Le radici di questo fenomeno criminale sono da ricercare addirittura negli Anni Trenta, quando prosperava l’organizzazione dei “Ladri in legge”. Dopo il dissolvimento dello Stato Sovietico, le associazioni mafiose si sono moltiplicate ed hanno trovato facili collegamenti con le multinazionali del crimine di tutta Europa
È ormai cosa nota che le frontiere del crimine organizzato si siano allargate fino ad assumere un carattere trasnazionale con conseguenti proliferazioni di sofisticate manifestazioni delinquenziali.
In siffatto quadro merita particolare attenzione il fenomeno della cosiddetta “mafia russa” e le sue implicazioni in tutta l’Europa e, particolarmente, nell’Est e in Italia.
Proprio nel nostro Paese le ramificazioni della criminalità organizzata russa, il suo insediamento, la sua “operatività” hanno già messo in allarme le nostre strutture di contrasto che, con alcune brillanti operazioni, hanno inferto colpi definitivi ad alcune centrali operative. Operazioni che hanno avuto successo anche grazie alle ultrasofisticate centrali operative della Polizia che si avvalgono delle tecniche più avanzate e di uomini altamente professionalizzati.
Cominciamo con una breve ma necessaria analisi della situazione criminale nell’ex Unione Sovietica e il suo percorso fino ai nostri giorni. Ci è d’aiuto un libro, curato dall’Università Bocconi di Milano in collaborazione con la Criminalpol, edito nel 1999, dal titolo “Nuove mafie ed economia”, da cui abbiamo tratto anche alcune delle tabelle che corredano queste pagine.
Diciamo che l’economia, così come concepita nell’Unione Sovietica, si è rivelata incapace di assicurare un livello di vita adeguato a quello delle democrazie occidentali; per cui, nel momento del crollo del regime sovietico, il sistema economico di quella società (alieno da logiche di mercato) si è dovuto “adeguare”, rapidamente, ai meccanismi propri del mondo occidentale.
Con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, nascono nel 1991 quindici Stati sovrani che, ad eccezione di Lituania, Lettonia ed Estonia, hanno aderito alla Comunità di Stati Indipendenti (Csi).
Fra questi stati la più rappresentativa è la Federazione Russa che raggruppa ben 89 diverse realtà più o meno autonome. In un tale contesto, rivelatosi assai poco stabile, le nuove entità si sono rivelate assai sensibili ad una forte espansione della criminalità organizzata che, in forme diverse l’una dall’altra, ha avuto una evoluzione in strutture mafiose, indipendenti fra loro, ma egualmente fondate sulla violenza, intimidazione, omertà, corruzione.
Si è cominciato a parlare, forse impropriamente, di “mafia russa” con una espressione riferibile a tutti i fenomeni mafiosi presenti nel territorio dell’ex Unione Sovietica, oltre a quella originaria della Federazione Russa.
Forti e spietate organizzazioni mafiose si sono sviluppate anche in altri Stati della Csi, quali ad esempio l’Ucraina, l’Armenia, la Moldava e la Georgia, nonché in altri stati della Federazione Russa quali la Cecenia ed il Daghestan.
C’è da dire che nell’Urss, quando lo Stato era caratterizzato da una rete di “conoscenza capillare”, e quindi in grado di garantire il controllo assoluto di tutte le attività produttive e del territorio stesso, la criminalità, anche quella di medio cabotaggio, ha avuto scarse possibilità di attecchire e di svilupparsi. Rimaneva la consumazione di taluni reati di bassissimo profilo legati alla necessità di soddisfare talune esigenze prioritarie, dettate da condizioni di vita piuttosto misere. Tuttavia, a partire dalla fine degli anni Trenta iniziarono a consolidarsi raggruppamenti cosiddetti di “ladri in legge”, mentre dagli anni Cinquanta comparvero gruppi criminali che operavano, però, all’interno di talune classi professionali.
Negli anni successivi (forse per effetto delle difficoltà economiche che si verificavano all’interno del sistema economico) la criminalità economica si è affacciata, non tanto timidamente, nel mondo sovietico, favorita, per altro, dalla mancanza di un sistema organico di prevenzione affidato - come si è accennato - al semplice controllo capillare di marca partitica e comunque volontaristica.
