Incontriamo Roberto Salvan, direttore generale dell’Unicef Italia, con cui vogliamo chiarire ed approfondire alcuni temi riguardanti l’infanzia nel mondo, per sfatare se possibile i luoghi comuni che spesso sono stati detti riportando fatti di cronaca recenti. Bambini schiavi-lavoratori: ecco un tema che ha riempito i giornali per pochi giorni e ha lasciato un grande vuoto di informazione corretta dopo il suo passaggio.
Vogliamo inquadrare come è nato l’Unicef prima di addentrarci nelle tematiche che affronta?
L’Unicef è nato in Europa nel 1946 subito dopo la 2 Guerra mondiale, come movimento per aiutare i bambini europei. Molti di questi erano rimasti senza famiglia, senza casa, abbandonati e in giro per le strade. In Italia l’Unicef è intervenuta dal ’47 al ’53 in questa direzione, fornendo vestiti, alimenti.
Doveva essere un fondo d’emergenza limitato. In realtà nel ’53 si presentò questa situazione: l’Italia e la Germania, che avevano ricevuto grossi aiuti anche dagli Stati Uniti, erano partite autonomamente e non avevano più bisogno di questo intervento. I paesi del sud del mondo, che avevano aderito alle Nazioni Unite, nate nel frattempo, fecero una richiesta del tipo: “adesso che avete aiutato i bambini europei, perché non aiutate i nostri?” Per cui è stato dato un mandato a tempo illimitato e l’Unicef ha provveduto con vaccinazioni e interventi sulla prima infanzia nei paesi del sud del mondo. È stata l’unica agenzia delle Nazioni Unite finanziata da aiuti volontari (poi ce ne sono state anche altre). Sono stati creati i comitati nazionali per sensibilizzare l’opinione pubblica dei paesi ricchi e i governi locali. Il ministero degli Esteri interviene con aiuti, più il comitato nazionale chiede finanziamento ai privati.
Come è evoluta la vostra politica di intervento in questi decenni?
Prima di tutto c’è una legge internazionale che ha modificato il tipo di azione che l’Unicef fa nel mondo: si è passati da una politica dei bisogni a una dei diritti. “Bisogni” sembra più concreto, in realtà la politica dei bisogni, che mira a risolvere il problema della vaccinazione in un determinato paese, risponde ad una sorta di necessità, mentre occuparsi di diritti significa affrontare un discorso più ampio in cui si guarda il bambino nella sua complessità.
Il passaggio storico è il 1989, perché prima di allora si guardavano le cose in modo settoriale: prima infanzia, istruzione, ecc, e non si vedevano i problemi in modo complessivo.
Si è passati da una politica dei bisogni che è verticale, ad una dei diritti che è più ampia. Se il bambino è vaccinato ma poi è picchiato a casa, o malnutrito non è una politica dei diritti. L’interlocutore nei paesi è sempre il governo, ma si forma una sorta di collaborazione tra governo-Unicef-Organizzazioni non governative, perché si possano creare dei meccanismi di sviluppo autonomi.
Il 20 novembre 1989 è fondamentale perché viene approvata la Convenzione internazionale diritti dell’infanzia. È la convenzione più ratificata al mondo: 191 paesi vi hanno aderito; ciò non vuol dire che in questi paesi sono rispettati i diritti, ma è comunque un impegno formale a portare avanti attraverso le leggi nazionale la convenzione. Solo 2 paesi sono fuori: la Somalia e gli Stati Uniti (dove in alcuni Stati c’è ancora la pena di morte). Essendo questo uno stato federale, non è stato possibile trovare l’accordo; l’ex presidente Clinton ci ha provato, ma non c’è riuscito per l’opposizione forte del Senato. Dal 1989 attraverso la Convenzione, tutti i programmi Unicef vengono modificati o iniziano a modificare il loro modo di affrontare il problema: guardare i diritti , stabilire un piano d’azione nazionale con ogni singolo governo nelle diverse aree che riguardano l’infanzia e vedere per prima cosa i diritti. Sì ai i vaccini, ai vestiti, ma affrontare anche un discorso più ampio di sostegno alla famiglia, portare avanti una politica di partecipazione degli adolescenti alle cose che li riguardano. La politica cambia completamente ed è cambiato anche il modo di lavorare dei comitati nazionali: noi non ci siamo più rivolti alle aziende, alle famiglie con messaggi del tipo :“dateci aiuto perché dobbiamo vaccinare i bambini poveri”, ma facciamo un discorso più ampio e globale che lega anche i bambini e le bambine del sud del mondo a quelli del nord.
