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giugno/2001 - Interviste
Criminalità
Quando la donna si difende
di Carlo Bernardi

Secondo sondaggi di vario genere, è la popolazione femminile quella che più teme gli attacchi del cosiddetto “crimine predatorio” (scippi, violenze, ecc.). L’ autodifesa affidata ad un’arte marziale: il Wing Tsun

C’è chi è stata scippata e non ha saputo opporsi agli aggressori. Chi, invece, è stata bloccata da un bruto nell’ascensore, molestata sessualmente e abbandonata in lacrime sul pianerottolo. Non sono casi isolati, ma accadono sia nei quartieri “bene” che in quelli periferici delle grandi come delle piccole città, aumentando inevitabilmente in estate soprattutto per la maggiore vita notturna e all’aperto. Vittime di questi episodi le donne, che registrano anche una maggiore paura della criminalità rispetto alla popolazione maschile. Nell’indagine del ’98 sulla sicurezza dei cittadini eseguita da Marzio Barbagli, ordinario di sociologia presso l’Università di Bologna, risulta, infatti, che la percentuale delle donne che ha paura supera sempre nettamente quella degli uomini in tutti gli indicatori. In certi casi è una volta e mezzo maggiore, in altri è il doppio, in altri addirittura il triplo. Così, ad esempio, la quota di chi si sente poco o per niente sicuro a casa propria di sera è il 5% sulla popolazione maschile, il 18% su quella femminile. Inoltre, a sentirsi poco o per niente sicuro quando cammina da solo di sera nella zona in cui vive è il 17% degli uomini (4 milioni e 104 mila) e il 40% delle donne (10 milioni e 120 mila). Viene alla luce, quindi, con sempre maggiore rilevanza, un sommerso di violenza nella sfera privata, nelle reti di amicizie e di rapporti familiari, che più difficilmente possono essere contrastati con la sola maggiore sorveglianza delle Forze dell’ordine nei luoghi pubblici.
Gran parte delle violenze o tentate violenze sessuali, ad esempio, maturano in luoghi vicini alla sfera privata e intima delle vittime, e a queste risultano inattese e spesso imprevedibili. Una situazione, dunque, che condiziona la popolazione femminile che non si sente libera di uscire la sera, che deve adottare comportamenti di prevenzione, che è costretta ad autolimitarsi nelle attività quotidiane. E tutto ciò proprio in un momento in cui cresce la libertà femminile, il livello culturale delle donne, e aumentano le aspettative di contare di più nella società nel suo complesso. Oltre a ciò, sulla base dell’indagine Multiscopo dell’Istat, presentata lo scorso anno, si evidenzia che il 4% del totale delle donne italiane ha subìto uno stupro o un tentativo di stupro. Non risulterebbe denunciato, inoltre, il 93% dei tentativi di stupro e l’82% degli stupri.
Ma perché vi sono differenze così forti fra donne e uomini riguardo alla paura e al senso di sicurezza? Queste differenze non sembrano a prima vista giustificate dal rischio che corrono i due sessi di subire un reato. Se le donne vengono più spesso borseggiate e scippate, gli uomini sono più frequentemente aggrediti e rapinati. Per Barbagli, tuttavia, è un errore considerare la paura delle donne come “irrazionale”, frutto di un’immagine deformata della realtà prodotta magari dall’allarmismo dei mass media. È invece ad altri fattori che bisogna ricondurre l’alta quota di persone insicure per strada o a casa: “Se le donne, infatti, hanno molto più spesso paura degli uomini - spiega - è innanzitutto perché esse corrono un rischio che gli uomini non conoscono: quello delle molestie e delle violenze sessuali, che non conosce differenze di rilievo nei diversi mesi dell’anno. Ma anche questo non basta. Se la paura è più diffusa fra le donne è probabilmente perché sono più vulnerabili e perché percepiscono le conseguenze che possono avere per il fatto di subire un reato”.
Per vulnerabilità si intende la mancanza o la scarsità di mezzi per difendersi da un attacco, nel momento in cui questo si verifica o nel periodo successivo. Una difesa che le donne trovano obiettivamente difficile da organizzare anche sul piano dell’autodifesa personale, attraverso, ad esempio, la pratica delle arti marziali. Il motivo risiede essenzialmente nel fatto che le discipline tradizionali di arti marziali, nonostante l’aumento della domanda di sicurezza che si registra ovunque, non offrono purtroppo risposte convincenti a chi è “svantaggiato” rispetto al proprio aggressore dal punto di vista della corporatura e della muscolatura. È la situazione che si propone alle donne nella quasi totalità dei casi. Che fare allora? Occorre proprio abbandonare ogni speranza sul terreno dell’autodifesa personale? E trascurare, quindi, anche la possibilità di riuscire a tirarsi fuori da una situazione apparentemente senza scampo?
