Al di là dei nudi fatti di cronaca sulle tragiche giornate nel capoluogo ligure, ampiamente trattati da tutti i mezzi d’informazione, riportiamo in questo articolo del nostro collaboratore (presente agli eventi) le sue impressioni e le sue considerazioni. Le une e le altre non possono certo avere carattere definitivo sugli episodi per i quali sta ancora indagando la magistratura. Lo scritto vuole essere solamente una testimonianza diretta
Venerdì 20 luglio, Genova è una città fantasma: il vuoto totale, saracinesche abbassate, 140 blocchi di cemento e pesanti reti metalliche rinforzate per isolare la cosiddetta Zona Rossa, una interminabile sfilata di centinaia di container vistosamente colorati in giallo, verde, rosso in via Brigata Val Bisagno e in piazza della Vittoria per dividere la stazione di Brignole dal mare.
Nella Zona Gialla sei ore di guerriglia urbana: assalto al carcere di Marassi, scontri con feriti gravi in piazza Manin e in piazza di Carignano, scontri in via Caffaro, in piazza Marsala, in via Tolemaide, in via Caffa, in via Montevideo, in piazza Tommaseo, in piazza Paolo da Noli, in corso Torino, in corso Marconi. Centinaia le auto incendiate, altrettanti i negozi assaliti, sfondate le vetrine di banche, uffici postali, sportelli bancomat, sedi istituzionali, autosaloni.
Una ben congegnata e anche incontenibile furia a macchia di leopardo di manifestanti violenti, anarchici, black block, infiltratisi a sorpresa con spranghe di ferro, bottiglie molotov, sassi fra le ingarbugliate maglie dei cortei cosiddetti ‘non violenti’ (che si erano riuniti in città per dare un concreto segnale nella giusta lotta alla globalizzazione mondiale e al liberismo più sfrenato) ha devastato la città, allarmando i cittadini e l’opinione pubblica.
Le Forze di polizia, certamente non addestrate alla guerriglia urbana, (come poi è stato ripetuto dai responsabili dell’ordine pubblico) colte di sorpresa, hanno reagito in maniera convulsa e disordinata. Procedendo a testuggine, roteando i manganelli che venivano picchiati sugli scudi in plastica, sparando lacrimogeni ad altezza d’uomo e caricando nel mucchio, tra ululati di sirene, rombi di blindati e ‘flappare’ di elicotteri quasi immobili o roteanti a larghe volute concentriche, hanno colpito tutto e tutti, senza poter distinguere violenti e no. Al termine della giornata centinaia i feriti negli ospedali cittadini.
I black block sono così riusciti nel loro intento di guadagnarsi una non ben definita ‘visibilità’, sotto il paravento di una ‘lotta’ che doveva dipanarsi pacificamente e che invece si è tramutata in una vera tragedia: un manifestante di 23 anni, Carlo Giuliani, perde la vita negli scontri. Volenti o nolenti, questa è la prima ‘mazzata’ contro le Forze dell’ordine e colpisce proprio l’immagine dei Carabinieri.
Dopodiché, il furore di un ben circoscritto – e realmente esiguo – gruppo di uomini della Polizia di Stato, molto simili ai cosiddetti e di triste memoria ‘celerini’, offusca l’immagine della Polizia per la violenza delle perquisizioni e dei fermi operati nella notte successiva alla morte di Giuliani, quella tra sabato e domenica 22 luglio. Quale la motivazione? Un pesante e apparentemente gratuito intervento contro un certo numero di aderenti ai nuclei ‘no global’ che si trovavano all’interno della scuola elementare Armando Diaz e la loro successiva traduzione nella caserma della Polizia Stradale di Bolzaneto.
Questa ‘operazione di Polizia’, forse anche pertinente al rigore del dettato dei codici, è stata di sicuro ‘perdente’ per modalità di esecuzione e per opportunità (è stato maldestramente devastato un centro stampa senza dubbio ‘di parte’ ma, proprio per questo, di sicuro si sarebbe dovuto operare con i cosiddetti piedi di piombo e nel più rigoroso rispetto delle regole democratiche). Quali i risultati ottenuti? Su una novantina di fermati in quella notte infausta, stando alle loro accuse moltissimi colpiti e umiliati nel fisico e nel pudore, la maggior parte sono stati poi rilsciati per una quasi totale mancanza di indizi.