Nel periodo della Perestroika, per effetto dell’arretramento dello Stato nei confronti delle attività economiche e sociali (ma anche per lo smantellamento delle strutture che nel passato avevano consentito il controllo assoluto di ogni attività) si verificò uno sviluppo assai rimarchevole della criminalità che si organizzò in forme complesse e potenti.
Ed ecco, come primo fenomeno, il mercato nero completamente controllato dalla criminalità, tanto da costituire una vera e propria economia parallela. Subito dopo sono arrivati gli stupefacenti, la cui produzione è continuamente alimentata dalle coltivazioni di papavero da oppio nelle regioni meridionali dell’Unione, in particolare Kazakistan, Turkmenistan, Uzbekistan; e poi ancora il traffico di armi e quello delle opere d’arte. Tutto ciò ha favorito il “contatto” con le altre consociazioni criminali che operano nell’occidente.
Queste attività, di carattere squisitamente mafioso, hanno visto nascere gruppi di potere criminale di tipo manageriale, con una gerarchia vera e propria e con relativo apparato burocratico. Al lato, intanto, operavano piccole ma agguerrite cosche di criminali comuni, pericolose tanto che non arretravano di fronte al delitto.
Questo fenomeno malavitoso organizzato, ha visto nascere in Russia, anche dal punto di vista lessicale, la Organizatsya o Mafyia, come sinonimi di criminalità o gangsterismo e non come nomi propri di una organizzazione mafiosa. Ed è questo fenomeno che desta oggi particolare allarme tra coloro che studiano l’evolversi dei fenomeni delinquenziali.
Sfruttando il momento favorevole causato dalla caduta del regime comunista in Unione Sovietica, la fenomenologia criminale è emersa prepotentemente, a tal punto da riuscire a crearsi, in un tempo relativamente breve, grandi spazi operativi nel mondo del crimine organizzato, con giro di affari vertiginoso.
Nel territorio dell’ex Unione Sovietica operano oggi una miriade di organizzazioni criminali con caratteristiche operative alquanto disomogenee e sempre mutevoli nel tempo.
Una analisi svolta in tal senso dal Federal Bureau of Investigation americano ha messo in risalto come le organizzazioni criminali operano in uno specifico ambito territoriale di competenza, fanno riferimento ad un capo e si compongono di un numero variabile di unità che, con struttura gerarchica, formano un “gruppirowka” (un gruppo).
In tale contesto il già ricordato “ladro in legge” occupa il vertice delle cosche criminali, seguito, in ordine gerarchico decrescente, dalle “autoritety”, dal “delcy”, dal “kataly” e infine dagli “esterki”.
I gruppi criminali russi possono suddividersi in quattro categorie principali (a seconda della struttura organizzativa).
La prima comprende quelle organizzazioni criminali al cui vertice sono preposti i “ladri in legge” che costituiscono la élite criminale nata nell’era presovietica e perpetuatasi fino ai giorni nostri.
La seconda fa capo alla nomenklatura corrotta composta da funzionari dello Stato, uomini di affari e politici che, grazie alle onnipresenti “bustarelle”, si sono impadroniti di aziende statali di marca sovietica al momento del crollo dell’impero comunista. Questa organizzazione (con tutte le sue sottoclassi) mina abbastanza pesantemente l’economia russa giacché, attraverso appoggi politici, istituti bancari “controllati”, riescono ad impossessarsi di ingenti somme di denaro che poi vengono reinvestiti all’estero nei circuiti finanziari occidentali.
La terza categoria è rappresentata da organizzazioni criminali i cui appartenenti sono della stessa etnia. I più influenti sono i ceceni, gli armeni, i giorgiani.
La quarta struttura è composta dalle residue formazioni che non trovano collocazione nelle recenti suddivisioni e che si possono denominare come “bande” che, appunto, rappresentano un’ampia parte della criminalità operante nei territori dell’ex Unione Sovietica; godono di una certa autonomia, hanno il controllo di una ristretta zona geografica, si dedicano ad una sola attività criminale e sono guidate da una sorta di capo carismatico (un capobanda) detto “Autoritet”.
