reparti militari pesanti, lenti, non efficaci dall’altra, è un’impostazione strategica sbagliata e che purtroppo prelude (ormai abbiamo tutti gli elementi per immaginarlo) un ordine pubblico di questo tipo dove c’è meno dialogo, meno attività preventiva, più attività repressiva, più uso della forza. L’ordine pubblico funziona se in piazza non succede niente. E in piazza non succede niente, in genere, quando c’è una forte attività preventiva, di conoscenza di chi manifesta in piazza, quando c’è un dialogo permanente tra le Forze di polizia e gli organizzatori delle manifestazioni e coloro i quali ovviamente hanno interesse, con le Forze di polizia, ad isolare i violenti. Quando c’è questa forte azione preventiva le possibilità che succedano incidenti ovviamente si riducono. Se non c’è una forte azione preventiva le possibilità che i violenti trovino campo libero ovviamente aumentano, per cui per noi un ordine pubblico che funzioni è un ordine pubblico dove deve continuare ad esserci una forte impostazione preventiva più che repressiva.
Dopo anni di Polizia democratica l’immagine del poliziotto è cambiata: come mai si è scoperta una Polizia così “cattiva”?
Non c’è una Polizia “cattiva”; queste sono le stesse Forze di polizia che in questi 20 anni hanno assicurato la sicurezza democratica nel nostro Paese, non possono cambiare all’improvviso, questo va detto. La stragrande maggioranza dei poliziotti lavora con professionalità e con spirito democratico, non avrebbero potuto assicurare la legalità democratica in questi anni se non avessero avuto l’ispirazione e questo tipo di preparazione. In realtà c’è nelle Forze di polizia, in questo momento, specie dopo Genova, un grande disagio perché i poliziotti più avvertiti colgono un cambio di attegiamento di strategia da parte del governo in rapporto all’ordine pubblico, però questo attegiamento ancora non si traduce in un indirizzo politico chiaro. Si coglie un’esigenza di inasprimento dei rapporti di piazza, ma non c’è un messaggio politico chiaro da parte del governo sull’impiego dei poliziotti in ordine pubblico. Allora i poliziotti che hanno le maggiori responsabilità, i questori, quelli che devono gestire l’ordine pubblico in piazza, hanno la preoccupazione che, come successo a Genova, di fronte a messaggi politici confusi e magari di fronte a un certo accentramento dei poteri al centro del Viminale, in realtà, a pagare sarà chi è responsabile in sede locale e non ha avuto i poteri per assumere decisioni che potessero risolvere alcune situazioni di ordine pubblico. L’incertezza dei questori sta in questo: la preoccupazione di essere espropriati delle loro funzioni e dei loro poteri e invece quelle di essere responsabili di fronte ai problemi. Le preoccupazioni degli operatori, di chi materialmente deve svolgere i compiti di ordine pubblico, sono analoghe con riferimento al loro livello di responsabilità: cioè in mancanza di un indirizzo politico chiaro la preoccupazione di usare la mano troppo dura o troppo leggera in ordine pubblico e la preoccupazione che di fronte all’assenza di un indirizzo politico e tecnico chiaro siano gli operatori ovviamente a rispondere di fronte alla magistratura se dovesse eccepire violazioni della legge. Quindi anche gli operatori più giovani hanno questo tipo di disagio dovuto al fatto che si coglie l’esistenza di un cambiamento in corso, ma c’è molta ambiguità dal punto di vista del governo. Devo aggiungere che un certo fastidio è provocato anche dall’attegiamento molto aggressivo di una parte dei partiti politici della maggioranza, che tendono ad accaparrarsi facili consensi tra gli operatori di Polizia: “Noi siamo dalla parte della Polizia” (come se la società civile non lo fosse dalla parte della Polizia in questo Paese); e anche con un atteggiamento molto aggressivo nei confronti della magistratura come, ad esempio, l’attacco che c’è stato sulla magistratura di Genova dalla parte più conservatrice della maggioranza di governo; la magistratura di Genova è stata accusata di perseguire solo