Il traffico illegale di sigarette è controllato, in tutto il mondo, da organizzazioni di criminalità organizzata, ma dalla produzione allo stoccaggio, dalla distribuzione alla gestione dei capitali, i legami e le connivenze assumono aspetti di vario tipo
Si potrebbe cominciare con un appello: Se proprio non riuscite, o non volete, rinunciare al fumo, non acquistate sigarette di contrabbando. Facendolo risparmierete qualche lira (ma i vizi, se non sono cari, che vizi sono?), però concorrerete ad alimentare una delle attività più diffuse e proficue della criminalità organizzata, con ricadute in settori che apparentemente con il tabacco non hanno alcun tipo di legame. Naturalmente un appello così concepito non avrebbe alcun effetto, anzi sarebbe accolto con derisione da tutti coloro che ritengono giusto e doveroso “fregare lo Stato”, dimenticando che lo Stato siamo noi a farlo (e magari è proprio per questo che spesso non ci piace). Comunque, senza allargare il discorso alla famosa “questione morale” (e chi se ne ricorda?), il fatto resta.
Un quadro ben delineato della situazione in questo settore delle Cose Nostre di tutto il mondo lo fornisce la Relazione sul fenomeno criminale del contrabbando di tabacchi lavorati esteri in Italia e in Europa, presentata dalla Commissione parlamentare antimafia della passata legislatura il 7 marzo 2001. Con un incipit degno di una lapide: “Il contesto internazionale di globalizzazione dei mercati economico-finanziari e di progressiva liberalizzazione dei flussi internazionali di capitale, se da un lato offre notevoli opportunità ai mercati legali, favorendone l’organizzazione e una più facile integrazione, dall’altro consente il più agevole sviluppo di interessi transnazionali da parte della criminalità organizzata”. Aggiungendo che agli stessi “mercati legali” accade di essere coinvolti in interessi di stampo mafioso, sul filo dell’adagio pecunia non olet.
Per quanto riguarda il contrabbando di “tabacchi lavorati esteri”(t.l.e.), i dati provenienti dagli organismi internazionali del settore indicano che negli ultimi anni è in fase di espansione, e di trasformazione dei modelli tradizionali. Di fronte a 1.000 miliardi di sigarette esportate dalle nazioni produttrici di tutto il mondo, 280 miliardi sono commercializzati dal circuito illegale: nel 1990 erano 100 miliardi. “Un’attività criminale di rilevante pericolosità”, sottolinea il documento, a livello sociale, per la turbativa all’ordine e alla sicurezza, economico, con la distorsione dei mercati e delle economie legali, finanziario, attraverso il riciclaggio dei proventi, fiscale, per la violazione delle imposte. “Finanzia altre attività delle organizzazioni malavitose, sia lecite sia illecite, queste ultime riconducibili frequentemente al traffico di sostanze stupefacenti o all’usura”.
Mettendo da parte l’usura, che del resto può assumere aspetti diversificati e di varia entità, va detto che, a differenza del traffico di droga, il contrabbando di tabacco si rifornisce usualmente al mercato legale, vale a dire che ha come fornitori quelle multinazionali che dominano la coltivazione, la produzione e la distribuzione, dalla foglia alla sigaretta. Il Tobacco Transnational Conglomerates riunisce otto società – tra le quali Philip Morris, British American Tobacco, RJ Reynolds, Rothmans – che hanno stabilimenti di produzione e reti di distribuzione diffuse in tutto il mondo – e ‘grazie ad investimenti nei settori bancari, assicurativi e dei trasporti, godono di vaste economie di scala, caratterizzando così in modo oligopolistico l’intero mercato”. Caratterizzano anche il contrabbando?
Certo, sarebbe da ingenui immaginare che i megagalattici signori del tabacco abbiano rapporti diretti con le organizzazioni mafiose che dal fumo ricavano sostanziosi benefici. Le cose vanno diversamente. Il sistema internazionale del contrabbando, come ogni attività economico-finanziaria che si rispetti, ha dei “livelli” organizzativi. Tre, per l’esattezza, individuati in particolare dalle inchieste giudiziarie coordinate dalla Direzione Nazionale Antimafia e condotte dalle Procure di Bari, Lecce e Napoli, e da documenti raccolti dalla Commissione parlamentare.
Il primo livello riguarda la produzione e l’esportazione, cioè la fase di contatto tra società di intermediazione, che rappresentano le organizzazioni mafiose, e le società produttrici, le quali formalmente ignorano chi sono i loro veri clienti. Ricordiamo che il 3 novembre 2000 l’Unione Europea ha denunciato alla Corte distrettuale degli Stati Uniti, distretto orientale di New York, le multinazionali Philip Morris e Reynolds Nabisco, accusandole di essersi impegnate in attività di contrabbando, nascondendo tale comportamento con atti illegali, compreso il riciclaggio di denaro, in violazione delle leggi americane e degli accordi tra Usa e Ue.
Il secondo livello è relativo allo stoccaggio della merce, effettuato in zone franche, non sottoposte a vincoli doganali o legislativi; a volte interviene la collusione di apparati governativi o di Polizia, come nel caso dei traffici dal Montenegro e dalla Grecia verso l’Italia.
Il terzo livello gestisce il trasporto dalle zone franche nelle località di destinazione finale, per la vendita al dettaglio da parte delle organizzazioni criminali: in Italia, camorra napoletana, clan pugliesi e “famiglie” siciliane.
