Vengo affettuosamente richiesto di dare un contributo nell’occasione del Ventennale della istituzione della Polizia di Stato. Sia pure ben modestamente ritengo di non potermi sottrarre a tale richiesta formulata da un direttore di “Polizia e Democrazia” che è ben degno di essere subentrato a Franco Fedeli. Dico subito che quando io scrivo o penso di Franco Fedeli, un moto di commozione mi invade. Era un uomo preparato e disinteressato, in cui la forza dell’ideale prevaleva su ogni altra spinta emotiva e morale. Davvero egli è morto esausto per il lavoro tremendo che ha dovuto svolgere per portare a termine la battaglia per portare, nell’istituto allora ancora chiuso della Polizia, lo spirito della democrazia.
Si affollano alla memoria tanti e tanti episodi”: le tumultuose assemblee iniziali dove, piano piano emergevano gli uomini che avevano capito l’impegno di Franco e che si schieravano apertamente per esso. Assemblee dove, con il massimo della libertà, vi era anche un concreto pericolo, che più volte colpì. Un tipo di assemblee di questa natura, uno sciopero di questa natura, una sfilata pubblica di questa natura, qualunque articolo che in materia venisse scritto, veniva passato alla vigilanza dei “superiori” tesa individuare forme di violazioni penali.
È il caso di sottolineare un aspetto che forse altri non riterranno di riprendere e cioè che se oggi viviamo in uno stato in cui la Polizia non è un Corpo militare, se viviamo in una organizzazione politica dove la Polizia è un prezioso aiuto per gli accertamenti della verità e fa ben più leva su questi che sullo sfilare in pompa magna e su carri armati, dobbiamo guardarci indietro e sapere che cosa era l’organizzazione della Polizia qualche decennio fa. La drastica scure di Scelba e dei suoi amici aveva tentato di tagliare in un modo netto ogni filo di collegamento democratico delle Forze di polizia con la Resistenza e con la Costituzione.
Licenziamenti, potere di ferro dei questori, rigida disciplina erano le armi con cui si volevano allevare non degli uomini partecipi del grande lavoro che la nazione intera stava facendo per crescere e per prosperare, ma solo dei rabbiosi esecutori di ordini. Ancora oggi certi ricordi non sono del tutto passati, ma è certo che allora più che la ragione valevano i colpi di manganello e più che la discussione valevano le cariche della Celere: e talvolta anche le denuncie penali nelle quali siamo sempre stati, anche come difensori, fianco a fianco, nelle aule dei tribunali, ai poliziotti ingiustamente accusati.
Siamo a buon punto con le modifiche passando anche attraverso momenti drammatici, come tutto il quesito se la nuova Polizia doveva essere o meno alleata alle grandi organizzazioni sindacali; se le spettava o meno il diritto di sciopero; se le spettava o meno l’esercizio dei diritti concessi a tutti i cittadini. Battaglie compiute con senso della giustizia e della misura, ma alle quali bisogna rivolgersi per appunto ripercorrere il cammino fino ad oggi.
“Polizia e Democrazia” è il giornale che dice di ispirarsi a principi di attualità, ma è molto di più perché è il legame tra la Polizia e il mondo esterno e il modo con cui poliziotto e cittadino possono intendersi.
Io auspico vivamente che questo legame sia sempre più stretto e quell’accordo sempre più frequente, in nome di Franco Fedeli.
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