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giugno/2001 - Editoriale
Cronache di ordinaria violenza
di Paolo Andruccioli

La cronaca continua, inesorabile, a bombardarci di notizie odiose e tristi al tempo stesso. A volte sembra proprio che i media si siano accordati nel voler mettere a fuoco il lato più oscuro dell’umanità. Notizie di guerra a due passi da noi, bambini palestinesi uccisi dalle pallottole e dalle bombe israeliane, ragazzi israeliani massacrati e fatti a pezzi in una caverna perché considerati colpevoli di un reato particolare: essere ebrei. E qui da noi, più vicino, quasi sotto casa, magari al portone accanto al nostro, scopriamo che un gruppo di bambini e di adolescenti è stato per mesi in ostaggio e nelle mani di pedofili “insospettabili”. Poi ancora, sempre nelle nostre città, anzi sempre a Roma, veniamo a sapere di un pestaggio contro un ragazzo con la pelle un po’ più scura della nostra, attaccato e malmenato dal “branco” che non ha voluto risparmiare neppure un suo giovane amico dodicenne che ha osato difenderlo, un bianco che difende un “negro” contro altri bianchi.
È molto difficile in questo contesto e di fronte a queste notizie controllare e respingere da noi il senso di nausea e di rabbia che ci prende come quando sentiamo di aggressioni senza alcun senso, di omicidi assurdi, magari per una lite per un parcheggio o per una rissa in discoteca degenerata in calci, pugni, bottigliate sulla testa. Bisogna continuamente fare appello alla freddezza del giudizio e a tutte le nostre risorse, anche perché un dato, tra gli altri, ci sembra di cogliere tra tutte queste notizie di cronaca nera: il lato più brutto, più criminale dell’uomo sembra che venga alla luce in relazione alla parte più bambina dell’umanità. Le peggiori atrocità - che sono orrende di per se stesse – si accompagnano e si legano sempre più spesso agli esseri più indifesi della società. Il crimine più orrendo ci appare ancor più odioso e schifoso quando viene consumato contro e sui minori. Un doppio crimine, una doppia offesa a tutta l’umanità che – dopo – si sente inevitabilmente più sporca, meno sicura, più angosciata. E spesso è un’angoscia esistenziale che supera le pur legittime paure personali, quelle dei genitori preoccupati che i propri figli siano stati violentati, o magari fotografati a fini di lucro.
Di fronte a tutto ciò bisogna far ricorso alla ragione e al diritto, nonostante la voglia serpeggiante di dare libero corso, libero sfogo agli istinti peggiori. Il rischio più grande che ci sembra di cogliere in questo preciso momento storico è proprio quello di ritornare a creare il mostro quotidiano e a invocare la legge del taglione. Sono temi molto delicati e diventa persino spiacevole scriverne. Figuriamoci poi come si devono sentire tutte quelle persone che sono state (o sono) vittime delle violenze. Verrebbe persino voglia di fare finta di niente, di girarsi dall’altra parte per non guardare, di non scriverne nulla, non commentare, non discettare qualcosa di intellettuale. Ma da altre parti si vuole invece calcare la mano proprio su queste nefandezze che vengono utilizzate, sbattute in prima visione, scarnificate. La violenza, specie se è contro gli esseri più indifesi come i nostri figli, fa sempre notizia, quindi rende anche dal punto di vista commerciale. Potremmo dire che oggi siamo di fronte – tra gli altri – al business del sangue.
La prima cosa da fare, quindi, almeno secondo il nostro punto di vista, è quella di rifiutare la logica del “mostro”. Dobbiamo fornire una informazione seria e dettagliata di tutto ciò che avviene, anche delle peggiori nefandezze. Ma dobbiamo al tempo stesso produrre una grande mole di informazione di qualità. Dobbiamo saper accompagnare i nostri figli, stare loro vicini, parlarci, comprenderli, insomma seguirli senza opprimerli. Dobbiamo tentare in tutti modi di evitare di trasmettere loro le angosce e paure che sono le nostre. Dobbiamo respingere la logica del terrore, cercando di dare strumenti concreti ai bambini e agli adolescenti per difendersi da tutti i potenziali pedofili e maniaci (dentro e fuori le famiglie); dare loro strumenti e un allenamento continuo per difendersi da tutti i potenziali assalitori, dalle violenze dei vari “branchi”, siano essi quelli di scuola o quelli certamente più spettacolari dello stadio.
Sappiamo da sempre che il male esiste, che la violenza caratterizza la specie umana. E sappiamo da sempre che per affrontare il male (e magari sconfiggerlo) si deve prima di tutto conoscere. Perciò dobbiamo dire chi sono i pedofili, che cos’è la pedofilia, ma non dobbiamo evocare il mostro dietro l’angolo. Si devono dare indicazioni ai ragazzi per difendersi, ma si deve soprattutto organizare una seria educazione sessuale nelle scuole. L’oscurità – pensavano gli antichi e gli Illuministi – si combatte con la luce, non con altre ombre, con altra confusione che si aggiunge alla nostra quotidiana confusione sulle cose del mondo. Certo ci meraviglia che un ex poliziotto possa essere a capo di una “banda” di pedofili. Come è stato possibile? Come mai i parenti lo difendono, come difendono il bidello della scuola di Roma dove sarebbero stati girati i film pornografici con i bambini? Aspettiamo l’esito delle indagini e le decisioni della magistratura, ma non facciamo l’errore di meravigliarci perché il male esiste. Ci conviviamo ogni giorno, conviviamo ogni giorno con una società violenta. Per questo dobbiamo educarci ed educare i nostri figli a valori e comportamenti diversi. Oggi è davvero una battaglia per la civiltà.
In questo contesto di nuova educazione a valori forti che purtroppo vengono calpestati ogni giorno dai luoghi comuni imperanti (dalle teorie sul più forte, sulla competizione senza regole, sui soldi e la ricchezza), spicca il gesto di quel ragazzo di dodici anni che ha osato mettersi contro i suoi compagni di scuola con il colore della sua pelle per difendere un altro compagno di scuola con la pelle di colore diverso. Non stiamo facendo retorica, né tantomeno ci interessa inventarci degli eroi – che troppo spesso vengono usati come l’altra faccia del mostro. Vogliamo sottolineare, tra le notizie di cronaca varia, il gesto di quel ragazzo che ora ha paura insieme ai suoi genitori che non si sentono tranquilli nonostante sia stato deciso di scortarlo a scuola per evitare nuove aggressioni del branco razzista del Tufello, un quartiere di Roma da sempre periferia e pieno di problemi sociali, ma che non era stato mai teatro di simili scorribande. Ci piace ricordare il coraggio di quel ragazzo, che ha reagito alle violenze da solo, perché fa parte della cronaca, come tutto il resto. La morale della storia costruitela da soli. Se volete.

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