Gli ultimi giorni del luglio 2001 hanno segnato una tappa che sarà ricordata. A Genova c’è stata una delle più grandi manifestazioni contro la “globalizzazione” mai organizzate dai movimenti di Seattle, come sono stati ribattezzati dalla stampa, prendendo spunto dal nome della città dove si sono svolti i primi scontri. A Genova un carabiniere ventenne ha ucciso un suo coetaneo, un ragazzo di nome Carlo Giuliani, che, come ha ricordato il padre sindacalista della Cgil, cercava di battersi contro le ingiustizie e le diseguaglianze del mondo. A Genova si sono verificati fatti di una gravità inaudita e sono stati persino sospesi, per fortuna solo per qualche ora, i diritti costituzionali.
Per i fatti di Genova sono saltati degli alti funzionari di Polizia, a cominciare dal vicecapo Andreassi, che era stato nominato responsabile generale del coordinamento dell’ordine pubblico e della sicurezza. Sui fatti è stata istituita una Commissione parlamentare di inchiesta e la magistratura sta tuttora lavorando per accertare le singole responsabilità di agenti di Polizia, agenti di Polizia Penitenziaria, Carabinieri e in generale di vari rappresentanti delle Forze dell’ordine che si sono macchiati di comportamenti brutali. Sui fatti di Genova è stato prodotto un materiale informativo e giornalistico straordinario.
Probabilmente non era mai successo che un evento fosse così “coperto” dai media. E anzi possiamo anche dire che proprio la mobilitazione eccezionale di giornalisti, fotografi, operatori ci permette di affrontare la questione con una base materiale consistente. Le foto, i filmati, i racconti e le relazioni dei responsabili di Polizia producono il materiale su cui ora poter ragionare senza fare illazioni di nessun genere.
Dopo più di un mese e mezzo, su Genova, noi ci siamo fatti un’idea. Abbiamo un’opinione abbastanza precisa che potrebbe essere smentita solo alla luce di rivelazioni sorprendenti che però – fino al momento della chiusura in tipografia di questo numero della rivista – non abbiamo.
A Genova si sono registrate – oltre alla tragedia della morte di Giuliani e al ferimento di decine di persone e alla devastazione di beni materiali – una sconfitta e una vittoria, dal punto di vista della gestione dell’ordine pubblico e dell’operato delle Forze di Polizia.
La sconfitta è evidente, la “vittoria” è più nascosta e insidiosa.
Dal punto di vista del bilancio della gestione della piazza e del mantenimento della sicurezza, le giornate di Genova sono state una evidente sconfitta, anzi una vera débâcle. Circa 12 mila uomini, 15 elicotteri, decine di mezzi, munizioni, fucili, manganelli di tipo nuovo (i famosi “tonfa” importati dagli Usa) non sono serviti a fermare le azioni dei più violenti. Ci sono state decine di cariche al corteo, manifestanti picchiati selvaggiamente, mentre nessuno è stato in grado di fermare le azioni dei black bloc, che si sono tranquillamente infiltrati nel corteo e sono riusciti nel loro intento di trascinare anche altri nella confusione più totale e nella violenza. Genova, sugli schermi televisivi di tutto il mondo, è apparsa in quei giorni di luglio una città sconvolta, nelle mani di gente violenta, mentre in piazza sono scese in realtà migliaia di persone pacifiche che avevano solo voglia di dare un loro piccolo contributo al tentativo di combattere la crescita quotidiana degli squilibri mondiali.
Dopo le manifestazioni, a vertice del G8 ormai concluso, si sono verificati altri episodi che hanno contribuito a dare il segno all’evento: l’intervento di “Polizia giudiziaria” nella scuola Diaz dove dormiva un gruppo di manifestanti e le violenze, ampiamente ammesse, nella caserma Bolzaneto. La sconfitta dal punto di vista dell’ordine pubblico si misura dunque facilmente. Basta confrontare le indicazioni precise che erano state date dai responsabili alla vigilia (esempio il vademecum-decalogo di Andreassi) e quello che realmente è poi successo.
Per prima cosa si notano ritardi clamorosi. A un evento di così grossa portata si è lavorato solo a ridosso. Sono state attribuite infatti molto tardi le responsabilità operative (come si può verificare facilmente da tutte le testimonianze ufficiali dei protagonisti della vicenda). E le informazioni sono circolate male e in ritardo.
