home | noi | pubblicita | abbonamenti | rubriche | mailing list | archivio | link utili | lavora con noi | contatti

Giovedí, 22/10/2020 - 14:41

 
Menu
home
noi
video
pubblicita
abbonamenti
rubriche
mailing list
archivio
link utili
lavora con noi
contatti
Accesso Utente
Login Password
LOGIN>>

REGISTRATI!

Visualizza tutti i commenti   Scrivi il tuo commento   Invia articolo ad un amico   Stampa questo articolo
<<precedente indice successivo>>
maggio/2001 - Interviste
Tangentopoli/Francia
"Nessun complotto dei giudici"
di Daniele Soulez-Larivière

Un noto giurista d’Oltralpe, grande avvocato del Tribunale di Parigi, fa il punto sui rapporti giustizia-politica nel suo Paese: un’analisi che tocca anche la situazione italiana



Il termine Mani Pulite, in francese “mains propres”, rimarrà molto popolare per descrivere un fenomeno di “giudiziarizzazione” che l’Italia ha conosciuto negli ultimi otto anni del ventesimo secolo. Si è molto tentati di utilizzare questo termine, che esprime un concetto, in altri Paesi come la Francia, che sembra avere avuto delle evoluzioni paragonabili all’Italia, anche se lo sviluppo dei fatti non è del tutto il medesimo, nella loro consistenza ma egualmente nel loro futuro. In effetti, l’Italia non ha mai avuto uno Stato forte, a differenza della Francia dove la storia dello Stato comincia nel 13° secolo, si espande con la Rivoluzione Francese, e si completa nella sua forma giacobina, fortemente amministrativa e politica, con la Quinta Repubblica. Mani Pulite è stato un fuoco di paglia che ha distrutto molto sul suo passaggio, ma non è impossibile che la giustizia conosca ora un periodo difficile, magari persino di ripulsa, perché essa ha dato un’immensa impressione di potenza attraverso la violenza, mentre la capacità di tenuta del potere giudiziario si esprime attraverso altre vie più specifiche, più regolatrici e generali. Da questo punto di vista, la giustizia italiana non appare in condizioni molto buone, in particolare sul piano civile. Le inchieste di gennaio scorso mostrano che l’immagine della giustizia per qualche tempo è arretrata, si direbbe, dietro quelle della polizia e della chiesa.

In Francia, i “piccoli giudici” che hanno attaccato l’establishment politico ed economico continuano ad essere popolari, ma l’istituzione giudiziaria nel suo insieme è ancora criticata , dato che la modernizzazione del suo reclutamento, della sua formazione, delle sue procedure, non è sempre equivalente alla scala dei suoi nuovi poteri prodotti dall’evoluzione.

Per schematizzare l’argomento, diciamo che:

1) Il conflitto giustizia/politica era inevitabile tenuto conto dell’evoluzione della società;

2) Questo conflitto non è il risultato di un complotto dei giudici, ma di una evoluzione irreversibile della ridefinizione dei poteri;

3) Il problema è quello dell’adattamento dello strumento alla sua funzione ;

4) L’insieme della questione obbliga a riflettere di nuovo sulla legittimità dei giudici e sul loro inserimento nella vita nazionale.

1) La crisi era inevitabile. A differenza dei Paesi di “Commonlaw”, la Francia è un Paese nel quale la decisione giudiziaria interviene a posteriori e non a priori.

Questo significa che il giudice tradizionalmente era solo la voce della legge, e solo raramente concorreva alla produzione di norme. Dal 17° secolo, la Francia è passata da un possibile Stato di giustizia a uno Stato di finanza e di polizia, come lo descrive molto bene Blandine Kriegel nelle sue opere. La regolazione amministrativa ha sempre dominato la regolazione giudiziaria, la quale riguardava unicamente la repressione degli elementi pericolosi della società (i poveri), la proprietà fondiaria e le questioni della famiglia. Molto a lungo, l’economia e la politica hanno goduto di una certa extraterritorialità. Ne è risultato un sottosviluppo giuridico francese importante. Una popolazione di avvocati atomizzata, male organizzata e molto meno numerosa che in Inghilterra, in Germania, o in Italia. Dei giuristi di impresa in numero assolutamente insufficiente (4 o 5 volte meno che nei Paesi del G7). Praticamente nessun giurista di diritto privato negli ambienti amministrativi e politici. Neanche l'1% di giuristi nei gabinetti ministeriali.

