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ottobre/2001 - Interviste
USA
Dichiarare guerra, ma a chi?
di Isabella Visconti

Dopo l’immane tragedia americana ci si interroga sui possibili futuri sviluppi politici e militari nello scenario mondiale

11 settembre 2001. Ore 8.48: un aereo di linea si schianta contro il Wtc (World Trade Center) e, come un coltello nel burro, penetra nella torre sud. Ore 9.03: un altro aereo di linea fa la stessa cosa contro la torre nord. Ore 9.43: a Washington, un terzo aereo di linea si abbatte sul Pentagono. Ore 10.05: a New York, si sbriciola su se stessa la torre sud. Ore 10.10: un quarto aereo di linea si schianta a 130 km da Pittsburgh. Ore 10.28: si polverizza anche la torre nord del Wtc.
Sotto gli occhi delle telecamere, Manhattan trasmuta in uno scenario apocalittico, gli Stati Uniti vivono l’inizio di una nuova storia che li vede trafitti al cuore, il mondo intero guarda attonito la più grande potenza del mondo apparentemente in ginocchio, di fronte al più devastante e inedito attacco terroristico mai conosciuto nella storia dell’umanità.
Ventimila e più (ci vorranno, si dice, circa due mesi per saperlo) i morti. La Casa Bianca, il Congresso, i ministeri e i grattacieli di Manhattan vengono evacuati. Gli Stati Uniti sopportano, per oltre un’ora, un’onda d’urto inimmaginabile per ogni futura conseguenza e ricaduta. Mentre il presidente George W. Bush parla di “tragedia nazionale”, a Manhattan si diffonde il panico, con la parte meridionale dell'isola avvolta in una nuvola di fumo e i grattacieli della città svuotati in fretta dal personale. Ponti e tunnel vengono chiusi, il traffico è paralizzato. Wall Street rinvia a tempo indeterminato l’apertura delle contrattazioni.
Il Presidente degli Stati Uniti si rifugia sull’Air Force One e ci rimane qualche ora: si scoprirà poi che l’aereo dirottato e, probabilmente abbattuto da F16 statunitensi vicino Pittsburgh, era diretto contro la Casa Bianca. Ma Bush, appena rientrato l’allarme delle prime ore, fa subito sapere al mondo la sua, e promette che l’America colpirà i diretti responsabili, ma anche chi protegge gli autori degli attacchi terroristici che hanno provocato migliaia di vittime nella East Coast americana. “Colpiremo i responsabili e i governi che li ospitano”, afferma scuro in volto, in un discorso alla nazione dallo Studio Ovale, 12 ore dopo l’inizio della tragica catena di attentati.
Ma cosa è avvenuto? I quattro aerei, tutti di linea (modelli Boeing 767 e 757), tutti impegnati in voli nazionali interni, vengono dirottati dopo il decollo da commando suicidi che hanno, tra i loro componenti, almeno un pilota per ogni gruppo. I kamikaze portano i loro carichi contro gli obiettivi suddetti. Come? I commando avrebbero ucciso quasi subito i piloti degli aerei alla cui guida sarebbero poi subentrati i kamikaze che si sono lanciati su punti strategici degli Stati Uniti, tra cui le due torri gemelle di Manhattan. In volo, sono stati anche disinseriti i trasponder degli aerei di linea per non permettere ai radar di rintracciarli. Questo è quanto emerge dalle prime ricostruzioni della dinamica del devastante attacco agli Stati Uniti. Si ritiene anche che l’attentato sarebbe stato pianificato da almeno un anno e posto in essere grazie anche ad infiltrazioni nei luoghi strategici della sicurezza americana. I terroristi, secondo le fonti investigative, hanno dimostrato una preparazione di altissimo livello, quasi impensabile anche ai fini dell’intelligence Usa, che lascia ipotizzare un coordinamento internazionale di tutte le sigle del terrorismo islamico.
Il primo dato concreto che emerge da questo inferno, giunge comunque da fonti di intelligence americane: vengono intercettate comunicazioni tra militanti dell’organizzazione di Osama Bin Laden, lo sceicco arabo dedito da molti anni all’attività terroristica in vasta scala, sugli attentati contro il Pentagono e le torri del Wtc. A comunicare la notizia è il senatore repubblicano Orrin Hatch. “Sono state intercettate telefonate dell’organizzazione in cui si indicava che un paio di bersagli erano stati colpiti”, affermerà Hatch, ricordando che le autorità Usa hanno elementi che collegano almeno uno dei passeggeri a bordo dei quattro aerei precipitati con il gruppo di Bin Laden.
Dunque, Osama Bin Laden sembra essere l’ispiratore dell’operazione. Un’operazione che deve aver potuto contare su almeno 50 uomini: 20 circa, impegnati nei dirottamenti suicidi, 30 almeno comandati al fiancheggiamento sino al momento del decollo. Ma a chi giova un disastro del genere? Non pochi osservatori evidenziano la similarità tra questo attacco e quello di Pearl Harbour, 60 anni addietro. Ma una differenza c’è. Ed è grande. Questa volta non si conosce l’identità degli assalitori.