Adesso ci legheremo anche ad iniziative con la Polizia di Stato. (vedi riquadro)
Vogliamo fare chiarezza sulle cifre che i giornali hanno fatto tempo addietro riferendosi ai bambini schiavi?
Innanzi tutto bisogna tener presente che non esiste un Istat internazionale, sono soltanto stime quelle che possiamo fare. Le più attendibili sono quelle dell’Ilo. Si parla di 250 milioni di bambini al di sotto dei 14 anni che sono costretti a lavorare, ma il tipo di lavoro che fanno è molto diverso. 80/100 milioni fanno un lavoro rischioso, pericoloso per la loro crescita, perché sono chiusi nelle piantagioni o costretti a combattere o costretti a vendersi nelle grandi città per scopi sessuali. Ci sono quelli che sono impiegati nelle miniere di carbone, a contatto con sostanze pericolose, oppure legati ai telai. Sono quei bambini la cui famiglia si indebita, e non riesce a pagare e decide di far lavorare il bambino. Il suo lavoro non rende abbastanza, poi le sue mani crescono e non vanno più bene per il telaio, o lui non entra più nel cunicolo della miniera, così il debito resta e anche lo sfruttamento. Ci sono un’infinità di situazioni del genere. Sono state fatte grandi campagne internazionali, che hanno attivato una grande sensibilità anche tra i governi del sud del mondo, come Pakistan, Bangla Desh. Poi ci sono situazioni dove è impossibile entrare, come in Birmania, che è uno dei paesi più a rischio, dove c’è un regime scarsamente democratico. Sulla schiavitù e la vendita dei bambini per debito è stato fatto un calcolo da Mani Tese e si parla di circa 1.500 tipi di lavoro diverso che i bambini fanno nel sud del mondo.
I bambini che vanno a pascolare le pecore sono calcolati sui 250 milioni, e sono costretti a lavorare perché la famiglia è povera. Queste situazioni sono diffuse in tutto il mondo, anche da noi: ci sono bambini, adolescenti che la mattina vanno a scuola e il pomeriggio aiutano la famiglia. In Italia c’è una povertà culturale e una povertà oggettiva. Quella culturale la riscontri in aree ricche, per esempio il nord- est, dove è più importante avere il denaro in mano che l’istruzione. In un’intervista recente l’ex ministro Tullio De Mauro ha detto che c’è una forte dose di analfabetismo riscontrata attraverso un’indagine tra i ragazzi che devono fare il servizio militare.
Schiavi o lavoratori, quando crescono, questi bambini che fanno?
Dipende dalle situazioni. C’è un rapporto di mortalità molto alta in quelli a rischio. O vanno nelle grandi città, o rimangono con la famiglia, ma sempre vivendo in grande povertà. Una falsa informazione occorre sfatare. Il lavoro dei bambini, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, è rivolto all’economia interna, perché si calcola che oltre l’80% della ricchezza che procurano, rimane interna al paese: mi riferisco a quelli che fabbricano le sigarette, i mattoni, ecc. È tutto rivolto alla economia locale. Quelli che cuciono i palloni da calcio o le scarpe, che lavorano per l’esportazione, corrispondono al 10%.
Vogliamo affrontare il fenomeno della pedofilia e della pornografia, che coinvolgono sempre più gli adolescenti?
Su tutti questi fenomeni le grandi organizzazioni criminali mondiali hanno messo gli occhi. Secondo un calcolo fatto recentemente da alcuni ricercatori, rende di più in termini economici il traffico di esseri umani e lo sfruttamento sessuale di bambini, adolescenti ecc piuttosto che la produzione e il traffico di droga. Investire su queste comporta infatti che alla fine di tutto il processo c’è la vendita della dose, ma una volta consumata questa, il guadagno finisce. Invece mettere in commercio il traffico di esseri umani, produce reddito in continuazione.
Riguardo al traffico di organi?
Questo è un argomento veramente crudele. È molto difficile fare stime. Esiste, questo è certo. Si calcola che al mondo ci siano dai 40 ai 50 milioni di minori che vivono ormai da soli nelle strade: in Africa, America latina, scacciati o allontanatisi per sopravvivere alla giornata.
