L’Assemblea generale delle Nazioni Unite si riunisce a New York per fare un bilancio di 10 anni di interventi a favore dell’infanzia
“Miei cari bambini: vedo la luce nei vostri occhi, l’energia nei vostri corpi e la speranza nei vostri cuori. So che sarete voi, non io, a costruire il futuro. Sarete voi, non io, a rimediare ai nostri errori e a portare avanti ciò che è giusto nel mondo.”
Con queste parole Nelson Mandela, ex Presidente del Sudafrica si rivolge ai bambini, cui è dedicata la Sessione Speciale sull’infanzia dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che si terrà a New York il 19, 20, 21 settembre 2001.
Il titolo dell’Assemblea è “La condizione dell’infanzia nel mondo” che a distanza di dieci anni farà un bilancio sull’evoluzione della vita dei bambini nel nostro continente dopo l’approvazione della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia del 1989 e il Vertice sull’Infanzia del 1990. Ma quali bambini e di quali paesi? Abbiamo già trattato in questa sede la condizione dei minori sfruttati per lavorare nei paesi del nord e del sud del mondo. Impossibile generalizzare: si può star male a Parigi come in Senegal, ma il contesto offre condizioni così diverse che la nostra immaginazione di europei “civilizzati” va aiutata con cifre e documentazione.
Prendiamo i bambini dagli 0 ai 3 anni. Dalla Coordinators’ Notebook: An international resource for early childhood development (1997), riportato dall’Unicef, si legge che diritto significa: protezione dai pericoli fisici, nutrizione adeguata e cure mediche, vaccinazioni, legame affettivo con un adulto ed altri aspetti che derivano da questi basilari.
Se tutto questo è qualcosa di raggiunto nella media nelle nostre società, (salve le dovute eccezioni, naturalmente) difficile è realizzarlo nella maggior parte dei paesi poveri. Cifre? Un miliardo e 100 milioni di persone nel mondo non dispone di acqua potabile: Febronia, tanzanese di 35 anni ha avuto 7 figli, di questi ne sopravvivono 4 dai 10 anni ai nove mesi di età. Si alza alle sei e fa tre chilometri al giorno per andare a prendere l’acqua al ruscello. Lascia i bambini soli per farlo (parlavamo della protezione dai pericoli?), poi fa bollire l’acqua raccolta per prevenire ogni sorta di malattie e inizia una faticosissima giornata fatta di cure agricole e domestiche (nella capanna di legno e fango con il tetto di latta), di accudimento dei figli (chissà se ha tempo per giocarci?); in attesa del rientro del marito dalle piantagioni, scrutandolo nel volto e sperando che non abbia bevuto troppo altrimenti diventa violento. Lei come altre due miliardi e 300 milioni di persone nel mondo non dispone di servizi igienici. Suo figlio gioca fuori della capanna, in mezzo ai liquami che scorrono a cielo aperto, ha completato i cicli di vaccinazione contro le sei malattie mortali infantili, ma certamente deve contare su propri anticorpi per mantenersi sano.
Chissà se questa famiglia di un villaggio di 2.448 abitanti, dove da poco hanno aperto dieci bar autorizzati a vendere alcool, preferirebbe l’acqua con poche o molte bollicine?
Spostiamoci ai diritti dei più grandi: si legge sul documento citato che, per bambini in età prescolare, si dovrebbe migliorare il linguaggio attraverso il dialogo, la lettura, il canto, fornire attività che favoriscono il senso di sicurezza e sostenere l’autostima. Bellissime parole, riempiono le programmazioni di scuole materne ed elementari di tutto il mondo, ma chissà come si fa a realizzarli là dove ci sarebbe veramente il bisogno di farlo? Ogni giorno si combattono 20 conflitti armati, principalmente nei paesi più poveri. Solo negli ultimi dieci anni, 2 milioni di bambini sono stati massacrati, 6 milioni hanno subito ferite gravi o sono stati resi invalidi permanentemente e 12 milioni sono rimasti senza tetto. Si calcola che l’89-90% delle persone ferite o uccise nel corso di conflitti siano civili, per lo più donne e bambini. Ah già, parlavamo di sicurezza, autostima, possibilità espressive, ma le cifre ci sono scappate di mano. Ci sono programmi di Ong (Organizzazioni non governative), di agenzie umanitarie che svolgono egregi lavori di educazione e rieducazione per madri e padri con i loro bambini, svolgono programmi di alfabetizzazione, creano centri di riferimento dove fare visite, vaccinazioni, curare e sostenere le persone dei villaggi. Ma, quando il rumore delle bombe si sostituisce al canto della ninnananna, madri con i bambini sulle spalle sono costrette a fuggire dai villaggi presi d’assalto, in che modo si può dare autostima e sicurezza?