Se da un lato è chiaro che gli Stati Uniti sono stati coinvolti in una nuova guerra, non è altrettanto chiaro come e contro chi questa guerra dovrebbe essere condotta.
Un problema di non poco conto visto che, adesso, gli Stati Uniti non possono dichiarare guerra all'intero fondamentalismo islamico senza rischiare di destabilizzare Paesi con i quali la potenza a stelle e strisce è in buoni rapporti. Ma c’è di più: così facendo gli Usa si esporranno ad ulteriori attacchi terroristici.
Al tempo stesso, comunque, si continua a sostenere che i maggiori sospetti pesano solo su Osama Bin Laden, lo sceicco ritenuto il principale finanziatore e organizzatore del terrorismo islamico internazionale e attualmente nascosto in Afghanistan. Ebbene, secondo George Friedman, presidente e fondatore di Stratfor, uno dei più prestigiosi centri studi statunitensi di geopolitica, due sono le possibilità: un’implicazione diretta di Bin Laden, e in questo caso i servizi di sicurezza Usa avrebbero clamorosamente fallito il loro compito, oppure che gli attacchi siano stati organizzati da un’altra organizzazione; e questo secondo caso non escluderebbe comunque un suo coinvolgimento indiretto.
Osama Bin Laden infatti – afferma Friedman – ha creato la sua organizzazione ispirandosi alla strategia con cui gli israeliani negli anni ‘70 colpirono i terroristi palestinesi: creazione di piccole cellule autonome, con proprie capacità organizzative e decisionali. Questo potrebbe significare che i responsabili della strage di Manhattan possono essere opera di un gruppo proveniente dall’organizzazione ma che ha agito in maniera del tutto autonoma.
In questo caso per gli Stati Uniti sarebbe tutto più difficile. La formula usata finora, un colpevole una punizione, non funzionerebbe. Nel caso di Pearl Harbour, il colpevole fu individuato nell’intera nazione giapponese. Ora dal punto di vista legale è impossibile assegnare una “responsabilità generale” dove non esiste una nazione o un organismo riconosciuto e questo è il caso del fondamentalismo islamico. Forzando la situazione però questa “responsabilità generale” potrebbe essere fatta ricadere sull’Afghanistan dei Talebani, che da rifugio a Osama Bin Laden, e che si sorregge del tutto sull’appoggio del Pakistan.
Cosa faranno, adesso, gli Stati Uniti? La loro risposta nel caso di precedenti atti di terrorismo è sempre stata quella di attacchi aerei o missilistici. Ma questa volta questo non sarebbe sufficiente. Una risposta efficace – sostiene a questo punto Friedman – sarebbe invece il lancio di una serie di operazioni di “annientamento” dirette contro Bin Laden ed i suoi alleati, raid simili a quelli messi in atto dagli israeliani dopo l’attentato alle Olimpiadi di Monaco ‘72. Una serie di operazioni che richiederebbero una combinazione unica di tecnologia e capacità di intelligence oltre che l’abbandono della legge non scritta che vieta agli agenti segreti l’assassinio di altri agenti segreti. Questa combinazione si otterrebbe solo da una più stretta collaborazione con Israele, maestro in questo tipo di operazioni. E, a proposito dei “maestri” del Mossad, la giornata di terrore negli Stati Uniti sarebbe stata resa possibile da una “grande falla” nel lavoro dei loro servizi segreti. Questo il giudizio di Eli Carmon, esperto israeliano di terrorismo. Carmon osserva che “molte decine, forse centinaia di terroristi” sono stati coinvolti nella serie di attacchi alle istituzioni americane. “Come è possibile che fra tutti questi terroristi, nemmeno uno sia finito fra le mani degli agenti segreti statunitensi?”, si chiede Carmon, ricordando come da tempo varie organizzazioni islamiche hanno chiesto la liberazione dello sceicco Omar Abdel Rahman, responsabile dell’attentato alle Torri Gemelle nel 1993. “A quell'epoca – sottolinea Carmon – gli integralisti islamici progettavano anche attacchi al palazzo delle Nazioni Unite e alla sede dell’Fbi. I piani di attacco erano già pronti da allora”. Giusto. Ma, se è vero questo, possibile che nemmeno il Mossad si sia reso conto di nulla?
Questo attacco agli Usa, insomma, può essere considerato un punto “zero” che farà la differenza nella storia della comunità mondiale. Ai primi arresti che si compiono, a 48 ore dalla strage, negli Stati Uniti, si sommano subito notizie, elementi, volti, che indicano la matrice islamica. La questione però stenta a poter essere sciolta individuando un solo capro espiatorio. È tutto più complesso e gli Usa, questo, lo capiscono subito. Il cartello di “forze indistinte” che adesso li circonda e li minaccia ne appanna la certezza di reazione. Un problema che riguarda gli Stati Uniti e, con essi, l’intero mondo cosiddetto “occidentale”. Per tutti, adesso, potrebbe essere guerra.



