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luglio / agosto/2001 - Interviste
1981-2001
la nostra volontà di ferro
di Pasquale Sambuco

Desidero far giungere un mio pensiero, nell’occasione del ventennale della Riforma della Polizia. Vorrei tanto sbagliarmi, ma ho fondati dubbi, che oggi, pochissimi sanno che la Riforma fu conquistata duramente, dico molto duramente, perché allora, non si doveva superare solo la resistenza del ministero dell’Interno, i suoi dualismi, ma soprattutto quella delle forze politiche, le quali tutto pensavano, tranne che all’aggiornamento democratico della Polizia.
Le forze politiche di allora, restarono traumatizzate alla richiesta di smilitarizzazione e sindacalizzazione; ricordo che la stampa dell’epoca titolava “Vogliono disarmare la Polizia”. Purtroppo i cittadini ci credevano.
L’allora “Movimento per la smilitarizzazione e sindacalizzazione della Polizia” intensificava gli sforzi, facendo riunioni per coinvolgere la maggior parte dei poliziotti e questo, ricordo, fu il passo facile direi, perché in tutte le province la percentuale dei firmatari aderenti era del 90/93%. Fu questa la risposta più incoraggiante, anche se era nelle previsioni scontata.
Ricordo che i poliziotti più coraggiosi avevano una unica possibilità: tormentati e martoriati dai metodi di servizio, dai “moduli”, erano esasperati e trovavano coraggio scrivendo al compianto Franco Fedeli esprimendo le doglianze delle ingiustificate illogiche vessazioni che andavano subendo. Fedeli scrisse un libretto dal titolo “Eroi senza medaglie”.
Ma il desiderio, la volontà ferrea dei poliziotti era tanta, che pur dovendo sottostare a quei modelli di servizio illogici, senza scopi, cercavano in ogni modo di arrivare ad una riforma.
Ricordo che tanto più era viva la forza dei poliziotti riformisti, quanto più era dura la resistenza ministeriale e parlamentare; nonostante gli sforzi, non riuscivano mai a dire si, ma sempre il classico ni.
Ricordo che la proposta di riforma subì 11 o 12 rinvii, con altrettante correzioni. Chi proponeva il “Comitato dei bussolotti”, chi le Commissioni paritetiche, chi sceglieva di non smilitarizzare la Polizia stradale, e tante tante altre simili proposte che non stavano né in cielo né in terra.
Un ultimo colpo finale lo dette, mi pare l’on. Piccoli, che volle presentare una riforma tutta del suo gruppo, che non poteva essere accettata da noi.
Qui, ricordo i suggerimenti di Fedeli, Ambrosini, Lama, Marini e i tanti poliziotti della Capitale, fra essi sempre l’anima della Riforma, il generale Felsani: di accettare la riforma comunque essa fosse, anche la più strampalata. Angela Cammarano sindacalista abruzzese, consorte di un poliziotto che aveva trovato la fortuna di lasciare la Polizia per un impiego civile, ma che aveva lasciato nell’animo della consorte la realtà dolente della nostra vita, cercava di convincerci, dicendo “con i contratti tutto si può raddrizzare; il necessario è ottenere di sedersi allo stesso tavolo”. Che donna coraggiosa, quanto coraggio dimostrò per aiutarci in ogni modo!
Contemporaneamente occorreva tenere fermo l’irrequieto D’Alberto, che con 2 processi al Tribunale militare della Capitale, era disponibile a tutto, spericolato com’era (direi com’è tuttora) incurante di tutto, sosteneva riunioni a destra e a manca, ricordo i numerosi suoi articoli sulla stampa dove definì un colonnello della Polizia come Pinochet.
Che dire poi della riunione a Vico Equense? Voci circolavano che il Ministro dell’Interno aveva disposto 600 carabinieri per farci arrestare, se noi avessimo deliberato il tesseramento.
Noi eravamo più di mille e ci domandavamo: sarà attendibile la minaccia? Perché sì, eravamo poliziotti dai metodi arretrati, ma la nostra mente non era altrettanto. Alla pausa del pranzo tutti eravamo presi dalla soluzione non remissiva e legittima contemporaneamente. Ci dicemmo: ma dove troverà mai il Ministro lo spazio per contenere in carcere i poliziotti riformisti?
Decidemmo il tesseramento; poi seppi che v’erano state telefonate interlocutorie fra il Ministro ed i nostri vertici del Movimento.
Un fatto mi preme ricordare, per l’amore della verità. Il generale Enzo Felsani, il più quotato per essere nominato tenente generale della Polizia, quindi in pectore, non fu mai promosso, proprio perché era riformista. A lui fu preferito altro che non aveva la stessa capacità e soprattutto la sua cultura democratica dell’essere cittadino e voler essere cittadino poliziotto.
Quante mortificazioni quest’uomo andava subendo! Ma, dall’altra parte c’eravamo e ci siamo noi, che come contrappeso, gli dobbiamo eterna riconoscenza.
Ripensando alle sofferenza di altri riformisti, ricordo quanti di essi, oggi, non sono più tra noi. Ma lo sono e resteranno nei nostri cuori, nelle nostre menti.
Una sera, sentivo parlare di Forleo alla televisione: quanti travagli ha subìto, Ciccio carissimo; il tuo carattere non abbisogma di incoraggiamenti perché sei razionale, consapevole dei tuoi legittimi comportamenti, quindi vai avanti. Tu sei sempre nella nostra mente, ti guardiamo come guida nel servizio della Polizia di oggi.
I riformisti della Polizia, non hanno mai pensato alla propria utilità, convenienza, promozione, ma solo a rendere un servizio più preparato, più capace di rispondere alle crescenti quotidiane richieste dei cittadini. Nessuno ha pensato di fare la Riforma per ottenere qualche cosa. Importante è aver ottenuto che anche l’Agente avesse la possibilità di percorrere tutti gli scalini dell’Amministrazione, che fosse remunerato come cittadino non di serie B, che possa dire la propria opinione anche attraverso i sindacati di Polizia (che sono tanti).
Pasquale Sambuco - Teramo

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