home | noi | pubblicita | abbonamenti | rubriche | mailing list | archivio | link utili | lavora con noi | contatti

Giovedí, 22/10/2020 - 14:42

 
Menu
home
noi
video
pubblicita
abbonamenti
rubriche
mailing list
archivio
link utili
lavora con noi
contatti
Accesso Utente
Login Password
LOGIN>>

REGISTRATI!

Visualizza tutti i commenti   Scrivi il tuo commento   Invia articolo ad un amico   Stampa questo articolo
<<precedente indice successivo>>
settembre/2001 - Interviste
Mafie
Cinesi: piccoli traffici, ma crescono in fretta
di Daniele Cologna

Al di sotto delle famigerate Triadi, esiste un grande circuito, nascosto ma dotato di ramificate complicità, per lo sfruttamento dell’emigrazione clandestina

Xiaofeng (non è il suo vero nome) è una bella ragazza cinese di venticinque anni, sposata, madre di tre figli e titolare di un ristorante-pizzeria che offre cucina italo-cinese nei pressi della Stazione Centrale di Milano. Spigliata e spiritosa, parla italiano con disinvoltura (è in Italia dall’età di quattordici anni) ed è molto benvoluta dalla sua clientela. La sua è una famiglia di ristoratori; che possiede cinque locali solo a Milano, ma Xiaofeng si è messa in proprio giovanissima, a ventidue anni, facendo quasi tutto da sola. Come tanti altri cinesi (soprattutto giovani, capaci di esprimersi correntemente in italiano) stabilitisi in Italia alla fine degli anni ottanta, ha fatto fortuna con il cosiddetto mai juliu, la “vendita dei permessi”.
“Vendere permessi” di fatto significa costruirsi un’estesa rete di conoscenze, che va da italiani (e cinesi) proprietari di appartamenti e titolari di imprese, avvocati e commercialisti, fino a poliziotti, vigili e funzionari comunali. Nel caso di Xiaofeng questi soci in affari sono stati reclutati in buona parte tra i clienti del ristorante del padre, a ritmo di sconti e pasti gratuiti. In fondo, a queste persone si richiede solo qualche piccolo favore: “chiudere un occhio” di fronte ad una documentazione per la richiesta del permesso di soggiorno (o per un suo rinnovo) non proprio cristallina, emettere dichiarazioni di ospitalità da parte di proprietari di appartamenti a beneficio di persone che non andranno mai ad abitarvi, assumere “per finta” – o magari anche per davvero, seppure temporaneamente – qualche persona, in cambio di un completo rimborso spese e, ça va sans dire, di una lauta ricompensa. Nel corso della sanatoria del 1998-99, ad esempio, una dichiarazione di ospitalità valeva dai due ai tre milioni; una falsa assunzione, dai quattro agli otto milioni; l’assicurazione di un rapido disbrigo delle pratiche burocratiche in Questura, dai due ai quattro milioni. Un po’ tutti gli immigrati cinesi bene inseriti, titolari di negozi o proprietari di appartamenti, hanno fatto qualche soldo in questo modo, nel corso delle passate sanatorie. Ma Xiaofeng, come altri giovani cinesi della sua generazione, il colpo grosso lo ha fatto nel Duemila. Non in occasione di una sanatoria, bensì grazie alle prestazioni di garanzia.
Pensata dagli estensori della legge 40/98 come un’efficace provvedimento volto a “tagliare le gambe” agli affari dei trafficanti di clandestini, la prestazione di garanzia consente infatti a un cittadino italiano o straniero di “sponsorizzare” l’ingresso regolare e l’accesso al lavoro di uno straniero. Dal punto di vista della lotta alle organizzazioni di trafficanti d’esseri umani, per quanto riguarda i cinesi questo provvedimento si è certamente rivelato efficace: rendendo possibile un certo numero di ingressi regolari attraverso la prestazione di garanzia (e, soprattutto, offrendo la possibilità di presentare domanda ogni anno, allocando a tali ingressi quote crescenti del totale), di fatto si disincentiva l’aspirante emigrante cinese al ricorso agli shetou (i cosiddetti “capi dei serpenti” o “teste di serpente”, coloro