Nel caotico mosaico di confuse notizie, denunce fatte e subìte dai manifestanti in queste due operazioni coperte dal buio della notte e dalle maschere antigas che celavano i volti degli agenti intervenuti nel blitz, nelle confessioni, ritrattazioni o anche nelle menzogne dei fermati che sono state inopinatamente diffuse (forse anche ad arte) riguardo a ciò che è accaduto in quelle nere stanze, l’unica cosa certa venuta alla luce e che anche in questo caso l’immagine degli uomini della Polizia di Stato (confusi per di più con un nucleo di intervento speciale della Polizia Penitenziaria) per le violenze di pochi, tutti sono usciti massacrati.
Non è questa la sede per affrontare, ne tantomeno commentare nei particolari, cosa in quella nera notte possa essere realmente accaduto: nel prossimo numero di ottobre di questo periodico, l’intero settore dell’ordine pubblico verrà ampliamente trattato con interviste a esponenti della Polizia. Per intanto, il pool dei magistrati genovesi che sta valutando tutte le posizioni avrà un lungo e pesante lavoro da fare e, ne siamo certi, viviamo in uno stato democratico nel quale deve prevalere la certezza del diritto e le diverse ed eventuali responsabilità, a qualsiasi livello esse siano, alla fine emergeranno con chiarezza. Per quanto ci riguarda, ci bastano le parole del Capo della Polizia Gianni De Gennaro che, davanti alla Commissione d’Indagine Parlamentare ha coerentemente ammesso che alla Diaz e a Bolzanato, da quanto è emerso dalle relazioni dei tre ispettori Pippo Micalizio, Salvatore Montanaro e Lorenzo Cernetig, inviati dal ministro dell’Interno Claudio Scajola, sembra che ci siano state vistose lacune organizzative contro la guerriglia urbana e che eccessi di pochi singoli, si siano realmente verificati: questo, ha sottolineato il Capo, andranno rigorosamente perseguiti.
Per ora si deve registrare che, di fronte all’opinione pubblica, abbiano dovuto immediatamente ‘pagare’, forse anche per questioni non rigorosamente legate ad una partita che si sta giocando ben oltre i confini delle zone genovesi, rosse o gialle che siano, due funzionari che sono stati dei veri miti nella difesa democratica del Paese, Arnaldo La Barbera, Capo dell’Ucigos e Ansoino Andreassi, vice di De Gennaro. Per non parlare del Questore di Genova, anche lui rimosso.
Quello che colpisce però tutti, compresi gli uomini delle Forze dell’ordine, è che con un comportamento così retrivo e ormai fuori dai tempi di pochi singoli, d’un solo colpo, e violentemente, proprio questi pochi sono riusciti a vanificare tutto lo sforzo umano, sociale, professionale, politico e soprattutto, culturale, che gli uomini della Polizia hanno sostenuto da vent’anni a questa parte. Ma come è possibile tutto ciò? È ovvio che in questa dura vicenda che assume toni plumbei, anche la festa della Polizia di un paio di mesi fa quando questi professionisti della sicurezza democratica dello Stato hanno celebrato proprio il ventesimo anniversario della legge di Riforma, ne esca offuscata. Mai annivesario si è rivelato tanto infausto.
