Il segretario generale del Siulp Oronzo Cosi sottolinea le gravi carenze, per quanto attiene la formazione professionale, della Polizia italiana
I fatti di Genova hanno suggerito a più di una persona l'ipotesi che forse la Polizia italiana non è in grado di fronteggiare la guerriglia urbana, soprattutto quando questa sembrerebbe "organizzata". Se è esatta questa ipotesi, c'è da credere che occorra cambiare la filosofia dell'ordine pubblico?
È fuori dubbio che la Polizia (e non solo italiana) quando si tratti di un Corpo di Polizia civile, non solo non è in grado oggi di fronteggiare una guerriglia urbana, ma mi auguro e spero che non sia mai in grado di fronteggiare una guerriglia urbana perché significherebbe essere votati alla guerriglia urbana.
Neanche negli anni cosiddetti “di piombo”, anche nelle contestazioni degli anni '60 e '70, si è mai ipotizzato e mai visto una violenza così inaudita, gratuita, senza obiettivi né ideologici né sociali come quella di Genova. Ci sono altri Paesi che hanno dimostrato e che stanno dimostrando tuttora (purtroppo) cosa significa fronteggiare la guerriglia urbana; sarebbe certo più idonea fronteggiarla con una forza armata più che con una forza civile.
Io sostengo che la Polizia italiana, la Polizia di Stato, per quello che io posso conoscere, aveva individuato, prima di Genova, una sperimentazione di nuclei (particolarmente del 7º Nucleo del Primo Reparto Mobile di Roma); una sperimentazione riguardante un centinaio di uomini idonei per la nuova fase per l'ordine e la sicurezza pubblica. Idonei ad essere molto più duttili, molto più mobili dal punto di vista dell'impiego e dell'operatività, senza l'ausilio dei mezzi pesanti. Nonostante tutte le polemiche che ancora oggi si trascinano, io intravedo in questa sperimentazione il nuovo corso che si basa soprattutto sulla professionalità dell'uomo operatore, non del reparto in quanto tale, dotato di mezzi pesanti. Di fronte ad una presenza di mezzi pesanti la professionalità del singolo operatore viene messa, chiaramente, in secondo piano. Per cui, chi oggi teme una eventuale escalation militare o una militarizzazione dell'ordine pubblico, deve stare molto attento alle dotazioni, agli strumenti tecnologici, agli strumenti di qualsiasi natura rispetto alla preparazione dei singoli operatori.
Quale è la posizione del Siulp per quanto riguarda il profondo stato di malessere che, dopo i fatti di Genova, sembra pervadere i poliziotti italiani? Forse i tutori della legge si sentono abbandonati a se stessi?
La nostra storia, quella del Siulp intendo, deve garantire un po' tutti. Il Siulp rappresenta quel Movimento democratico di poliziotti che ha voluto partendo dalla base e costruito in questi anni un rapporto nuovo, (rispetto a quello diventicinque anni fa) con la società civile, con i cittadini: in sostanza ha voluto portare il poliziotto ad essere cittadino tra i cittadini.
Ora, guardando a questi ultimi episodi (e non solo a questi) c'è da fare una considerazione. Negli ultimi dieci, quindici anni c'è stato un calo nella preparazione professionale ed anche culturale del Reparto Mobile in generale. Diciamo che è il reparto che tradizionalmente è chiamato alla gestione dell'ordine pubblico in piazza, è un reparto che subisce un turn over molto più veloce di altri reparti investigativi o di specialità. Questo, se da un lato può garantire in qualche modo da eventuali forme di corporativismo forte, dall’altro fa perdere quel contributo di professionalità dei singoli che, in questi reparti, si deve avere. Questa sperimentazione cui accennavo, noi del Siulp l'abbiamo letta positivamente perché si basa su una nuova filosofia dell'addestramento individuale, rispetto al vecchio modo di concepire l'ordine pubblico.