che aiutano i renshe – le “serpi umane”, i clandestini, - a “serpeggiare” nell’ombra di dogana in dogana...). Le heishehui, o società segrete (letteralmente: “società oscure”), che gestiscono questi traffici tra la Repubblica Popolare Cinese e l’Italia si trovano drasticamente a corto di clienti, almeno tra i cinesi del Zhejiang meridionale, che costituiscono il 90% dei cittadini cinesi presenti sul territorio nazionale. Il loro “pacchetto” è da tempo considerato troppo costoso e rischioso da un numero crescente di emigranti. Inoltre, i trentacinque milioni del “biglietto” non danno diritto ad altro che all’arrivo nel paese di destinazione: e poi? Il lento e penoso processo di regolarizzazione resta del tutto deputato all’immigrato clandestino, che è costretto ad indebitarsi ulteriormente per avere qualche speranza di essere “sanato”. Finita, così sembra, l’era delle sanatorie, per un immigrato clandestino oggi la regolarizzazione pare essere divenuta impossibile. La prestazione di garanzia si impone dunque sempre più come l’alternativa sicura ed efficace al toudu, il “passaggio furtivo”, l’emigrazione clandestina. Ma, come in occasione delle sanatorie, anche l’applicazione di questo provvedimento ha generato un sottobosco fittissimo di pratiche irregolari e di malversazioni. Sebbene il numero di sponsorship che un singolo sponsor può intraprendere direttamente sia limitato (solo due persone), per gli arguti imprenditori del mai juliu si tratta di un ostacolo facilmente aggirabile: basta trovare qualche altro papabile sponsor, preferibilmente un cittadino italiano, e proporgli l’affare. Così, chi desidera emigrare regolarmente in Italia per mezzo di una prestazione di garanzia paga sì i soliti trenta-quaranta milioni richiesti per lasciare la Cina, ma questa somma gli garantisce un viaggio regolare e tranquillo e una concreta possibilità di inserimento lavorativo. La cifra pagata si ripartisce nel modo seguente: una quindicina di milioni va a formare il deposito della fidejussione e copre le eventuali spese di rimpatrio, un’altra decina di milioni compensa lo sponsor cooptato dall’abile “imprenditore dei permessi”, e quel che resta è tutto profitto. Xiaofeng ha attualmente in corso una ventina di “pratiche” di questo genere: tra questo affare e le prestazioni di routine connesse ai ricongiugimenti familiari e al rinnovo dei permessi, quest’anno prevede di lucrare circa mezzo miliardo. “Esentasse”...
Sulle attività devianti dei cittadini cinesi in Italia prevalgono tuttora – non solo nell’opinione pubblica, ma anche all’interno delle pubblicazioni dei soggetti che più dovrebbero sapere al riguardo (rapporti del Ministero dell’Interno, della Dea, ecc.) – stereotipie fuorvianti e semplicistiche. L’immagine ricorrente è quella della “piovra gialla” che estende i suoi tentacoli sull’Europa, “le Triadi sbarcano in Italia” e via discorrendo. Nulla potrebbe essere più lontano dalla realtà. Tutta la criminalità organizzata cinese è legata a doppio filo al traffico di clandestini, e tale traffico è tuttora gestito, nel nostro Paese come in buona parte dell’Europa meridionale, soprattutto da reti di heishehui basate nei distretti di origine dei cinesi del Zhejiang meridionale: si parla non a caso di “bande di Wenzhou”, “bande di Qingtian”, “bande di Wencheng” e “bande di Rui’an”, per intendere genericamente le molte organizzazioni – spesso concorrenti – che si contendono fette del grande business dell’emigrazione clandestina. Alcune di queste organizzazioni godono di estesi network internazionali, interfacciandosi con analoghe bande di trafficanti nei vari paesi che costituiscono le tappe intermedie lungo le rotte del traffico. Benché alcune heishehui del Zhejiang abbiano raggiunto livelli considerevoli di capacità organizzativa ed operativa, si tratta in ogni caso di realtà ben lontane