A Bologna una giuria di tutori dell’ordine (che ormai da cinque anni seleziona i Gialli da premiare) ha assegnato la palma del vincitore ad Alessandro Perissinotto per il suo “La canzone di Colombano”. L’intervento del professor Giuseppe Petronio
Una sala piena di poliziotti e letterati che discute e si appassiona parlando di letteratura di genere, ovviamente, poliziesco. È questo quanto è accaduto lo scorso 26 maggio nella sede della Scuola Superiore di Studi Umanistici della città di Bologna.
L’occasione è stata l’assegnazione del premio per il miglior romanzo poliziesco dell’anno dedicato alla memoria di Franco Fedeli. Ma in questo caso il detto “l’occasione fa l’uomo ladro” è valsa anche per poliziotti e letterati.
Grazie all’espediente del premio, infatti, la platea riunita nella sala bolognese ha pensato bene di “rubare” la mattinata per premiare il vincitore, certo, ma anche per parlare più in generale di letteratura poliziesca in Italia. Il risultato è stata una interessante discussione fra esperti di letteratura e tre dei cinque scrittori che si sono classificati per la premiazione finale.
La domanda di partenza è difficile per tutti e diversissime sono state le risposte: Perché scrivere o leggere romanzi gialli? “Ci sono alcune storie che sembrano quasi sprecate quando ad occuparsene è solo la cronaca – ha esordito lo scrittore e giornalista de La Repubblica Valerio Varesi, autore del romanzo in concorso “Bersaglio l’oblio”- è stato questo il caso della vicenda che racconto nel libro. Una famiglia normale, i Carretta, che scompare nel nulla da un giorno all’altro. Quella storia misteriosa mi ha affascinato da subito e dopo averla seguita in cronaca ho deciso di provare a farne un romanzo. Non saprei dire perché scrivo romanzi gialli ma sicuramente so che li leggo perché leggere vuol dire condividere e la caratteristica principale dei gialli è quella di mettere al centro il mistero. In un Paese pieno di misteri come l’Italia sembra quasi che l’unica soluzione per uscire dal dubbio sia immergersi negli enigmi anche solo in quelli dei romanzi”.
Di tutt’altro genere le motivazioni che hanno spinto Alessandro Perissinotto a scrivere “La canzone di Colombano”: “Ho scritto questo romanzo prima di tutto per difendermi dai cosiddetti discorsi da tram, quelli che iniziano con ‘ha visto che tempo oggi’ e finiscono tutti, inesorabilmente con ‘ai miei tempi non capitava’.
Con questo romanzo, basato in parte su documenti storici, che parla di appalti truccati, di omicidi e corruzione, tutto nel 1500, spero di aver trovato argomenti sufficienti per affrontare un po’ meglio i prossimi viaggi in tram”.
Infine la parola passa all’esordiente Leonardo Gori, autore di “Nero di maggio”, giovane scrittore dalle idee chiarissime: “Più che scegliere di scrivere un giallo io ho scelto il periodo storico in cui volevo ambientare il mio romanzo. E questo periodo sono gli anni trenta, un’epoca caratterizzata da un diffuso clima di corruzione in cui il personaggio e l’eroe è, una volta tanto, un personaggio integerrimo nettamente dalla parte del bene e contro il male”.
Tre romanzi gialli e tre modi nettamente diversi di guardare a questo genere letterario, dunque. A quadrare il cerchio ci pensano i tre studiosi presenti alla discussione: Renzo Cremante, Sandro Toni e Giuseppe Petronio. A quest’ultimo è toccato il compito di riassumere, con ammaliante dialettica, la storia del giallo.
Il famoso autore di tanti testi scolastici sulla letteratura italiana è anche un esperto e un appassionato di gialli e polizieschi: “Dagli anni ’50 in poi il romanzo poliziesco si è talmente trasformato e diversificato che è diventato impossibile darne una definizione univoca. Alcune ricette riescono meglio ed altre peggio ma poi dipende anche dai gusti dei lettori. Io posso sicuramente dire che quelli che mi piacciono meno sono i personaggi dei poliziotti che spesso compaiono sui nostri schermi televisivi. Questo malconcio poliziotto contemporaneo che anche mentre lavora è sempre lì che pensa ai suoi problemi personali! Beh, io a questa versione non ci credo proprio e penso che i poliziotti di oggi siano ben altri.” (L’intervento completo di Petronio è pubblicato in queste pagine).
In effetti, sicuramente diversi dal poliziotto televisivo che poco piace a Giuseppe Petronio sono i tutori dell’ordine che costituiscono l’anima e l’occhio del premio letterario Franco Fedeli. Infatti, la cinquina di libri che ha partecipato alla selezione finale (di cui facevano parte anche il romanzo di Carlo Lucarelli “Un giorno dopo l’altro” e quello di Luca di Fulvio “L’impagliatore”) era il risultato di un lavoro di selezione fatto per buona parte da poliziotti.
Sono proprio dieci di loro infatti a dedicare buona parte del loro tempo libero alla caccia e alla lettura di tutti i romanzi gialli e polizieschi pubblicati in Italia durante l’anno.
Dopo la lettura vengono scelti i cinque romanzi che partecipano alla seconda selezione. Questa volta a giudicare insieme ai poliziotti, ci sono anche studenti e docenti tutti accomunati da una comune passione per il genere.
E infine la scelta finale del vincitore. Quest’anno ad aggiudicarsi il premio (consegnato da Giuseppe Giliberti e Angela Fedeli) è stato il romanzo di Alessandro Perissinotto scelto perché, come si legge nelle motivazioni (riportata integralmente qui di seguito) “Il contrasto latente tra l’ossequio al potere costituito e la ricerca della verità scavalca le contingenze storiche e culturali, rendendo il passato vivo e attuale. I lettori – e soprattutto gli operatori della giustizia e dell’ordine pubblico – possono perciò immedesimarsi nelle difficoltà e nei conflitti interiori del protagonista. Né la fedeltà feudale, né la religione, né il sapere scientifico basteranno ad orientarne le scelte, fornendogli una soluzione che soddisfi il suo senso della giustizia”.
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