Con quel titolo – “La putain de la République”, superfluo tradurre – Madame Christine Deviers Joncour ha assicurato una notevole risonanza sia al suo libro autobiografico, sia al processo Elf, nel quale è imputata insieme all’ex ministro degli Esteri Roland Dumas, con il quale ebbe una lunga relazione negli anni ’90, e ad altri personaggi di primo e secondo piano. A prima vista potrebbe sembrare una sorta di vaudeville amoroso senza lieto fine, ma non è così. In realtà, Madame Deviers Joncour – che dal 1989 al 1993 incassò dall’Elf, l’ente petrolifero di Stato, l’equivalente di venti miliardi di lire -, non è la protagonista, ma appena una comparsa di quel processo, e in generale di quello che può essere definito “l’affaire Elf”, che in terra di Francia è stato in un certo senso la “madre di tutte le tangenti”.
E non da oggi, né da ieri, ma addirittura da prima che Elf esistesse, quando, negli anni ’50, si chiamava Société Nationale des Pétroles d’Aquitaine: nel 1952 fu scoperto il grande giacimento di gas naturale di Lacq, e i dirigenti della società petrolifera comunicarono in via riservata la notizia all’allora ministro dell’Industria e dell’Energia, Jean-Marie Louvel (Mrp, Mouvement républicain populaire, equivalente della nostra Dc), che con altrettanta discrezione la passò, dopo qualche giorno, al capo del governo, il radicale Edgar Faure. Morale della favola: passano ancora alcune settimane, e quando la notizia viene resa pubblica chi nel frattempo ha acquistato azioni della Pétroles d’Aquitaine vede il loro valore più che quadruplicato. Chi ? A pensar male spesso si indovina, e del resto all’epoca non esisteva ancora il “délit d’initié” , l’utilizzazione per operazioni di Borsa di informazioni privilegiate.
L’Elf nasce nel 1967, per decisione di De Gaulle, fondatore e presidente della Quinta Repubblica. Il Generale vuole una società petrolifera nazionale che controbatta il predominio delle grandi compagnie americane e britanniche, che dipenda quindi dal potere politico (il suo, in quel momento), e (questo beninteso non viene detto ufficialmente) sovvenzioni, in varie forme, il partito gollista, l’Unr. Un qualcosa di molto simile, in tutti i sensi, all’ Eni italiano. Alla testa dell’Elf il Generale chiama Pierre Guillaumaut, figura di spicco della Resistenza, ministro della Difesa di De Gaulle nel 1958, e soprattutto artefice dello Sdece, il servizio segreto militare. E l’impronta dei servizi segreti - come sottolinea Airy Routier, autore nel 1998 di “Forages en eau profonde. Les secrets de l’affaire Elf” (Grasset) – è sempre rimasta, anche dopo la dipartita di De Gaulle, con Georges Pompidou, Valery Giscard d’Estaing, e, dal 1981, François Mitterrand, il Presidente socialista.
Compito della società petrolifera era la difesa degli interessi dello Stato, e sul mercato mondiale questa difesa richiedeva a volte l’impiego di mezzi che sarebbe stato difficile palesare, tutti basati su un oculato uso del denaro che l’Elf, grazie ai suoi grandi profitti, era in grado di elargire, senza eccessivi controlli. Esemplare resterà il caso detto degli “aerei annusatori” : più di un miliardo di franchi versato in Svizzera nel 1976, e dirottato nei conti di società domiciliate in vari paradisi fiscali, per l’acquisto del brevetto di un’invenzione che avrebbe permesso di scoprire dei giacimenti di oro nero semplicemente sorvolando le zone interessate. Quando nel 1983 l’evidente truffa fu denunciata, Pierre Guillaumaut e Valery Giscard d’Estaing, che aveva avallato l’operazione, fecero una figura barbina, ma nessuno ufficialmente avanzò sospetti di altro genere. Né la magistratura, né il potere politico, che da due anni era passato di mano, ma non era interessato a smuovere troppo le acque. François Mitterrand era socialista – pur se il suo Ps non era più quello storico della sinistra francese -, ma anche uomo di mondo. Aveva studiato, a modo suo, Machiavelli (era soprannominato “le florentin”), e ancora più quel Cardinale Giulio Mazzarino, grande primo ministro del giovane Luigi XIV, ma anche grandissimo corruttore e profittatore. Non a caso, forse, Mitterrand aveva dato a sua figlia il nome di Mazarine.
