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settembre/2001 - Interviste
Crimine
Anatomia dell’assassino
di Marco Cannavicci

Nelle indagini sui delitti, è di fondamentale importanza poter ricostruire i “dati preliminari” che spesso appaiono in modo evidente esaminando (senza contaminazioni) la scena dell’evento

Secondo le statistiche elaborate separatamente dalle varie Polizie occidentali emerge il dato concordante che la stagione in cui avvengono più omicidi è l’estate. Varie teorie sono state formulate dagli esperti per offrire delle plausibili spiegazioni a questo fenomeno: il caldo, la vasodilatazione delle arterie cerebrali che disinibisce e rende impulsivi, gli ambienti sociali più affollati, la maggior eccitazione legata ai vestiti corti e alla pelle del busto e delle gambe più scoperta e visibile; tuttavia nessuna di queste spiegazioni risulta essere convincente. E con il prevalente omicidio estivo, più frequente rispetto alle altre stagioni, nascono le interminabili storie giornalistiche sui delitti misteriosi, i programmi televisivi sui casi insoluti e che rimangono a lungo nella cronaca e nel ricordo dell’opinione pubblica.
In questi ultimi anni vari omicidi estivi sono stati seguiti a lungo dall’opinione pubblica, anche per la polemica evidenza che gli investigatori non sono approdati a nulla di certo. Un caso per tutti, l’omicidio di via Poma in Roma, nell’estate del 1990, dove ha trovato la morte la giovane Simonetta Cesaroni.
In genere l’investigazione sugli omicidi mette in difficoltà le Forze di polizia italiane al punto che alcuni criminologi affermano che in Italia l’omicidio paga, nel senso che sette volte su dieci l’autore non viene identificato dagli investigatori. Questo dato viene poi drammaticamente confermato annualmente, ad ogni apertura dell’anno giudiziario, confrontando il dato totale degli omicidi con quello in cui l’autore viene identificato (il Procuratore Generale della Cassazione all’ultima inaugurazione dell’anno giudiziario ha affermato che in Italia il 97% dei reati gravi rimane senza autore identificato).
Le Forze di polizia italiane si sono dimostrate particolarmente abili ed efficaci nell’identificare i vari serial killer, pochi in verità, che finora si sono presentati alla ribalta della cronaca (Chiatti, Bilancia, Stevanin, Bergamo, Profeta). Nella ripetizione seriale dell’omicidio l’autore commette comunque degli errori che conducono prima o poi gli investigatori alla sua identificazione. I problemi emergono quindi non con gli autori seriali, bensì con i casi isolati, cioè con gli assassini di un solo delitto.
Nella tabella 1 sono riportati alcuni dei delitti misteriosi ed insoluti che si sono verificati in Italia negli ultimi cinquanta anni e di cui la stampa si è occupata a lungo. Undici di questi delitti sono stati effettuati nel periodo aprile-ottobre, nel semestre caldo dell’anno. Da notare inoltre anche l’altra evidenza che su 16 delitti insoluti e misteriosi ben 12 si sono verificati a Roma.
Per venire incontro a questa difficoltà, in maniera del tutto teorica ed accademica, cerchiamo di mettere a punto una ipotesi di strategia investigativa su come si potrebbe affrontare l’indagine nell’omicidio isolato. In chi, cioè, colpisce una volta sola e poi scompare nel nulla, nell’anonimato della folta schiera dei killer solitari.
In questa ipotesi investigativa sull’assassinio abbiamo suddiviso la ricostruzione dell’omicidio e lo svolgimento dell’indagine in cinque fasi:
1. la raccolta dei dati preliminari;
2. la ricostruzione della fase concettuale del delitto;
3. la ricostruzione della fase esecutiva del delitto;
4. la ricostruzione della fase terminale del delitto;
5. la strategia investigativa.