Tutte queste organizzazioni criminali si sono dedicate, nel tempo, ad ogni genere di attività , specialmente nel campo delle estorsioni, del traffico di droga e di armi, infiltrandosi nel settore dei mezzi di comunicazione, della politica, e di ogni attività produttiva (banche, alberghi, centri commerciali); una certa penetrazione si è avuta nel settore degli aiuti economici offerti dall’Occidente alla vacillante economia russa.
Insomma, le mafie dell’Est sono diventate, in tempi relativamente brevi, le organizzazioni criminali più potenti della terra, distinguendosi per giro di affari e spregiudicatezza: si ritiene che nella Russia siano attualmente presenti ben novemila gruppi e cosche a cui fanno riferimento oltre centomila persone con oltre 3 milioni di “fiancheggiatori”.
Una buona fetta di proventi delle criminalità russe proviene dal narcotraffico e dal commercio delle armi. Non a caso oggi la Russia è al primo posto nella produzione mondiale di hashish.
Molto elevata risulta la produzione di cosiddette “droghe sintetiche”, fra cui primeggia l’ecstasy.
Ma anche il materiale bellico e strategico (rubato nei depositi militari) costituisce un affare molto lucroso per le organizzazioni criminali dell’ex Urss. Ciò è dovuto alla particolare posizione geografica della Russia, all’inesistente sistema unificato di controllo degli armamenti, all’apertura delle frontiere e, ovviamente, ai numerosi conflitti sempre presenti in tutti gli scacchieri del mondo.
Il fenomeno, a sentire gli esperti, sarebbe dovuto alla diffusione di sostanze stupefacenti fra i militari e alla corruzione di coloro che dovrebbero controllare e sorvegliare i depositi.
Tanto per citare un esempio, nel solo 1998 in Russia si sono registrati circa cinquecento procedimenti penali di persone sospette di traffico illegale di armi e tecnologie belliche.
Molto più pericoloso risulta essere il fenomeno del contrabbando di componenti di armi atomiche o di materiali radioattivi che negli ultimi anni ha interessato alcune organizzazioni criminali russe, nonché quello delle scorie radioattive che si presenta sotto il duplice aspetto dell’importazione clandestina e dell’esportazione illegale. Nel 1998 ben sei container di cesio 137 radioattivo sono stati rubati da una raffineria di Volgograd; ciascuno dei container aveva al suo interno una singola capsula radioattiva di cesio 137.
Vediamo ora come la mafia russa ha allungato i suoi tentacoli verso l’Europa, soprattutto attraverso quali contatti ciò è potuto avvenire.
I cambiamenti nella Russia hanno determinato processi migratori all’interno del territorio della Csi e, successivamente, da questo verso l’Occidente, provocando - fra l’altro - una sorta di internazionalizzazione delle attività criminali delle organizzazioni mafiose. I cospicui interessi economici in gioco hanno scatenato guerre intestine sanguinose fra organizzazioni criminali per il controllo del territorio. Ciò ha spinto taluni esponenti delle cosche a varcare i confini verso località turistiche europee rinomate da dove hanno continuato a gestire le attività criminose. Una delle nazioni che per prima è stata interessata da tale fenomeno è stata l'Inghilterra. Londra, in particolare, nel 1993 e nel 1994 è stata letteralmente invasa da uomini d’affari russi che, dopo essersi creati (attraverso società di comodo) canali legali attraverso i quali far affluire denaro dalla Russia, hanno finito per estendere il loro potere scontrandosi con la criminalità locale che, ad ogni modo, non è riuscita ad impedire che i big della mafia russa, rilevassero numerose attività imprenditoriali così da poter effettuare il “lavaggio” del denaro sporco, con una certa tranquillità.
Successivamente i proventi di tali attività (attraverso società off shore appositamente costituite) sono stati fatti affluire in “paradisi fiscali” per poi passare nei conti blindati di banche austriache e svizzere.