Nel 1989, il Presidente fa nominare presidente dell’Elf Loik Le Floch-Prigent, un politico-manager di cui si fida, e la musica continua, come in passato. Fino a che, nel 1993, dopo che le elezioni legislative hanno riportato la destra al governo (è la “coabitazione” resa possibile dalla costituzione francese), Le Floch-Prigent viene sostituito da Philippe Jaffré, che due anni dopo denuncia il suo predecessore. Questa volta i magistrati si muovono, e molte cose vengono portate alla luce. Certamente non tutte. D’altra parte, con la gestione Jaffré i canali delle commissioni pagate a destra e a manca, delle intermediazioni, non vengono chiusi: fino a che nel 1999 la società sarà acquistata da Total, per diventare TotalFinaElf. Nel frattempo le inchieste procedono. Ed ecco apparire i fondi distribuiti da una filiale Elf svizzera, a politici di destra e di sinistra, le commissioni pagate per la vendita di sei fregate a Taiwan, i 236 milioni di franchi versati a collaboratori di Helmut Kohl, quando era cancelliere, e ancora altro, tra cui i denari dati a Madame Christine Deviers Joncour, che avrebbe dovuto “influenzare” il suo amante Roger Dumas: il quale peraltro, già principe del foro, e molto ricco di suo, avrebbe solo ricevuto in dono, con una carta di credito dell’Elf, un paio di scarpe su misura.
Dal vaudeville si rischia quasi di passare alla pochade, ma la situazione è molto seria. Elf, sì, ma non solo Elf. Nella Quinta Repubblica gli “affaires” sono come le ciliegie, il finanziamento ai partiti chiama in causa lo stesso Jacques Chirac (che in quanto Presidente gode dell’immunità, ma nel dicembre scorso è andato a giustificarsi in televisione) ai tempi in cui è stato sindaco di Parigi e capo del governo, l’ex primo ministro Alain Juppé, il segretario del Partito comunista Robert Hue (il processo è stato sospeso), l’ex sindaco di Parigi Jean Tiberi, e non pochi altri dirigenti di secondo piano di vari partiti. Vi è anche, con possibili risvolti politici, il caso della ristrutturazione del Crédit Lyonnais, che vede indagati il governatore della Banca di Francia Jean-Claude Trichet, l’ex governatore Jacques de Larosière, e l’ex ministro delle Finanze Edmond Alphandery. E Jean-Christophe Mitterrand, figlio del Presidente, consigliere agli affari africani all’Eliseo dal 1986 al 1992, viene travolto dagli scandali politico-finanziari che dai tempi di De Gaulle avvelenano la “cooperazione” francese nel continente nero: quelli che lo riguardano sono solo alcuni dei più recenti, ma Jean-Christophe (nelle ex colonie maliziosamente chiamato “Papamadit”, Papà mi ha detto) alla fine del 2000 passerà qualche giorno in prigione.
I magistrati, che per tanto tempo sono rimasti fermi, o quasi, - un po’ per la sudditanza ministeriale, un po’ per mancanza di voglia, o di coraggio - ora sembrano intenzionati ad andare avanti, e a fondo. Qualcuno ipotizza, con una punta di malizia, che abbia giocato anche uno spirito di imitazione nei confronti dei colleghi italiani di Mani Pulite. Forse, ma i Paesi, pur se in parte simili, non sono eguali tra loro, E comunque gli scandali non li hanno inventati i magistrati. Resta da considerare la reazione dell’opinione pubblica, che finora per quello che si può intendere, sembra insieme attenta e perplessa. E poi, in Francia come in Italia, la cosiddetta “società civile” è sovente spinta a misurare la sempiterna questione morale con il metro dei propri interessi, i quali, checché se ne dica, non sono i medesimi per tutti. In questo senso, le elezioni amministrative del marzo scorso non hanno fatto molta chiarezza sul sentimento popolare:alcuni indagati sono stati largamente votati, altri, senza macchia, no. Del resto, anche la Storia ha una sua morale che con l’etica ha poco in comune: Danton, che rubava a man salva, è immortalato nel bronzo e nella pietra, Maximilien Robespierre, “l’incorruttibile”, non è ricordato nemmeno in una stazione di metrò.
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