Se ne stanno occupando le Nazioni Unite, l’Unicef e tutte le agenzie ed organizzazioni umanitarie del mondo: cercare di dare ad ogni bambino un nome e un riconoscimento. Purtroppo l’anagrafe in molti paesi del sud del mondo non esiste; si stima che nascano circa 180 milioni di bambini ogni anno e ci sono circa 30 milioni che non vengono denunciati. 30 milioni senza nome possono essere vittima di tutto: adozioni irregolari, istituti fantasma. Ormai il traffico umano, non solo di bambini ma di forza lavoro, che arriva dallo Sri Lanka o dalle Filippine e viene impiegato a bassissimo costo dai trafficanti, è diffusissimo. Molto spesso il traffico degli esseri umani non è solo sud-nord ma anche sud-sud: dalla Thailandia a Laos ecc. Vanno a lavorare nei bordelli delle città, nelle industrie artigianali a bassissimo costo. Vivono ghettizzati in alcune aree. Su questo sollecitiamo molto i governi nazionali perché intervengano. Purtroppo molte aziende di paesi del sud del mondo vendono i loro prodotti alle multinazionali o ad altre aziende. Sono fenomeni che non si controllano più. Magari nella azienda ufficiale c’è il rispetto di certi diritti sul lavoro, ma nella catena che si è creata non sai come avviene il processo iniziale, come vengono prodotte le materie prime. Insomma non puoi controllare questo processo. La riduzione dei costi di un prodotto a bassissimo costo vuol dire che ha alla base uno sfruttamento di esseri umani. Non pensiamo solo alle magliette o ai palloni, ci sono tanti altri prodotti: oggetti in plastica, giocattoli, cose che si vendono nei nostri negozi con l’etichetta “made in...”.
Si stanno prendendo provvedimenti per i nuovi fenomeni?
Recentemente è stato aggiunto alla Convenzione dei diritti dell’infanzia del’89, il protocollo proprio sul traffico di esseri umani che è stato approvato da tanti governi perché ci si è resi conto che la mercificazione di bambini, a parte problemi di salute come l’Aids, va stroncata. Forse ci si è svegliati un po’ tardi però probabilmente nei prossimi anni qualcosa si vedrà.
I mezzi per intervenire ci sono, serve una volontà politica forte . Mi riferisco a questa iniziativa: il 19, 20, 21 settembre prossimo ci sarà a New York la Sessione speciale delle Nazioni Unite, a distanza di 10 anni dal 1° vertice mondiale, dedicato all’infanzia: quello che si vuole fare è premere sui governi nazionali attraverso questa iniziativa affinché gli impegni che sono stati presi nel ’90 vengano completati. Tutti i governi nazionali hanno fatto una relazione all’Onu che poi sarà parte di un rapporto che Kofi Annan presenterà in quell’occasione. I capi degli Stati presenteranno un nuovo impegno che riguarda i diritti dei bambini che si chiama: “Yes for children” e che cerca di intervenire su 10 aree e su cui i governi si devono impegnare.
Il rischio è però che si voglia trasformare questo evento in un momento formale senza impegni precisi perché in questi ultimi anni l’aiuto allo sviluppo, invece di aumentare è diminuito. O si mettono a disposizione risorse economiche, o non serve a niente.
(a cura di Silvia Ragni)
BOX-1
Le cifre del problema
Oltre il 20% dei bambini in età scolare nei paesi in via di sviluppo, non frequenta la scuola.
Un terzo di tutte le nascite non è registrato: questi bambini probabilmente si vedranno negato l’accesso ai servizi di base e all’istruzione e non riceveranno assistenza sanitaria.
La malnutrizione nelle gestanti è uno dei principali fattori di ritardo nella crescita per 177 milioni di bambini
Circa la metà dei 40 milioni di sfollati a causa di guerre e violazioni dei diritti umani, è costituita da bambini
Oltre 10 milioni di bambini sotto i 15 anni hanno perso la madre o entrambi i genitori a causa dell'Aids
(fonte: La condizione dell’infanzia nel mondo 2001, Unicef)
BOX-2
Dalla Convenzione sui Diritti dell’infanzia 1989
Articolo 6
Gli Stati parti riconoscono che ogni bambino ha un imprescindibile diritto alla vita.
Gli Stati parti si impegnano a garantire in tutta la misura del possibile la sopravvivenza e lo sviluppo del bambino.
Articolo 18
Al fine di garantire e di promuovere i diritti enunciati nella presente Convenzione, gli Stati parti accordano gli aiuti appropriati ai genitori e ai tutori legali nell’esercizio della responsabilità che incombe loro di allevare il bambino e provvedono alla creazione di istituzioni, istituti e servizi incaricati di vigilare il benessere del bambino.
(fonte: La condizione dell’infanzia nel mondo 2001, Unicef)
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