In ogni livello operano gruppi specifici, con una separazione dei ruoli che funziona dal basso in alto, rendendo impermeabili alla repressione i “piani nobili” della criminalità finanziaria. “L’acquisto di partite di tabacchi lavorati implica un elevato grado di conoscenza dei meccanismi – giuridici, economici, tecnici e commerciali – di funzionamento dei mercati internazionali: è infatti necessario programmare e coordinare il coinvolgimento di società di spedizione, di banche estere, di società finanziarie, nonché di una vasta e complessa rete di società d’intermediazione, in grado di curare gli aspetti commerciali delle stesse transazioni. In tale contesto, l’internazionalizzazione del contrabbando e la diversificazione delle direttrici di movimentazione dei t.l.e., che hanno caratterizzato le più recenti linee evolutive del fenomeno, si sono di pari passo intrecciate con l’accresciuto ruolo delle citate società di intermediazione. Mentre in passato era il singolo individuo, ovvero un piccolo gruppo di trafficanti, che spesso curava, in prima persona, gli ordinativi, il trasporto, la riscossione, oggi per ogni fase di negoziazione, spedizione e trasferimento fisico dei carichi di t.l.e., operano a vario titolo diversificate strutture societarie, ciascuna responsabile per la sua parte. La particolarità del fenomeno, che non ha riscontro in nessun altro tipo d’illecito, evidenzia una sconcertante proliferazione di società del genere in ogni angolo del mondo. Da un’analisi condotta su base geografica, si può cogliere un’inevitabile preferenza verso i Paesi nei quali la legislazione sul contrabbando è più permissiva, ovvero in quelli tradizionalmente conosciuti come “paradisi fiscali”. In particolare sono indicati la Svizzera, il Liechtenstein, Cipro, le Isole Vergini Britanniche, Panama, il Belize, le Bahamas.
“È possibile individuare nel genus delle società d’intermediazione una possibile tripartizione in società fittizie, società di comodo e società di casella, in base alle specifiche utilità delle organizzazioni contrabbandiere di riferimento:
- le società fittizie, di fatto inesistenti, mascherano, attraverso l’attribuzione di un nome di fantasia, il presunto destinatario di una partita di merce apparentemente legale (il cosiddetto “carico di copertura”);
- le società di comodo, tendenzialmente prive di una compagine sociale, consentono tuttavia di disporre di una “legale” qualificazione soggettiva e di un recapito, di norme corrispondente agli uffici di un professionista estero;
- le società di casella, ovvero di “facciata”, servono a disporre di un recapito: è sufficiente una casella postale e non è quindi necessaria alcuna struttura organizzativo-imprenditoriale (ad esempio, le cosiddette “targhe di ottone”, per lo più diffuse a Gibilterra).
La differente tipologia di società non incide, peraltro, sulla effettiva natura dei singoli “oggetti sociali” e sugli scopi in concreto perseguiti attraverso la loro apparente o reale costituzione. Tutte, indifferentemente, hanno la funzione di sovrapporre una “maschera protettiva” alle quotidiane operazioni di intermediazione commerciale che sono alla base dei grandi traffici internazionali di t.l.e. Allo stesso modo, tutte, dopo un breve volgere di tempo, modificano la propria originaria struttura, cambiano denominazione, trasferiscono i loro recapiti in altre sedi e, talvolta, anche in altre parti del mondo … La fiorente disseminazione di dette società non deve trarre in inganno. In realtà, dietro le più disparate denominazioni sociali, emergono in modo pressoché sistematico sempre gli stessi personaggi, tutti appartenenti alla ristretta schiera di elementi che costituiscono il vertice direttivo dei grandi traffici internazionali di tabacchi lavorati”.
Tra i “capi storici” del contrabbando internazionale, la Relazione cita tre cittadini svizzeri – Tarik Giuseppe Corrado Bianchi, Martin Denz, Ernesto Guglielmo Chiavi – che dalle loro basi operative e logistiche nella Confederazione Elvetica agirebbero senza mai apparire in prima persona, attraverso società intestate a prestanome e fiduciari. A questi si affianca una quaterna di italiani – Francesco Prudentino, arrestato nel dicembre scorso in Grecia, Gerardo Cuomo, Augusto Arcellaschi, Gennaro Perrella -, più sei o sette personaggi (italiani, spagnoli, greci, svizzeri), collocati al livello direttivo “con compiti logistici, finanziari ed organizzativi di grande rilievo”, anche se “non appaiono in diretto contatto con le case madri”. Sarebbero questi i “vertici internazionali” del contrabbando, costituiti da persone alcune delle quali sono inserite in organizzazioni mafiose, mentre altre hanno con queste organizzazioni stretti “rapporti d’affari”.
E gli affari nel mondo del contrabbando di tabacco girano a pieno ritmo, ogni giorno. Girano i capitali in entrata e in uscita, attraverso Istituti di credito che “possono affermare di non conoscere i reali soggetti delle transazioni, anche in presenza di specifiche iniziative giudiziarie in materia di riciclaggio”. Girano i carichi di sigarette, da un continente all’altro, a bordo di navi che di porto in porto, da Xiamen (la “rotta cinese” sembra molto attiva per sigarette contraffatte, ma la contraffazione può essere un espediente per nascondere la vera origine) a Dubai, e a Rotterdam, Anversa, Trieste, Bari, Patrasso, conducono una specie di gioco delle tre carte. E poi, il trasporto via terra (facilitato in Europa dalle frontiere aperte), o lo sbarco veloce con gli “scafi blu”. Le forze di contrasto fanno quello che possono, e bisogna riconoscere che in Italia – tra Dia, Dna, Procure, Guardia di Finanza, Polizia, Carabinieri – fanno molto, e molto più che in altri Paesi. A livello dell’Ue si muove l’Olaf, L’Ufficio europeo per la Lotta alla Frode, con il Task Group Cigarettes. I risultati ci sono, ma non appaiono tali da colpire a fondo interessi che si collocano molto in alto. In sfere nelle quali la parola “mafia” è, appunto, solo una parola.
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