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luglio / agosto/2001 - Editoriale
Una società “tranquilla”
di Paolo Andruccioli

C’è una stranezza che circola in questo periodo. Da una parte abbiamo giornali e televisioni pieni di scontri, conflitti, manifestazioni che preoccupano un po’ tutti. È, insomma, lo spettro di Seattle che si aggira non solo in Europa. Dall’altra parte abbiamo invece studiosi, commentatori, esperti, politici e gente varia che sostengono - sia da destra che da sinistra - che il conflitto è finito, che la classe operaia che aveva spaventato la borghesia non esiste più. È piuttosto superata dalle nuove tecnologie, è stata sconfitta e messa in un angolo da dove non si potrà più muovere. E che soprattutto i nuovi modi di produrre hanno cancellato le vecchie fabbriche, roccaforti della protesta e delle radici dei sindacati industriali moderni. Oggi, sostengono autorevoli centri studi, emerge una nuova figura, quella del lavoratore individuale che non è più il vecchio lavoratore autonomo e neppure il vecchio lavoratore dipendente. I giovani lavorano tutti a tempo determinato, la flessibilità è diventata un paradigma indiscutibile.
Giuseppe De Rita, il padre del Censis, il creatore di un centro studi sociali fucina di “inventori” di teorie per compredere la società, confessa di essere abbastanza spiazzato dalle profonde trasformazioni che segnano la nostra storia più recente. De Rita ammette cioè che il conflitto nel quale egli è cresciuto e che ha permesso all’Italia di diventare un Paese sviluppato e civile (dagli anni Sessanta agli anni Ottanta), ora non esiste più, almeno in quelle forme. E che forse non esisterà più. Il Censis, per esempio, aveva messo in campo una serie di ricerche all’inizio di quest’anno prevedendo lo sbocciare di nuovi conflitti legati alla devolution, alla riforma delle pensioni, al rinnovo dei contratti nazionali di categoria, alla riforma della scuola e via dicendo. E invece, almeno fino a questo momento, tutti questi temi sembrano in qualche modo riassorbiti, “governati” da un sistema senza volto.
Nel mese di giugno c’è stato anche il XIV Congresso nazionale della Cisl. I sindacalisti dell’area cattolica, che hanno maturato anche una certa rottura con il loro ex segretario nazionale Sergio D’Antoni, ora in carriera nella politica, hanno discusso per quasi tutta una settimana delle nuove forme che deve assumere la rappresentanza sindacale e quindi la rappresentanza del conflitto sociale. Per schematizzare - e mi perdoneranno i lettori per le possibili approssimazioni del discorso dovute alla necessità di sintesi - potremmo dire che la Cisl supera la vecchia contrapposizione tra sindacato conflittuale e sindacato moderato e filo governativo. La Cisl ribadisce che non sarà un sindacato delle lotte e dell’opposizione sociale, ma che non sarà neppure il sindacato del governo. La Cisl sceglie piuttosto un’altra strada. Siccome le classi lavoratrici sono scomposte e divise e siccome i lavoratori sono (e si sentono) sempre più soli, sarà necessario organizzare un sindacato che offra servizi piuttosto che organizzare scioperi e manifestazioni. Un sindacato che si dedichi alla raccolta dei soldi per i Fondi pensione, che accompagni i lavoratori che sono stati licenziati (essendo a tempo determinato) verso un’altra possibile occupazione, che dia ai cittadini delle consulenze su più piani, a partire ovviamente da quello fiscale, cosa che succede da anni con i Caf.
La Cgil, il più grande sindacato italiano, si prepara anch’essa ad affrontare le questioni di fondo. Lo farà in particolare con un congresso che il segretario generale, Sergio Cofferati, aveva preferito posticipare alle elezioni politiche per non sovrapporre i piani. Nella Cgil il dibattito politico e sindacale è molto diverso. Così anche il giudizio sul conflitto, la partecipazione dei lavoratori e il ruolo del sindacato nella società assumono aspetti diversi. Ma anche la Cgil deve affrontare le questioni di fondo, ovvero come si possano rappresentare questi milioni di lavoratori mobili, individuali, che saltano di qua e di là. Quale sindacato sarà possibile in un futuro descritto come l’epoca del lavoratore nomade? Che cosa si sostituirà al conflitto industriale quando le fabbriche avranno progressivamente perso il loro peso in Italia, perché magari anche le nostre aziende preferiranno avvalersi del lavoro a costo inferiore degli operai da “terzo mondo”?
Non sono problemi che riguardano solo i sindacati, perché ha ragione De Rita che il conflitto è stato (in Italia), ma anche nel resto del mondo, il motore dello sviluppo, della crescita di una nazione e dell’economia. La confusione su questo terreno però è tanta ed è legata, ovviamente, anche alla crisi di una sinistra “postgovernativa”. Ma sono temi decisivi per il nostro futuro, per quello di tutti. Non è casuale il discorso sulla sfasatura comunicativa a cui facevamo riferimento all’inizio di questo articolo. L’esito peggiore al quale possiamo andare incontro è infatti smetterla di vedere i conflitti sociali reali per farli diventare una sorta di “metaconflitti”. Si negano tutte le contraddizioni, i tanti problemi della società italiana (ma soprattutto del mondo intero) per spostare il discorso sul controllo e l’ordine pubblico. Il conflitto, il dissenso, la contestazione - da qualsiasi parte essi provengano - sono problemi di ordine pubblico e quindi di Polizia e di Eserciti. Si vuole alzare il livello di uno scontro che poi si dice essere morto. È una situazione molto preoccupante e che potrebbe dare adito ad esiti imprevedibili e cupi. Qualcuno, alla vigilia della riunione del G8 a Genova, ha messo l’accento sui 200 sacchi mortuari preparati per l’occasione. Altri hanno rilasciato dichiarazioni in televisione per dire che alcuni manifestanti sono pronti a tutto. A che gioco si vuole giocare dunque?
Crediamo che questi siano temi decisivi su cui torneremo sicuramente. E sono problemi che interessano i cittadini, ma anche, ovviamente, i poliziotti. Sta per cambiare infatti il ruolo della Polizia italiana, o forse quel ruolo nella società che avevamo conosciuto e per cui si è lottato per tanti anni, è già cambiato? Che cosa si devono aspettare i poliziotti per i prossimi mesi? Devono cominciare a vedersi di nuovo perennemente in piazza?

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