Per salvare la vita fisica e psichica dei bambini, l’Unicef e altre organizzazioni partner hanno tentato di creare “zone di pace” e cosiddetti “spazi a misura di bambino” in molte situazioni difficili. Nello Sri Lanka, in Sudan e in altri paesi sono riusciti a negoziare con le parti in lotta dei “cessate il fuoco” per portare ai bambini cibo, medicine e vaccini. Nonostante il conflitto, le fazioni in lotta permisero di portare a termine la campagna di vaccinazione prevista. Purtroppo questi “corridoi di pace” non riescono sempre. Lo scorso anno la Sierra Leone ha annullato due delle quattro Giornate Nazionali di Vaccinazione già programmare a causa della ripresa delle ostilità. Si è visto come creare un contesto di pseudonormalità in una situazione così anomala, fornendo cibo, possibilità di frequentare una specie di scuola, poter giocare. In definitiva essere accuditi e trattati da bambini in quanto tali è la cosa migliore e l’unica che si possa fare non certo per garantire ma almeno per cercare di difendere il minimo di qualità di vita per i più piccoli.
Continuando sul piano dei diritti, per i bambini in età scolare leggiamo tra le altre cose: aiuto nell’acquisizione di ulteriori capacità motorie, espressive e di elaborazione (oltre le precedenti), opportunità di ampliare le proprie capacità, nuove possibilità di sviluppare l’autonomia. Certo, autonomi ci devono diventare per forza quegli orfani africani a causa dell’Aids che ha colpito i loro genitori. Oggi 34,3 milioni di persone in tutto il mondo convivono con l’Aids, di queste 1,3 milioni sono sotto i 15 anni. Nella maggioranza dei casi, questi bambini nascono da madri sieropositive, contraggono il virus nel grembo o al momento del parto. Sono destinati a vita breve, visto che pochissimi raggiungeranno l’adolescenza. Il continente più colpito è l’Africa, specialmente nella fascia subsahariana. L’Aids colpisce come un flagello, riscrivendo la storia di interi villaggi. Felicia è una donna anziana di un villaggio della Tanzania, vicino al mitico Monte Kilimangiaro. Racconta che nel suo villaggio, dove vivono solo 300 famiglie, lei conosceva 15 persone morte di Aids solo quest’anno. Vicino a casa sua, in una famiglia, sono morti entrambi i genitori e i 4 bambini sono rimasti soli.
Quali sono gli ostacoli all’assistenza alla prima infanzia? In primis la povertà: in un periodo di prosperità globale, la Banca Mondiale ha calcolato che nel 1998, 1 miliardo e 200 milioni di persone, di cui mezzo miliardo rappresentato da bambini, vivevano in miseria con meno di un dollaro al giorno. Nei paesi più poveri, i fondi che dovrebbero essere destinati all’istruzione, all’assistenza sanitaria, e al miglioramento delle infrastrutture vengono assorbiti dal servizio del debito. I paesi in via di sviluppo devono infatti oltre 2.000 miliardi di dollari alla Banca mondiale, al Fondo Monetario internazionale (Fmi); e ad altri creditori. Prestiti destinati a risollevare i paesi dalla miseria - nell’arco di una generazione, se le risorse fossero investite in programmi di assistenza -, li invece li stanno inghiottendo sempre di più nella spirale del debito.(fonte: Unicef)
Sono stati ideati tantissimi programmi – racchiusi dalla sigla Api: Assistenza alla prima infanzia - rivolti ai bambini da 0 ad 8 anni di età, ai loro genitori e a coloro che se ne prendono cura. Operativamente comprendono servizi di base comunitari che vanno incontro ai bisogni dei neonati e dei bambini nei primissimi anni di vita, curano l’aspetto della nutrizione (si dice che una bambina malnutrita sarà una madre malnutrita, che trasferirà il problema alle generazioni future) centrando interventi sull’istruzione e l’alfabetizzazione. Si è visto che laddove i progetti svolti hanno consentito di fornire delle strutture nei villaggi dove i genitori potessero avere assistenza sulla cura fisica e psichica dei