dalle Triadi cantonesi e fujianesi, mafie estremamente potenti e profondamente infiltrate nella realtà politica, economica e militare di Hong Kong, Taiwan, e di buona parte degli stati del Sudest asiatico. Del traffico di esseri umani queste organizzazioni si occupano marginalmente: il core business delle Triadi a livello internazionale è infatti il traffico di droga e di armi. Se di presenza triadica si può o si potrà parlare in Italia, sarà soprattutto in collegamento con questa dimensione dell’economia criminale. Considerati i saldi legami che legano il narcotraffico sudamericano alle mafie nostrane, un’ingerenza triadica nel contesto criminale italiano, allo stato attuale delle cose, pare altamente improbabile.
Nell’ambito della reale dimensione criminosa e deviante cinese in Italia si può riscontrare, accanto ai reati maggiori connessi al traffico di clandestini (ove oltre al traffico stesso si annoverano sequestri di persona, estorsioni, violenze sessuali, sfruttamento della prostituzione, lesioni e finanche omicidi), un ampio ventaglio di pratiche illecite meno gravi ma assai diffuse, collegate appunto al grande affare della regolarizzazione. Protagonisti di tali illeciti sono persone che raramente o mai si considerano “criminali”, quanto piuttosto utili intermediari che offrono servizi di cui vi è una domanda estrema e in larga parte inevasa. Persone come la nostra Xiaofeng sono ammirate per la loro intraprendenza, e agli occhi di molti cinesi svolgono una funzione sociale indispensabile. Di fronte alla componente di sfruttamento connessa a tali pratiche, naturalmente, nessuno è cieco. Ma la realtà è che praticamente tutti gli immigrati cinesi adulti passano i primi anni della loro permanenza in Italia con il grave problema di conciliare la necessità di restituire i debiti contratti con la propria rete di supporto con l’esigenza di accumulare il capitale necessario per avviare una propria impresa. C’è dunque una sorta di accettazione diffusa del fatto che il proprio rilancio personale possa anche essere compiuto a spese di qualcun altro. I beneficiari delle prestazioni di garanzia di Xiaofeng saranno sì indebitati fino al collo per i tre-cinque anni seguenti, ma grazie alla possibilità di vivere e lavorare regolarmente in Italia potranno, con un po’ di fortuna e una buona dose di spregiudicatezza, innescare rapidamente i propri percorsi di ascesa sociale. È bene ricordare che l’accumulazione primaria di capitale per molti immigrati avviene spesso con modalità del tutto legali: i matrimoni, ad esempio, che prevedono la donazione di contanti alla giovane coppia da parte di tutti gli invitati e consentono di raccogliere decine di milioni nello spazio di poche ore; o le caute strategie di prestiti concessi ai propri amici e parenti. Ma è chiaro che un immigrato giunto in Italia da poco, con un impiego precario e una montagna di debiti sulle spalle ha una urgenza estrema di raccogliere fondi come può. Il “business dei permessi” può allora rappresentare una soluzione socialmente accettabile dell’impasse in cui si trova. Insomma: fintanto che una quota rilevante di ex-nuovi arrivati riesce ad avviare le proprie attività, questo idealmente contribuisce a generare opportunità per coloro che seguiranno e così “i miei debiti di oggi saranno i tuoi debiti di domani, i miei profitti di oggi apriranno la strada ai tuoi successi futuri”. Idealmente...

<<precedente indice successivo>>
 
<< indietro

Ricerca articoli
search..>>
VAI>>
 
COLLABORATORI
 
 
SIULP
 
SILP
 
SILP
 
SILP
 
SILP
 
 
Cittadino Lex
 
Scrivi il tuo libro: Noi ti pubblichiamo!
 
 
 
 
 

 

 

 

Sito ottimizzato per browser Internet Explorer 4.0 o superiore

chi siamo | contatti | copyright | credits | privacy policy

PoliziaeDemocrazia.it é una pubblicazione di DDE Editrice P.IVA 01989701006 - dati societari