Dopo tanto recriminare su certi comportamenti, dovuti senza dubbio alla violenza di pochi, lo ribadiamo, sia consentita una sommessa nota personale forse controcorrente ma rigorosamente vera riguardo alla crescita democratica delle Forze dell’ordine: chi ha una certa età e, per ragioni professionali, ha vissuto in prima persona le più grandi manifestazioni di piazza (o le peggiori…) sa benissimo che nel passato (prima della Riforma) era per lo meno da temerari mostrarsi in prima fila con una macchina fotografica puntata: le manganellate o le botte erano assicurate, sia da parte della Polizia che non voleva documentazioni fastidiose, sia da parte dei manifestanti che poco usavano passamontagna e caschi e non volevano essere quindi riconosciuti. Ogni manifestazione di piazza era quindi una sorta ‘via crucis’ nella quale si giocava quasi a rimpiattino e, salvo eccezioni, generalmente le documentazioni che sono passate alla storia sono sempre state ben poca cosa rispetto alla portata degli eventi. Con i fatti di Genova invece, poco o nulla è stato ‘coperto’. Le immagini di questa ‘due giorni’ di Genova, e che sono apparse sulla stampa di tutto il mondo e nei filmati televisivi, sono state di una eloquenza straordinaria, anche se poco gradite da buona parte dei contendenti. Tant’è che fotoreporter e cameramen, sono stati letteralmente bastonati ed hanno avuto le attrezzature distrutte, ad opera più dei dimostranti che della Polizia.
E qui una seconda notazione personale: sabato 21 luglio ore 17,30, salita di corso Monte Grappa sopra alla stazione di Brignole, zona apparentemente tranquilla ma popolata da gruppetti di tute nere che avevano già incendiato cassonetti all’inizio della rampa. Preceduti da urla di allarme lanciate da strani personaggi in motoretta che zigzagavono avanti e indietro “… scappate… stanno arrivando pure qui…”, ecco, dal fondo, sei blindati della Polizia, forse indirizzati da un elicottero che volteggiava basso. Momenti di scompiglio fra le tute nere e una assurda fuga in salita verso la parte alta della strada. I blindati li raggiungono, saltano fuori i caschi blu, tafferugli, e parecchi fermi. Non paghi, dopo una veloce inversione di marcia, i blindati risfrecciano verso il basso, ma non per andare via, bensì per bloccarsi a un metro da un gruppo nel quale, suo malgrado, era rimasto chiuso chi scrive queste note, vedersi assalire da un poliziotto vestito da marziano con il manganello brandito, non è certo una sensazione che si scorda facilmente; ma, ancora più forte, il ricordo di una voce strozzata, da palombaro si potrebbe dire, soffiata con rabbia attraverso la maschera antigas e la protezione in plastica del casco e che, davanti al magico pettorale ‘Press’, si blocca e dopo uno spintone sibila con forte accento romano: “vattene via da qui! Nun vedi che so’ du’ giorni che ce stanno rompenno er c…”
BOX – 1
La morte di Carlo Giuliani
Alle 17,30 di quel venerdì nero, nel corso delle sei ore di guerriglia urbana, una sequenza agghiacciante documentata da diversi scatti fotografici e anche da diverse telecamere: in una stradina di piazza Alimonda, nel quartiere Foce e vicino a piazza Tommaseo, una località distante oltre un paio di chilometri dalla linea rossa superprotetta per i lavori del G8, Carlo Giuliani, 23 anni, viene raggiunto al volto da uno o due colpi di pistola esplosi dall’interno di un fuoristrada dei Carabinieri. La camionetta dei militari era in difficoltà perché, durante le cariche, era rimasta isolata e si era andata ad insaccare in una viuzza cozzando contro un contenitore della nettezza urbana. Rimasta bloccata, una decina di dimostranti l’avevano circondata. Sul sedile posteriore un carabiniere di leva. Dal racconto di uno dei fotoreporter presenti alla tragedia - Dylan Martinez della Reuter - i dimostranti con i visi coperti da caschi e maschere la stavano ricoprendo di sassate e avevano spaccato i finestrini laterali anche con sbarre di ferro e una trave di legno. Qualcuno dei carabinieri deve aver lanciato fuori dall’automezzo l’estintore di dotazione. Uno degli aggressori - Carlo Giuliani - lo raccoglie e, tenendoselo alto sul petto, sta per rilanciarlo dentro la camionetta attraverso il lunotto posteriore già in frantumi. Da quest’ultima apertura spunta la canna di una pistola, l’arma in dotazione del carabiniere il quale per difendersi - affermerà poi - gli esplode contro uno o due colpi raggiungendolo alla testa. Il ragazzo muore sul colpo, finisce a terra dietro le ruote posteriori del fuoristrada il cui conducente, per districarsi dalla situazione, aveva già ingranato la marcia indietro straziando involontariamente quel povero giovane corpo. Un folle scatto e il mezzo dei militari riparte allontanadosi. Il conducente non ha fatto in tempo a rendersi conto di ciò che è accaduto: lascia dietro di sè Giuliani in una pozza di sangue, il volto coperto dal passamontagna nero; è disteso a braccia aperte, in canottiera, alcuni tatuaggi blu, un rotolo di nastro adesivo da pacchi infilato in alto sul braccio destro, una esile collanina intorno alla gola. Una giovane vittima sacrificata dalla violenza di una minoranza, ucciso dalla reazione convulsa di un uomo in divisa.