La raccolta dei dati preliminari - Per ricostruire il delitto dalla sua progettazione fino all’uscita dell’autore dalla scena del crimine è fondamentale partire dai dati che possono essere raccolti effettuando il sopralluogo sulla scena del crimine. Scena che deve essere mantenuta congelata il più a lungo possibile ed asettica rispetto alle contaminazioni dei vari visitatori (poliziotti, tecnici, giornalisti). Dalla scena del crimine è necessario raccogliere tutte le evidenze biologiche appartenenti sia alla vittima che all’aggressore, identificandole anche con l’ausilio dei raggi ultravioletti e dei dispositivi simili utilizzati dalla Polizia scientifica. È necessario collegare poi queste informazioni con quelle raccolte delle eventuali testimonianze, nonché con i dati rilevabili dall’autopsia.
Dal riscontro dell’autopsia il medico legale potrà chiarire il tipo, la sequenza e la natura delle lesioni che sono state inferte alla vittima e quindi stabilire la causa e le modalità della morte. Il medico legale potrà stabilire il punto fondamentale se la morte sia stata un evento accidentale oppure se è stato un evento voluto, desiderato ed in che modo è stato realizzato.
In base a tutte le risultanze sul sopralluogo ed alle altre evidenze autoptiche è possibile quindi poter ricostruire l’interazione tra l’autore e la vittima, sulla scena del crimine, e quindi la dinamica dell’omicidio.
Una volta conosciuta la dinamica di ciò che verosimilmente sia accaduto sulla scena del crimine è possibile effettuare l’identificazione del possibile movente. Se identificare il movente non è possibile è importante quindi stabilire che l’omicidio risulta privo di un apparente movente ed innescare il percorso investigativo dell’omicidio su base psicopatologica, il più delle volte di pertinenza di un serial killer.

La ricostruzione della fase concettuale del delitto - Per l’investigatore saper ricostruire la fase concettuale significa ricostruire i passaggi con cui è stata concepita, ideata e progettata l’azione delittuosa dell’omicidio.
Tutto questo accade nella mente dell’autore, nella sua fantasia e nella sua immaginazione. Ogni delitto nasce nella mente del suo autore, sia nella parte razionale, in cui l’autore vede nell’omicidio un profitto materiale, sia nella parte psicopatologica, in cui il delitto è frutto della follia. È comunque nella sua fantasia che l’autore sceglie la vittima, il luogo, l’ora della giornata, il giorno in cui effettuare l’atto.
L’autore vede tutta la scena più e più volte nella sua mente, come in un film, ed associa a queste fantasie dei pensieri e delle emozioni. Vedendola più e più volte la vede perfetta, appagante, gratificante, desiderabile. Alla fine vede il delitto come un atto inevitabile, necessario, indifferibile. Saranno le gratificazioni di questi pensieri ed il piacere di queste emozioni ad obbligarlo a proseguire nella ideazione e nella progettazione del delitto fino alla sua realizzazione.
Avendo visto e rivisto la scena più volte nella sua mente, al momento del delitto l’autore non improvvisa, ma mette in atto una sequenza di atti già vissuti e questo lo fa apparire ancora più brutale, determinato, cattivo, insomma il mostro che poi comparirà sui giornali.
A questo punto della maturazione del progetto omicida l’autore sceglie l’arma del delitto e stima se è già presente sulla scena, se e come portarla con sé ed in che modo poterla camuffare per un eventuale controllo, ad esempio, nella propria auto. Effettua quindi una valutazione di tutti i rischi che deve correre e quindi inizia a pensare alle dovute precauzioni ed alle astuzie che deve escogitare per ridurre questi rischi al minimo, per non farsi identificare e catturare.
Pensa anche a come allestire gli opportuni interventi sull’ambiente per facilitarsi la via d’accesso e la via di fuga. La mancanza di queste precauzioni orienta gli investigatori verso un delitto di pura follia, effettuato il più delle volte sulla base di un delirio psicotico, meglio conosciuto dagli autori americani come delitto disorganizzato. Il riscontro di una accurata premeditazione e progettazione del delitto orienta gli investigatori verso una persona lucida, razionale, intelligente: un autore che gli esperti americani definiscono organizzato.