i poliziotti e di tentare di delegittimare la Polizia; questi attacchi provocano un fastidio in molti operatori di Polizia. Perché intanto capiscono che è solo un tentativo di raccogliere dei consensi politici; e questo di per sé crea un problema per i poliziotti perché non vogliono essere etichettati, non sono interessati a farsi appiccicare delle etichette politiche sopra. Poi molti poliziotti sono infastiditi, perché sanno che, proprio mentre è in corso l’inchiesta di Genova sui fatti contestati, sugli abusi, la mancanza di un clima di serenità e di equilibrio va contro i loro interessi. Allora l’attacco di una parte della maggioranza, alla magistratura di Genova, può far venir meno questo clima di serenità che i poliziotti sanno essere necessario per lo svolgimento sereno dell’inchiesta. Alcuni poliziotti avvertono che nello scontro tra Polizia e magistratura l’anello debole della situazione possono essere loro, i poliziotti, e quindi vedono con fastidio l’attacco che una parte della maggioranza sferra alla magistratura, e poi anche con preoccupazione. Perché a molti poliziotti appare chiaro che dietro attacchi di questo tipo c’è il tentativo di creare un solco tra Forze di polizia e magistratura, cioè di avvicinare ancora di più, magari ideologicamente, le Forze di polizia a una parte della maggioranza di governo Questo i poliziotti lo considerano irresponsabile; in fondo in questi 20 anni una condizione importante della tenuta della legalità democratica è stata anche il forte rapporto di fiducia tra poliziotti e magistrati, sia sul fronte della lotta al terrorismo, sia sul fronte della lotta alla mafia, ma anche nell’azione quotidiana di garanzia contro la criminalità diffusa. Il rapporto tra poliziotti e magistrati se non è di fiducia diventa un problema per la democrazia nel suo complesso. Per questo i poliziotti giudicano irresponsabili attacchi di questo tipo. Per cui il disagio che in questo momento c’è tra le Forze di polizia è la somma di questi elementi: dalla mancanza di chiari indirizzi politici di cui si avverte l’esistenza, di nuovi indirizzi, fino a un tentativo di una parte della maggioranza di staccare i poliziotti dall’istituzione e dalla società civile, che queste Forze di polizia di questi 20 anni ha vissuto sempre e soltanto in un rapporto con la società civile e con la magistratura molto chiaro, saldo e di reciproca fiducia. Ebbene, questi poliziotti hanno la sensazione che qualcuno, oggi, vuole rompere questo equilibrio.
Cosa si può fare, per chi come noi, ha interesse a mantenere le conquiste, i diritti, il livello di civiltà di Polizia?
Partiamo dalle questioni più tecniche per poi finire all’impegno politico in generale che è la vera questione che abbiamo affrontato. Sul piano tecnico è ovvio che bisognerà, anche alla luce di Goteborg e di Genova, ripensare in qualche modo alle attività di ordine pubblico. Però bisogna fare attenzione: secondo noi è sbagliato questo insistere sull’esistenza quasi esclusiva di una vera e propria guerriglia urbana. Si ha la guerriglia urbana quando il normale ordine pubblico fallisce, e questo è successo a Genova. Questo insistere sull’esistenza ormai soltanto di guerriglia urbana in piazza in realtà non fa altro che alzare la soglia di accettabilità di una piazza dura e violenta e non penso che questo vada negli interessi degli italiani. Allora bisogna saper utilizzare questi concetti con molta prudenza e sapere che gli incidenti in piazza si trasformano in guerriglia urbana quando l’ordine pubblico ha fallito. Noi dobbiamo prepararci a fronteggiare possibili incidenti, ma non col modello Genova, quindi non con il modello “linea rossa, fortino invalicabile”, ma con il modello prevenzione, dialogo, responsabilità, uso controllato della forza. A me ha preoccupato molto che questa estate, una figura importante come il senatore Cossiga, avesse dichiarato ai giornali che al Presidente del Consiglio lui consigliava di far distruggere le città salvo poi far intervenire i carri armati che sarebbero stati