BOX – 2
Gli “uomini contro” da tutta l’Italia
Erano oltre diecimila gli uomini delle Forze dell’ordine comandati in servizio per la sicurezza delle circa 1.500 persone che hanno fatto parte delle 8 delegazioni straniere al seguito degli otto uomini più potenti della terra ai cui lavori si erano accreditati circa 6.000 giornalisti. Nelle Forze dell’ordine 4.200 carabinieri, 4.200 poliziotti, 2.100 finanzieri; gran parte di loro equipaggiati con divisa antisommossa: scudo piccolo e rotondo, tuta per lo scontro ‘a uomo’ con rinforzi in plastica dura ai gomiti, spalle e ginocchia (quasi una tenuta da giocatore da football americano), micidiali manganelli di nuova generazione. Queste forze sul campo, dotate di lanciatori di gas lacrimogeni, erano supportate da 4 aerei, 15 elicotteri, 4 mezzi navali e centinaia di camionette blindate di piccole e medie dimensioni.
Per citare solo alcuni dei gruppi degli oltre 150.000 manifestanti che erano stari previsti (secondo una ricerca realizzata dai servizi investigativi) c’erano da Roma: Radio Onda Rossa, Corto Circuito, La Strada, Ex Snia Viuscosa, Hai visto Quinto?, Rage-Roma, Forte Prenestino; da Firenze: Centro Popolare Autogestito, Gruppi Anarchici Toscani; da Milano: Panetteria, Transiti, Vittoria, Villa occupata, Affori; da Torino: Askatasuma, Murazzi, El paso; da Genova: Immensa, Pinelli, Cag; da Bologna: Teatro polivalente occupato, Livello 57, Contromani; da Napoli: Officina 99, Ska; dal Veneto: la Casarini Division, Csoa Rivolta, Carrosseria, Critica Accesa.
Nella protezione della Zona Rossa della città, quella che prevedeva una fascia di alta sicurezza per i lavori del Vertice, sono anche intervenuti 2.700 militari dalle tre Forze Armate: Esercito, Marina, Aeronautica, che, in nessun caso – aveva precisato una nota del ministero della Difesa - sarebbero mai entrati in contatto con i manifestanti e non avrebbero mai avuto alcun compito di gestione dell'ordine pubblico,
Il ministero della Difesa, rendendo noti questi dati, aveva anche aggiunto che tra il personale impiegato sono stati previsti anche specialisti per la guerra Nbc (nucleare-batteriologica-chimica), artificieri, navi dotati di sistemi di difesa aerea, cacciamine e una batteria missilistica terra-aria.
Nei compiti assegnati, le tre Armi hanno esercitato pattugliamento aereo e marittimo e la sorveglianza di alcuni obiettivi strategici. La Marina militare ha concorso alla sicurezza nell'area marittima attraverso la sorveglianza, l'ispezione e la bonifica subacquea di imbarcazioni. All’Aeronautica è stato assegnato il compito di assicurare il controllo dello spazio aereo.
Per la sua parte l’Esercito ha invece avuto la vigilanza dei punti sensibili individuati d'intesa con la Questura di Genova e ha coadiuvato nella rilevazione, nel controllo e nella bonifica di aree ritenute a rischio.
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