La risposta è sicuramente no, perché proprio nella giungla delle discipline di arti marziali esistenti, emerge per un pubblico più prettamente femminile, di qualsiasi età, soprattutto un sistema di autodifesa: il Wing Tsun. Il miglior sistema di difesa personale a mani nude, essendo arte marziale allo stato puro e non sport.
Semplice il motivo che porta a preferire questa forma di difesa personale, la cui efficacia è riconosciuta a livello mondiale (nata 300 anni fa in Cina da una donna, IYim Wing Tsun, da cui ha preso il nome) e che da sistema di difesa personale tramandato praticamente solo all’interno delle famiglie e dei clan e pensato, in particolare, per le donne, si è evoluta fino ad “adattarsi” alla mentalità e alle esigenze occidentali.
Il Wing Tsun, infatti, è un’arte marziale che non utilizza la forza muscolare, ma sfrutta le naturali attitudini fisiche e le reazioni istintive, permettendo alle donne, in svantaggio, come si diceva, sotto l’aspetto della forza fisica, di avere la meglio su di un aggressore in pochi secondi, colpendo esclusivamente punti vitali. L’obiettivo del Wing Tsun, infatti, è abbattere l’avversario un secondo dopo che è iniziato il combattimento, attraverso una naturale capacità di difendersi, applicando i principi del “cuneo”, della cedevolezza, senza mai indietreggiare e tenendo ben presente che non esiste differenziazione tra l’attacco e la difesa, in quanto tutto viene fatto in un solo movimento. Tutto ciò perché è impensabile ipotizzare un combattimento alla pari tra un uomo e una donna. E neppure pensare ad una difesa dai tempi lunghi, perché anche un solo colpo subìto, in presenza di una evidente disparità fisica, potrebbe avere esiti definitivi.
Il Wing Tsun consente alle donne, quindi, la possibilità di difendersi realmente, perché punta a creare innanzitutto un atteggiamento mentale, lavorando sui principi di prevenzione del pericolo, insegnando ad andare avanti, reagendo in modo istintivo e non legato a schemi fissi. Un “atteggiamento” vincente, perché quando ci si trova sotto pressione per un pericolo incombente, questo aiuta ad avere maggiore sicurezza e, quindi, a sentirsi più tranquilli e rilassati anche nello svolgimento delle normali attività della vita quotidiana e nell’affrontare i problemi di tutti i giorni. Non lasciare, inoltre, né spazio né tempo di organizzare l’attacco insegna a sfruttare la forza dell’aggressore e a ritorcergliela contro. Attraverso un allenamento intensivo le donne possono imparare, quindi, a “prendere in prestito” l’energia dell’aggressore tramite un cedimento controllato; una carica che viene restituita intatta al mittente.
Il concetto di autodifesa che viene impartito nei corsi non è una tecnica, ma parte dalla testa. Chiunque può impararlo, quindi, preparandosi, soprattutto mentalmente. Oltre a ciò, insieme alle allieve si studia come prevenire l’aggressione rispettando una serie di precauzioni, per uscire nel modo più indolore possibile da episodi che altrimenti potrebbero sfociare in qualcosa di peggio.
Ciò che serve, infatti, è qualcosa che vada al di là dei consigli formali, puntando, invece, a dare alle donne la possibilità di vincere la paura e di prevalere in un “corpo a corpo” con un eventuale maniaco grazie a combattimenti simulati, che insegnano praticamente come affrontare efficacemente l’avversario, o ancora a sfuggire a tentativi di strangolamento o di stupro.
Alle allieve, pertanto, viene impartito un insegnamento completo sia dal punto di vista pratico che teorico, tenendo anche conto che la legge autorizza il cittadino a difendersi in caso di aggressione. L’articolo 52 del Codice penale recita, infatti, che “non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro un pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa”.
La parte psicologica, inceve, si basa soprattutto sullo stimolare la capacità di reazione della vittima, sulla sua capacità di concentrazione, perfino sul tipo di respirazione che bisogna mantenere in caso di pericolo per manifestare un’aggressività proporzionata alla minaccia subita. Per ulteriori informazioni potete contattare il Sifu Carlo Bernardi che insegna a Roma al 0347/3414035 o scrivere alla sua e-mail ssowt@tiscalinet.it, oppure all’Accademia nazionale sita a Livorno e presieduta dal Sifu Filippo Cuciuffo la quale sarà ben lieta di fornirvi tutte le informazioni necessarie riguardo alle scuole dislocate su tutto il territorio nazionale.

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