La fase concettuale in cui l’autore si limita a fantasticare sul delitto può durare giorni, oppure mesi o anche anni. Può rimanere a lungo latente nella immaginazione in attesa dell’occasione giusta, della persona giusta oppure della motivazione giusta in grado di far precipitare il precario equilibrio psicologico dell’autore: uno stress, una frustrazione, uno stato d’ira o di malinconia struggente.
Per breve tempo, o a lungo gestita, nella mente dell’autore prima o poi il delitto si farà strada con tutta la sua inevitabilità, improcrastinabilità ed urgenza.
I dati preliminari raccolti quindi dovrebbero fornire tutte le adeguate informazioni per poter stabilire l’evoluzione del progetto omicida nella mente dell’autore con attendibilità.
La ricostruzione della fase esecutiva del delitto - Dopo aver ricostruito la maturazione del progetto omicida nella mente dell’autore, in stato di lucidità o di follia, per l’investigatore si pone il problema di ricostruire le modalità della messa in atto e dell’esecuzione pratica dell’omicidio (cioè il modus operandi dell’azione delittuosa).
Poter stabilire il punto di ingresso dell’autore sulla scena del crimine e valutarne le difficoltà che questi ha incontrato, aiuta a poter dedurre le astuzie e le potenzialità operative dell’autore. È importante poter ricostruire lo stato della scena del delitto al momento in cui questo è stato commesso ed effettuare il sopralluogo nello stesso orario in cui ha agito l’assassino.
È importante poter valutare della scena del crimine la luminosità, la luce presente, i rumori di quel momento e la situazione ambientale legata al transito delle persone.
Dalla dinamica dell’interazione fra l’autore e la vittima si può ricostruire il modo di approccio alla vittima, le modalità di attacco e di controllo. Poter ricostruire il modo di controllo della vittima aiuta moltissimo nel definire non solo le potenzialità operative dell’autore, ma anche le sue esperienze con il delitto, con dei precedenti delitti, con la conoscenza delle leggi e del mondo giudiziario.
È importante valutare le resistenze potenziali della vittima e quindi il suo grado di passività e sottomissione, oppure di possibile collaborazione o di rabbiosa reazione di lotta e resistenza. Tutto ciò emergerà anche dalle analisi delle evidenze autoptiche sul tipo, la natura e la sequenza degli atti sulla vittima, sul tipo, la natura e la gravità delle lesioni presenti sul suo corpo. Definire la capacità offensiva e le precauzioni adottate aiuta a dedurre le conoscenze possedute dall’autore, la sua intelligenza, la possibile scolarità e l’eventuale uso di conoscenze professionali.
Il riscontro della presenza di atti di natura sessuale sul corpo della vittima, la loro natura e la loro sequenza, aiuta a determinare il tipo di parafilia o di psicopatologia di cui l’autore è affetto.
Dopo la ricostruzione della dinamica è possibile effettuare per l’investigatore il passaggio più delicato e difficile di tutta l’analisi dell’omicidio: la ricostruzione dei pensieri e delle emozioni provate dall’autore durante il delitto (cioè i suoi bisogni psicologici, la sua firma).
Significa cioè poter pensare quello che ha pensato l’assassino, poter provare le emozioni che lui ha provato in quei momenti.
È necessario entrare nella mente del killer e pensare come lui. Facile a dirsi, difficilissimo a farsi. È su questo passaggio che molti investigatori trovano blocchi psicologici ed emotivi che non permettono di cogliere quegli elementi sull’autore su cui poter basare una mirata investigazione. Un ulteriore passaggio delicato è poi rappresentato dalla ricostruzione dei pensieri e delle emozioni provate dalla vittima durante il delitto: è ciò che l’autore potrebbe aver voluto, cercato, desiderato dall’interazione con la vittima.
Anche questi corrispondono ai suoi bisogni psicologici, alla sua firma, ed è la firma, non il modus operandi, che permette di attribuire più delitti ad uno stesso autore.