bambini, questi hanno avuto una migliore crescita, hanno contratto meno malattie, erano più comunicativi e con un miglior sviluppo cognitivo rispetto a quei bambini non raggiunti dai progetti. Un obiettivo importantissimo su cui conta la strategia dell’Api è l’alfabetizzazione, in particolar modo quella delle donne. La condizione femminile è infatti indissolubilmente legata a quella dell’infanzia; agire perciò sul livello culturale delle madri consente di intervenire sulla qualità di vita dei bambini, adulti di domani. Informare è anche prevenire: centri di assistenza alle gestanti forniscono informazioni sulla gravidanza, la contraccezione, l’allattamento al seno e cercano, laddove è possibile, di sensibilizzare sull’importanza della comunicazione, il dialogo e l’affettività nei primi anni di vita. La scarsa assistenza prenatale e la malnutrizione delle madri hanno gravi conseguenze sui figli: sottopeso alla nascita, danni cerebrali, problemi di vista, udito e ritardo nello sviluppo psicomotorio. L’altra grande sfida dei progetti umanitari è ridurre la mortalità delle donne per parto. Una donna di un paese in via di sviluppo rischia 40 volte di più di una donna dei paesi industrializzati di morire per complicazioni insorte con la gravidanza.
Alla fine di questa breve e certamente non esaustiva riflessione sull’altra faccia dell’infanzia, che non siamo abituati a vedere nel quotidiano, ci tornano in mente le parole di Nelson Mandela con cui abbiamo aperto questo discorso. Nessuno può essere più ricco di luce negli occhi ed energia nel corpo dei bambini, ma certamente “i miracoli, come si dice con una frase un po’ irrispettosa ma che rende molto bene ciò che vuol dire, non hanno imparato a farli.”
BOX-1
Protocollo d’intesa per i fanciulli
È stato sottoscritto un protocollo d’intesa tra il Comitato italiano per l’ Unicef e il Dipartimento della Pubblica sicurezza, nel quale le due parti si impegnano a collaborare per il rispetto dei diritti dell’infanzia.
Tra i vari impegni segnaliamo:
Da parte del Comitato italiano per l’Unicef:
- a rendere partecipe il Dipartimento della Pubblica sicurezza delle iniziative che possono risultare idonee a diffondere una corretta informazione sull’operato della Polizia di Stato a tutela dei minori vittime di reato;
- a favorire e sostenere la divulgazione di messaggi e materiale informativo sulle iniziative a tutela dell’infanzia e dell’adolescenza, previste dal Progetto per l’introduzione della Polizia di prossimità nel sistema della pubblica sicurezza nel nostro paese;
- individuare, d’intesa con il Dipartimento, partner e sponsor disposti a sostenere e condividere le iniziative congiuntamente progettate.
Da parte del Dipartimento della pubblica sicurezza:
- a diffondere l’opuscolo relativo alla Convenzione Onu sui Diritti dell’Infanzia nell’ambito del Progetto “Educazione alla legalità”. In tale contesto, Presidente della Commissione incaricata di individuare, fra tutti i disegni svolti dai bambini, quelli più significativi da inserire nel prossimo calendario 2002 della polizia di Stato, sarà il Presidente del comitato italiano per l’Unicef.
- ad apporre il logo dell’Unicef sull’opuscolo a fumetti “Il Poliziotto, un amico in più”, attraverso il quale vengono forniti ai bambini consigli sul comportamento da tenere nelle situazioni a rischio.
- a garantire la collaborazione di propri esperti nella realizzazione di iniziative, promosse dal comitato, che richiedono una specifica competenza tecnica.
BOX-2
Perchè muoiono
Tra le prime cinque cause di decesso infantile
Causa di mortalità sotto i cinque anni:
percentuale 1998
20%: cure perinatali insufficienti
18%:infezioni respiratorie
17% malattie intestinali
15% malattie evitabili con vaccinazioni
7% malaria
23%altro
(fonte: La condizione dell’infanzia nel mondo 2001, Unicef)
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