Ora, la società è cambiata, per molteplici ragioni. Diciamo che, basilarmente, il cittadino non accetta più di muoversi secondo gli ordini amministrativi, e chiede molto più potere contrattuale, più individualismo, e dunque più arbitraggio giuridico. A livello europeo, la costruzione dell’unione si fa grazie al diritto comunitario e all’aiuto dei giudici. Lo Stato nazionale tradizionale si vede amputato di molti dei suoi poteri poiché più della metà della produzione legislativa dipende dall’unione. Dagli anni ’75, circa, il diritto conquista tutti i campi della società e riduce le diverse extraterritorialità, dallo sport, prima considerato troppo “ludico” per interessare il giudice, alla politica, prima considerata troppo rispettabile per doversi piegare alle regole generali dei codici civile, penale e commerciale. La deflagrazione era inevitabile, fra, da una parte, una “giuridizzazione” della società che spingeva avanti il giudice, e, dall’altra, un mondo politico sempre tradizionalmente ignorante del diritto e dei codici, al pari di molti altri ambienti culturali. Come diceva Michel Rocard, persino il Generale de Gaulle finanziava le sue campagne in maniera illecita agli occhi del diritto. Resta il fatto che dal 1965, con l’arrivo dei comunicatori di massa, i costi del funzionamento dei partiti politici e delle campagne elettorali si sono considerevolmente aggravati. Occorreva dunque sempre più denaro. Senza però che esistesse una regolamentazione, e senza che i partiti trovassero utile riflettere sul problema per trovare un quadro normativo serio destinato a permettere queste considerevoli raccolte di denaro.

In mancanza di un quadro giuridico, l’insieme dei doni ai partiti si effettuava dunque infrangendo la legge penale, e in particolare quella sugli abusi di beni sociali che consiste nel punire con pene di cinque anni di prigione i dirigenti di società i contributi delle quali non figurando nell’oggetto sociale sono necessariamente un’infrazione. Quanto a coloro che ricevono questi doni, sono qualificabili come ricettatori e giuridicamente condannabili a tre anni di prigione. Senza contare le ammende.

Questa depressione giuridica sul versante politico e questa compressione sul versante dei giudici doveva evidentemente portare a una deflagrazione. L’esplosione ha avuto inizio con il finanziamento del Partito Socialista negli anni ’90. Arrivati da poco al potere, i socialisti hanno voluto “moralizzare” il loro finanziamento attraverso la centralizzazione, in particolare con la creazione di una struttura addetta a questo compito (Urba). Questa centralizzazione ha reso molto più facile la repressione. La destra, con molteplici sistemi decentralizzati, è molto più difficile da controllare. È questa la ragione per la quale il turno non è ancora terminato, anche se ha avuto un serio inizio dal 1995. Gli specialisti ritengono che, tenuto conto del fatto vanno difficilmente in prescrizione, e che è difficile nasconderli, la Francia può essere scossa ancora almeno per una dozzina di anni da degli “affari” che, escludendo i casi di lucro, manifestano semplicemente un completo disadattamento di un sistema di finanziamento di tutta la struttura politica.

L’affare Elf ha segnato uno sviluppo più largo di questi controlli attraverso l’esame di una sorta di comportamento illecito nel funzionamento dello Stato, del quale la grande azienda petrolifera era in qualche modo, dalla sua creazione, lo strumento per trattare, grazie ai suoi immensi profitti, le operazioni “alte” e “basse” dello Stato stesso.

2) Nessun complotto dei giudici.