Ma la “mafia russa” non si è fermata qui. Ha stabilito, nel Mediterraneo, una delle sue basi principali. È quella dell’isola di Cipro che, nella prima metà degli anni Novanta è diventata una delle più importanti centrali operative: sono presenti, infatti, ben tremila attività commerciali russe (ufficialmente ditte di export-import) che nascondono i gangli della “mafia russa”.
Cipro, oltre ad essere un punto strategico per il controllo dei traffici nel Mediterraneo è anche un trampolino verso Israele: secondo una legge israeliana,ad ogni ebreo, di qualsiasi nazionalità, è riconosciuto il diritto di immigrare in Israele, ottenendo la piena cittadinanza (gli ebrei immigrati vengono comunemente chiamati “Olim”), nonché quello di aprire conti in valuta estera presso istituti di credito locali, sui quali può transitare qualsiasi somma di denaro, senza limiti e controlli.
E in Israele, dopo il crollo dell’Urss, sono arrivati oltre mezzo milione di ebrei russi, ucraini, uzbeki e moldavi: secondo le stime della Banca d’Israele molti di questi sarebbero dei prestanome per conto di organizzazioni criminali russe e servirebbero come riciclatori di denaro sporco.
In Italia la città e l’entroterra di Rimini sono stati lo “scalo” “scoperto” dalla mafia russa sul finire del 1993. Questo dato è testimoniato da approfonditi studi effettuati dagli uffici di Polizia di frontiera aerea. Ancona e Falconara sono altri due poli che hanno fatto registrare un aumento vertiginoso di “viaggiatori” provenienti dall’ex Unione Sovietica. Non si tratta, ovviamente, di turisti che vogliono passare l’estate su quei lidi. Nel solo anno 1993 a Falconara, ad esempio, sono sbarcati ben cinquemila cittadini provenienti dall’ex Urss.
I dati generali forniti dal Centro Elaborazione Dati del ministero dell’Interno evidenziano in modo assai chiaro come, dal 1990 al 1998 si è assistito, nelle varie regioni italiane, ad una crescita imponente delle comunità russe. Le regioni italiane nelle quali è stato rilasciato il maggior numero di permessi di soggiorno sono, nell’ordine, la Lombardia, la Toscana, il Lazio, l’Emilia-Romagna e il Veneto.
Intendiamoci: non si può affermare che tutti questi cittadini dell’ex Urss siano dediti ad attività illegali. È certo, però, che una non infima parte di essi si suppone siano dei veri e propri supporti alle attività illegali di cui accennavamo. Per quei “turisti” legati al crimine, c’è da dire che essi sono ben accorti a non violare le norme sull’immigrazione vigenti nel nostro Paese (salvo rare eccezioni); e questo al fine di non attirare l’attenzione degli organismi di controllo.
In Italia, facendo un discorso più generale, la “mafia russa” ha cominciato a fare capolino sin dagli anni Settanta: allora, come detto, si trattava di gruppi di ebrei russi nei quali, però, si erano infiltrati esponenti della criminalità organizzata russa. L’attività investigativa dei nostri servizi di Polizia ha consentito di accertare la presenza in Italia di organizzazioni mafiose russe ed ha reso altresì possibile l’individuazione di specifiche strategie d’infiltrazione e di radicamento nel tessuto socioeconomico italiano.
Ed eccoci giunti al momento di analizzare, sia pure per sommi capi, le collusioni fra la “mafia russa” e le organizzazioni mafiose italiane.
Numerose indagini hanno segnalato incontri al vertice fra esponenti mafiosi russi e i corrispettivi di Cosa Nostra. Non meravigli questo, dal momento che proprio le cosche mafiose italiane hanno stretto alleanze con la “Mafyia” per la pianificazione di affari nel campo degli stupefacenti, del traffico di armi ed anche per lo spaccio di ingenti quantità di dollari falsi.
A conferma di accordi fra le due strutture criminali, è significativo evidenziare il fatto che le cellule mafiose dell’ex Unione Sovietica sono andate a contaminare zone dove sono meno presenti le organizzazioni mafiose italiane, inserendosi in settori criminali alternativi, quali lo sfruttamento della prostituzione e il riciclaggio di denaro proveniente da traffici illegali.