Si parla di un rapporto dei Servizi segreti giunto nelle mani dei responsabili dell’ordine pubblico solo il 20 luglio. L’altra cosa clamorosa che, oltre al mistero della effettiva “catena di comando”, ci lascia tutti sbalorditi, è il bilancio delle azioni dei reparti di Polizia e dei Carabinieri. Nella preparazione a Genova e nei documenti ufficiali si era data una indicazione precisa: massima attenzione ai black bloc, distinguendo i manifestanti in pacifici, violenti e infiltrati. Si era detto di evitare lo scontro e le cariche con il corteo dei manifestanti e di accerchiare, con azioni veloci, i rappresentanti delle cosiddette tute nere, i black bloc di cui per molti di loro, soprattutto degli stranieri che avevano partecipato alla manifestazione di Goteborg, si avevano le generalità. E invece, a Genova, è successo esattamente il contrario: è stato caricato il corteo e i black bloc hanno scorrazzato a piacere, distruggendo cose e attaccando poliziotti e perfino il carcere di Marassi. Si è voluto far credere all’opinione pubblica, che il problema di Genova fosse quello di garantire la “zona rossa”. E invece esistevano anche zone “gialle” e “verdi” di importanza strategica. Si è blindata la città, si è creato il “muro” e la “frontiera”, e non si è stati in grado di stare al passo delle azioni veloci della guerriglia urbana. Qualcuno, penosamente, ha detto che le Forze dell’ordine erano impreparate alla guerriglia urbana e che a Genova si è verificato un evento straordinario che ha spiazzato tutti, quando poi in quei giorni si è notata la presenza di parlamentari e perfino uomini di governo nelle sale operative. Ma come mai c’è stata un’attenzione così vicina agli eventi e un coordinamento così lacunoso? Come è possibile che certi politici si siano mobilitati personalmente e che poi gruppi operativi ultra specializzati siano rimasti isolati in piazza? Sono i misteri della politica mediatica e di facciata.
In realtà a Genova è successo anche altro e forse è proprio su questo “altro” che chi ha interesse a difendere realmente l’operato della Polizia e i livelli di democrazia nel nostro Paese dovrà lavorare.
A Genova – e questo è l’aspetto “vittorioso” e più insidioso di cui parlavamo sopra – si è sperimentata un’altra Polizia e un’altra gestione dell’ordine pubblico e della sicurezza. Si sono tentate le prove di una svolta autoritaria, vendicativa, violenta. Siccome – si pensa – le manifestazioni di protesta continueranno a crescere e siccome i margini di dialogo saranno sempre più ridotti, allora tanto vale prepararsi a ricominciare a sparare in piazza, a far saltare qualsiasi tipo di mediazione. A chi ripropone la politica delle armi contro l’arma della politica, si risponde con una nuova “militarizzazione”. È un progetto, secondo il nostro punto di vista, di una gravità estrema, che rischia di vanificare anni di lavoro per far crescere una Polizia all’altezza della civiltà, una Polizia vicina ai cittadini, che lavora ogni giorno al servizio dei cittadini. Lavoratori per i lavoratori. Ora, invece, si potrebbe tornare velocemente all’immagine del poliziotto che spara contro i manifestanti, allo sbirro infido e violento da cui guardarsi. A questo dovrebbero pensare tutti quei poliziotti e quei sindacalisti e quei politici che in questi giorni, dopo Genova, hanno parlato di abbandono e di isolamento e perfino di criminalizzazione della Polizia. Dovrebbero pensare, costoro, a che gioco si vorrebbe farli giocare e farci giocare.
Ps: per ragioni tipografiche, per non ritardare l’uscita di questo numero di settembre, abbiamo deciso di pubblicare sulla manifestazione di Genova solo una testimonianza diretta di un nostro collaboratore. Dopo la montagna di materiali e di testimonianze già pubblicate da tutti i tipi di giornali non possiamo certo competere a distanza di così tanto tempo. Il nostro compito, piuttosto, è quello di tentare di dare un contributo di analisi. Per questo nel prossimo numero cercheremo di cominciare a rispondere alla domanda che ci sembra davvero centrale dopo i fatti di Genova: quale ordine pubblico si prepara in Italia? Come si sta trasformando la Polizia?
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