Anche in Italia si è immaginato che Mani Pulite fosse originato da un autentico complotto. I bene informati, gli eruditi, sanno che questo non è vero. Anche se dopo gli sviluppi delle prime inchieste del giudice Di Pietro, è evidente che si è creata un’intesa fra un certo numero di magistrati. Ma l’origine di queste inchieste non è un complotto, o una congiura. Si potrebbe dire che è il frutto del caso e della maturazione di un’epoca. Quella che segna la fine delle extraterritorialità giuridiche e giudiziarie.

Lo stesso fenomeno si è prodotto in Francia. Dei giudici hanno cominciato a prendere il diritto alla lettera, non per il gusto della provocazione e del complotto contro i politici, ma perché tutta l’evoluzione politica, economica e sociale li portava a farlo. È vero che durante duecento anni il potere giudiziario era sottoposto al potere politico, in particolare attraverso l’intermediazione della Procura, il cui compito principale consisteva nell’insabbiare gli affari degli amici, e di ravvivare quelli contro i nemici di chi era al potere. Con il passare del tempo, questa oscenità è divenuta sempre più difficile da sopportare. Ed è lì che i giudici hanno effettivamente commesso delle infrazioni alle loro regole, quando si sono alleati ai media per far saltare il coperchio della pentola. Poiché il tema era “se non calpestiamo un certo numero di regole sulla presunzione di innocenza e il segreto istruttorio, non raggiungeremo mai i nostri scopi”.

Questo aspetto di queste operazioni giudiziarie è evidentemente quello meno gradevole, dato che è sempre pericoloso far rispettare certi principi calpestandone altri. Questa alleanza media-giudici avrà del resto una durata limitata, il tempo necessario a che i giudici si oppongano ai media quando non saranno d’accordo tra loro, soprattutto quando i primi perseguiranno i secondi. O quando la repressione di alcuni soggetti sarà accolta con minore unanimità. In effetti, due poteri irresponsabili hanno sempre la vocazione a colpirsi reciprocamente.

Ma questa connivenza non può spostare l’essenziale. Non trasforma i giudici in cospiratori organizzati per far cadere i poteri politici. I giudici non sono altro che lo strumento di una profonda evoluzione della società verso l’eguaglianza giuridica , e un riequilibrio di forze nelle istituzioni. Il principio di eguaglianza consiste nel considerare che il diritto si applica a tutti, senza zone di esclusione o di franchigia. È lo stesso movimento che provoca delle condanne di politici, ma che porta anche in sé la volontà di riconoscere dei diritti ai detenuti. Il riequilibrio dei poteri consiste nel ricondurre uno Stato di finanza e di polizia, con i suoi arbitri, i suoi “uffici riservati”, i suoi privilegi, verso uno Stato di giustizia. L’aumento del potere del giudice non è che il risultato della fine del trionfante giacobinismo centralizzatore francese.

3) Un adattamento dello strumento giudiziario.

Sì, la grande difficoltà francese in questo momento consiste nel passare da uno Stato di sottosviluppo giuridico a uno Stato di sviluppo, senza però adattare gli strumenti giudiziari a una situazione in cui essi hanno molto potere, mentre sono stati creati in un momento in cui non ne avevano alcuno. La magistratura è ancora molto attaccata ai suoi brutali mezzi di coercizione, che sono la proceduta inquisitoria con il cumulo delle funzioni di giurisdizione e di investigazione sul capo del giudice d'istruzione, e un sistema poliziesco destinato a raccogliere la confessione. Dato che si tratta di un sistema brutale e arcaico che è stato il mezzo per far saltare un certo numero di coperchi, con in più l’alleanza dei media, ogni tentativo del potere politico di modernizzare questo strumento di lavoro appare subito come una volontà di auto-amnistia.