Dunque nel panorama criminale italiano sono presenti numerosi gruppi delinquenziali provenienti dai Paesi dell’ex Unione Sovietica. Nel corso di specifiche operazioni investigative, è stata riscontrata nel Lazio, nelle Marche ed in Lombardia la presenza, fra gli altri, di gruppi criminali affiliati alle famose “Brigate del sole” e alla “Brigata Yzmailoxskaya”, considerati i più potenti sodalizi criminosi moscoviti.
Riassumendo, i campi di attività delle cosche mafiose russe sono: traffico e detenzione di armi; sfruttamento della prostituzione; traffico di dollari falsi; traffico di opere d’arte; falsificazione di documenti di vario genere.
Non si può concludere questa necessariamente sommaria analisi sulla presenza della “mafia russa” nel nostro Paese, senza accennare ad alcune significative operazioni di contrasto messe in atto dalle nostre Forze di polizia.
Operazione Rasputin. Nel febbraio 1995, fu riscontrata dalla Polizia di Stato la presenza in territorio italiano di Elson Monya, indicato come il “numero due” di un gruppo della criminalità organizzata di origine russa operante negli Stati Uniti d’America, dedito ad attività illecite, tra le quali il traffico di sostanze stupefacenti, in particolare eroina. Il Dipartimento della Giustizia degli Stati Uniti formulò, successivamente, una richiesta di arresto provvisorio a fini estradizionali. L’8 marzo dello stesso anno, Elson Monya venne arrestato dalla Polizia di Stato a fini estradizionali verso gli Stati Uniti.
Operazione Shakh Mat. L’attenzione è stata focalizzata sul “ladro in legge” Essine Iouri, di 47 anni da Vladivostok (Csi), e sul suo gruppo criminale operante in Italia, e più precisamente nelle Marche e nel Lazio.
Le indagini della Polizia di Stato misero in evidenza l’esistenza di un gruppo criminale dotato di particolare capacità delinquenziale che, attraverso la realizzazione di singoli reati, perseguiva un preciso disegno criminoso, proprio di una associazione per delinquere di stampo mafioso. Quelle indagini evidenziarono anche le connivenze tra la “mafia russa” operante in Italia e le organizzazioni nostrane.
In tale contesto investigativo, è stata individuata una vasta gamma di settori di interesse per l’organizzazione criminale e sono stati identificati alcuni esponenti della criminalità organizzata russa che hanno posto in essere un apparato di tipo commerciale-imprenditoriale, facendo affluire in vario modo nel nostro Paese ingenti capitali di illecita provenienza per porre le basi delle loro attività.
L’operazione di Polizia si è conclusa nel marzo del 1997 con l’emissione, da parte dell’Autorità giudiziaria romana, di 19 ordinanze di custodia cautelare in carcere, di cui 14 eseguite dalla Polizia di Stato in Madonna di Campiglio ed altre città italiane, per associazione per delinquere di stampo mafioso, sequestro di persona, estorsione ed altro, nei confronti di altrettanti cittadini russi ed italiani.
Operazione Leon. Il 25 marzo 1997 è stata conclusa dalla Polizia di Stato una importante operazione di Polizia nei confronti della criminalità russa, che ha consentito di rinvenire, in un’abitazione romana, numerose armi da fuoco, sistemi di puntamento laser, munizionamento vario ed altro.
L’appartamento era stato adibito a base logistica da un criminale russo, Solonnik Alexander, assassinato ad Atene nel febbraio del 1997, sotto le false generalità di Kesov Vladimiros.
Nel prosieguo dell’attività investigativa è stato accertato che il Solonnik era capo di una organizzazione criminale russa denominata “Brigata Kurganskaya”, attiva nel settore degli omicidi su commissione e nel traffico internazionale di armi. Lo stesso era solito spostarsi, unitamente ad altri affiliati domiciliati a Roma, tra l’Italia e la Gracia utilizzando diverse identità.
|