Non credo che ci sia grande malessere all'interno della Polizia italiana; credo che ci sia più amarezza. Un'amarezza dovuta ad una campagna di una parte della stampa nel porre taluni temi all'attenzione dell'opinione pubblica. Noi come Siulp dobbiamo essere vigili: capire bene quale processo si sta avviando o si è avviato in questi ultimi anni all'interno dei Reparti, all'interno dei nostri uffici; d’altra parte la Polizia in generale, i poliziotti, i singoli operatori, devono comprendere quale sia il valore vero della società civile e quanto sia fondamentale, per la Polizia stessa, ma soprattutto per i lavoratori della Polizia (anch'essi cittadini, padri di famiglie) il riconoscimento che deve provenire dalla gente. Questo io ritengo sia il nostro compito a partire da oggi, andando avanti, per riscoprire questi valori, incominciando a comprende meglio quanto sia importante avere questo tipo di riconoscimento. Se si comprende la pienezza di questi concetti, io credo che troveremo la risposta, la forza, la consapevolezza e la volontà per poterne uscire a testa alta.
Ci sono stati errori (e da parte di chi) nelle giornate di Genova?
Rispondo secco perché non voglio essere evasivo. Sì, ci sono stati degli errori. Esattamente non ho ancora ben capito quali siano stati, se sono errori di valutazione politica o tecnica. Ho presente un dato: ho dato atto al Ministro dell'Interno, davanti al Capo della Polizia nell'incontro prima dei fatti di Genova, dello sforzo che il Dipartimento, il Ministero tutto, stava facendo proprio mentre qualcuno criticava lo stesso Ministro dell'Interno che aveva prima incontrato il Genova Social Forum quando ancora non aveva incontrato (dopo il suo insediamento) i rappresentanti del personale. Io ho dato una lettura positiva, ho pensato sin dall'inizio che quello era un compito istituzionalmente che pesava sulla testa al Dipartimento, al Ministro dell'Interno per cercare di creare un clima più distensivo rispetto alla guerra verbale che si stava alterando, nelle terminologie, negli inviti alla violenza e agli scontri. Io riconoscevo al Ministro che quello era il momento per la politica italiana, per le istituzioni di fare tutti gli sforzi possibili ed immaginabili anche perché all'apertura del vertice di Genova la politica doveva fare un passo indietro e lasciare ad altri l'aspetto tecnico per fronteggiare al meglio quella situazione.
Ci sono stati degli errori anche durante lo svolgimento del vertice. Qualcuno mi ha accusato di trincerarmi dietro i giudizi della magistratura. Questo, però, è inevitabile: si accrescono i dubbi e non riusciamo a trovare le risposte che ci possano fare intravedere una verità. Ognuno racconta la propria verità, sia da una parte che dall'altra.
Noi dobbiamo farci conoscere meglio, dobbiamo dimostrare che siamo sempre stati (e siamo tuttora) trasparenti, democratici e che comprendiamo cosa significhi la contestazione; noi comprendiamo quali sono i diritti democratici anche di chi non condivide e vuole dimostrare tutto il suo dissenso, non solo sui fatti della globalizzazione ma sui fatti di ogni giorno. Il problema che noi dobbiamo porci - lo ripeto - è: un Corpo di Polizia civile come può attrezzarsi, come può professionalizzarsi per cercare di rendere al meglio al servizio del Paese? Ora bisogna non ripetere gli errori di Genova; serve una analisi approfondita, serena, oggettiva su tutto, ma non di parte.
Qui non servono corporativismi e difese d'ufficio. Io sono sempre più convinto che questa Commissione conoscitiva parlamentare e l'indagine che l'Autorità giudiziaria ha avviato possano consegnarci i veri errori fatti dalle Forze di polizia in generale a Genova, affinché non si ripetano casi analoghi. Oltre questo, però, noi come operatori della Polizia riteniamo di chiedere che tutti, società civile, potere politico, parlamentare ed istituzionale (ma soprattutto quello politico) condannino la guerriglia urbana la quale non può essere discussa perché non è un diritto democratico. Io mi auguro che a nessuno salti in mente di pensare alla Polizia o ai Carabinieri o a qualsiasi altro Corpo militare o civile attrezzato per fronteggiare guerriglie urbane.
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