Il modus operandi cambia, si evolve, peggiora nei tempi lunghi, può influenzare altri potenziali autori ad utilizzare le stesse modalità (tramite il report dei media). La firma no, è personale, costante nel tempo ed identificabile in ogni delitto come una specie di “impronta digitale” psicologica.

La ricostruzione della fase terminale del delitto - Dopo i passaggi della fase concettuale ed esecutiva, l’investigatore passa a ricostruire la fase terminale del delitto, cioè ricostruire le modalità con cui l’autore è uscito dalla scena del crimine e ha gestito il post-delitto.
Ad esempio, secondo gli investigatori inglesi l’autore tende a lasciare il corpo della vittima nello stesso luogo in cui questa viene uccisa quando non c’è conoscenza diretta fra i due, altrimenti, quando sussiste una conoscenza diretta la vittima viene lasciata in un posto diverso, nascosta, per poterne ritardare la scoperta il più a lungo possibile.
Gli eventi più interessanti di questa fase, ai fini delle strategie investigative, sono rappresentati dalle azioni effettuate sul cadavere nella fase post-mortem, la dislocazione del corpo della vittima ed il tipo di scena che volutamente è stata lasciata dall’autore alla vista di chi sopraggiunge sul luogo del delitto. Dai dati preliminari del sopralluogo e dell’autopsia è fondamentale evidenziare che cosa l’autore potrebbe aver portato via dalla scena ed ipotizzarne le motivazioni. Si ricorda che per scena del crimine si intende sia il corpo della vittima che tutti i luoghi in cui si è consumata la dinamica del delitto.
Il modo di uscita dell’autore dalla scena del crimine e gli interventi ambientali effettuati per facilitarsi questo compito depongono deduttivamente per le sue capacità di gestire il delitto, quindi il suo grado di esperienza con il crimine, la sua età e la sua cultura.
La strategia investigativa - Una volta ricostruite le varie fasi in cui è stato pensato, messo in atto e portato a termine il delitto si hanno sufficienti ed esaurienti elementi per poter dedurre un attendibile profilo psicologico sull’autore e sul suo stile di vita.
Il profilo psicologico non conduce immediatamente all’identificazione dell’autore bensì ad un gruppo ristretto di possibili autori intorno ai quali stringere il cerchio dei controlli e delle indagini. Tutte le informazioni raccolte e dedotte devono essere considerate la base su cui allestire la stesura del profilo di personalità da adattare alla lista delle persone sospette.
Un attendibile ed efficace profilo psicologico e di stile di vita del killer è possibile stilarlo, deduttivamente, a partire dal paradigma investigativo
Cosa + Perché = Chi
espresso più dettagliatamente dalle voci della tabella seguente:

Si parte dal cosa è successo, cioè il modus operandi, per dedurre in modo primario i bisogni psicologici che sono stati alla base di quel comportamento, cioè il perché - la firma dell’assassino - per poter dedurre in modo secondario le caratteristiche psicologiche e di personalità appartenenti all’autore, il chi.
Si arriva in questo modo a stabilire dell’aggressore il movente psicologico e le caratteristiche del profilo ad esso collegato. Dalla vittima si deduce il bisogno di colpire chi e perché, attraverso la ricerca di specifiche sensazioni e desideri provate dal killer al momento del delitto. Dalle lesioni si deduce che cosa ha voluto l’autore dal contatto con la vittima e quale è stato il bisogno psicologico che lo ha condotto a voler causare la morte della vittima ed in che modo.
Dall’insieme di queste informazioni possiamo ulteriormente dedurre l’età dell’autore, il suo livello scolastico e la possibile professione, il suo stato economico e sociale, la sua eventuale storia psichiatrica, giudiziaria e lo stato psicopatologico in cui ha commesso il delitto.
Tutto questo per ridurre i potenziali autori da praticamente tutti ad una ristretta cerchia di persone su cui gli investigatori concentreranno la loro attenzione.

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