BOX-1

L’inutile “Scudo”

“L’illusione tecnologica compromette la sicurezza dell’Occidente” ha dichiarato Fabrizio Battistelli, direttore di Archivio Disarmo, “concentrare gli investimenti sullo Scudo spaziale significa rispondere alla minaccia più facile, non a quella più probabile e più pericolosa”.
Di ritorno dal Convegno americano di scienza politica conclusosi a San Francisco, Battistelli ha sottolineato che dopo l’apocalisse di Manhattan saltano i confini tra sicurezza interna e sicurezza esterna, tra obiettivi militari e obiettivi civili e che al centro dei problemi della sicurezza ritorna il fattore umano.
“I missili anti-missile servono soltanto alle industrie che li producono” - ha concluso Battistelli - “La globalizzazione terroristica si contrasta con la prevenzione e con l’intelligence”.



BOX-2

Chi sono gli integralisti

Poche ore dopo il disastro di New York, la firma di Osama Bin Laden viene posta “d’autorità”, e per interposta persona, in calce al più grande atto terroristico che la storia ricordi: almeno secondo le primissime reazioni. Autorità politiche, commentatori, giornalisti, tutti indicano subito nel miliardario saudita l’autore della gravissima distruzione di Manhattan.
Ma i movimenti integralisti islamici sono innumerevoli e in continua trasformazione. Ne indichiamo qui quattro: due palestinesi, uno libanese filo-iraniano e un quarto di dinastia Bin Laden.
1. Hamas. Movimento palestinese il cui nome significa “ardore, zelo”, fondato a Gaza in opposizione all'Olp il 14 dicembre 1987, quasi in contemporanea allo scoppio della prima Intifada. Suo fondatore e leader è lo sceicco Ahmed Yassin. Ha le sue roccaforti a Gaza e Cisgiordania e si appoggia ad una vasta rete di solidarietà sociale e opere di beneficenza. Ala militare di Hamas sono le brigate Ezzeddin al-Qassam.
2. Jihad Islamica. Fondata all'inizio degli anni ‘80 nella striscia di Gaza da Fathi Shkaki, ucciso a Malta nel 1995 da due killer in un attentato attribuito a Israele. Ha cercato di coniugare attività educativa e lotta armata. Pur essendo sunniti, come i seguaci di Hamas, i militanti della Jihad si ispirano alla rivoluzione islamica dello sciita Iran. Attuale leader è Ramadan Abdallah Shallah.
3. Hezbollah libanese. Fondato nel 1984 dai Pasdaran, i guardiani della rivoluzione iraniana. Non ha mai rivendicato attentati fuori dal Libano, ma ha lottato contro l'occupazione israeliana nel sud del Libano, fino al ritiro dell'esercito dello Stato ebraico nel maggio 2000. Movimento sciita, è ostile ai Taleban, che ospitano Osama Bin Laden in Afghanistan.
4. Al Qaeda. Organizzazione fondata da Bin Laden, il terrorista miliardario più ricercato dagli Usa per gli attentati anti-americani in Africa nel 1998 (224 morti e migliaia di feriti) e nello Yemen (17 militari americani morti) nell'ottobre 1998. L'estremista, che ha perso la cittadinanza saudita, ha minacciato più volte di colpire gli Stati Uniti.

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