evidentemente reclamati a gran voce dai cittadini italiani dopo la distruzione delle città. A me preoccupa che nessun esponente di governo e della maggioranza di governo, abbia detto chiaramente no. Noi siamo per un modello di ordine pubblico diverso, quello di questi ultimi 20 anni, fondato sulla prevenzione e non sulla repressione, fondato sull’investigazione, fondato sul dialogo, sul rapporto con chi ha la responsabilità della manifestazione, sul tentativo congiunto di chi fa le manifestazioni e delle Forze di polizia di isolare i violenti e tutti coloro che sono in piazza per manifestare non pacificamente. Noi siamo per questo modello di ordine pubblico e ci muoviamo in questo senso. Anche nella preparazione delle Forze di polizia noi riteniamo si debba andare in questo senso: verso un uso controllato, intelligente e mirato della forza, non verso un uso spinto della forza. In ordine pubblico l’obiettivo si raggiunge quando un gruppo di manifestanti violento viene disperso, non quando viene sopraffatto: sono due cose diverse. In ordine pubblico l’obiettivo si raggiunge quando si ha, attraverso l’intervento delle Forze di polizia, la dispersione dei manifestanti. Questo è un modello preventivo moderno, antisommossa e di ordine pubblico, non il modello delle mani pesanti come si è avuto a Genova, come ha detto anche il Vice Capo Andreassi nella sua audizione. Ovviamente ci sono voluti tre quarti d’ora perché un reparto militare pesante, lento e grosso intervenisse; ecco quindi la necessità di contingenti di Polizia composti di pochi uomini bene addestrati all’uso controllato della forza, che sanno che l’obiettivo è disperdere per poi rientrare. E poi la formazione. L’errore in questi anni è stato anche quello di pensare che sul piano della formazione forse non era importante la trasmissione di alcuni valori molto precisi oltre che di competenze tecniche. La stragrande maggioranza dei poliziotti non ha avuto bisogno di una formazione specifica da questo punto di vista e l’hanno dimostrare in questi venti anni di legalità democratica; però è un errore pensare che in assenza di trasmissione chiara di valori, dal punto di vista di qual è l’obiettivo strategico delle Forze di polizia, specialmente nelle manifestazioni di piazza dove non ci possono essere singoli o gruppi di appartenenti alle Forze di polizia che fraintendano qual è il ruolo, lo spirito guerriero esaltato che non fa parte di un modello di ordine pubblico, come quello che dicevamo prima, che mira a prevenire. Quindi preparazione, modello di ordine pubblico in piano preventivo da una parte, formazione; dall’altra l’impegno politico. Noi dobbiamo far sì che il Paese capisca che siamo alla vigilia di una possibile svolta anche nell’impiego dell’ordine pubblico. Io sono preoccupato, non soltranto guardando ai due vertici - quello della Nato e quello della Fao - ma in particolare guardando al dopo. Chi si prepara a militarizzare l’ordine pubblico, probabilmente guarda a quella stagione di possibili dissensi sociali rispetto a possibili manovre governative ai danni dei diritti dei cittadini e dei lavoratori: penso ai licenziamenti, penso alla scuola. Se, chi volesse militarizzare l’ordine pubblico lo fa guardando a quella stagione, ovviamente noi dobbiamo interrogarci con fermezza su quale modello di ordine pubblico si vuole realizzare in questo Paese. Determinante da questo punto di vista, oltre il dibattito su quale modello di ordine pubblico, qual è l’autonomia che la Polizia, la pubblica sicurezza, in Italia può e deve mantenere. Questa autonomia e questa autorevolezza in questi 20 anni è stata una delle condizioni di garanzia della legalità democratica nel Paese. Quindi la Polizia dovrà avere la forza di mantenere questa autonomia e questa autorevolezza e non cedere alle pressioni di chi, anche negli ambienti di governo, evidentemente vorrebbe un inasprimento dell’ordine pubblico in piazza e quindi un impiego delle Forze di polizia per un modello repressivo.

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