Si entra dunque nella seguente spirale. Il sistema penale francese è vecchio. Non è adatto a una società moderna molto più sofisticata e civilizzata. Però questo sistema si dedica a ridurre i comportamenti illeciti dello Stato, e a riportare la classe politica e quella economica nelle regole giuridiche La rappresentanza politica è terrorizzata dai giudici e non osa toccare il sistema, salvo con mezze misure. È questo il caso dell’ultima legge del 15 giugno 2000 che doveva essere la grande legge di trasformazione della procedura penale, così come l’aveva prevista il Presidente Chirac nel suo discorso di dicembre 1996. In realtà, il governo di sinistra, molto timorato, ha presentato un piccolissimo progetto che era solo la ripetizione di una legge abortita, votata dalla sinistra nel 1993, abrogata dalla destra nell’agosto, legge che mirava a togliere al giudice d’istruzione il potere di arresto. Il Parlamento, in seguito al cambiamento dei rapporti di forze all’interno della maggioranza, è finalmente riuscito ad imporre al governo un progetto di riforma più abbondante, senza però essere capace di ricostruire l’architettura del sistema, in particolare sopprimendo il giudice d’istruzione, affidando le investigazioni alla Procura, e aumentando i diritti della difesa.

Per il momento, dato che la brutalità del sistema si applica ai potenti, il pubblico applaude. Cesserà di applaudire quando finirà con l’identificarsi con quelli che sono vittime di questa procedura, o quando i media ne saranno essi stessi le vittime. Un leggero fremito in questo senso si è potuto osservare con gli arresti successivi di Michel Roussin, ex collaboratore di Jacques Chirac, e di Jean-Christophe Mitterrand, nello stesso mese di dicembre. I media hanno cominciato a criticare in parte i giudici, tanto più che alcuni dei loro rappresentanti nel corso dell’anno si erano visti messi in guardia dai giudici per ottenere le loro fonti di informazioni. Alcuni specialisti pensano che il giudice d’istruzione, al quale è stato tolto il potere di arresto per affidarlo a un altro giudice, il che non è razionale, è in via di estinzione. Un giorno si dovrà riuscire a sopprimerlo, come è stato fatto praticamente in tutta l’Europa negli ultimi venticinque anni.

In Italia, la procedura è stata cambiata dal ’90 per trasformarsi in sistema accusatorio. Ma non sembra che questa trasformazione sia maturata abbastanza per divenire quello strumento giudiziario adatto nello stesso tempo all’efficacia e a un certo numero di esigenze democratiche. Gli arresti roboanti, un certo numero di suicidi in carcere, mostrano chiaramente che la sofisticazione dipende dalla procedura, ma egualmente dallo spirito che anima i giudici e i procuratori. Essa dipende anche da una situazione politica nella quale la brutalità viene per un certo tempo applaudita, e la società è troppo dipendente da una visione semplicista in nero e in bianco. Resta il fatto che la struttura del sistema penale francese, essendo stata rivelata d’improvviso all’establishment politico ed economico che hanno potuto valutare alcuni dei suoi orrori, è certamente destinata ad evolversi a causa di questa presa di coscienza, e malgrado la debolezza del politico di fronte al processo alle intenzioni che gli viene fatto. Nonostante un attaccamento smisurato di una gran parte della magistratura ai suoi vecchi strumenti che hanno saputo darle la capacità di violenza necessaria per imporre il diritto a una classe dirigente che ne aveva troppo dimenticati gli obblighi e gli interessi, questo sistema arcaico e brutale cambierà.

4) Il problema di legittimità.

La questione è sapere se il metodo di formazione e di gestione del corpo dei giudici in Italia e in Francia è politicamente durevole. La risposta sembra essere negativa. L’Italia vive una confusione, come la Francia, delle funzioni del Tribunale e della Procura. Essa ignora ancora l’esistenza di una scuola nazionale della magistratura, ma i magistrati sono gestiti da un Consiglio superiore che è in qualche modo il loro governo. La separazione delle carriere del Tribunale e della Procura è un grande dibattito che il pubblico non comprende bene, essendo apparentemente tecnico. Eppure si tratta di separare la categoria degli accusatori da quella dei giudici, vale a dire di portare a termine una rivoluzione giudiziaria separando l’accusa dalla giustizia. Questa questione riguarda la legittimità perché, come afferma il detto anglosassone adottato dalla Corte di Strasburgo: “la giustizia non deve essere semplicemente la giustizia, deve somigliarle”. Questo obbligo di apparenza fa parte della legittimità in quanto questa è legata all’accettazione dell’autorità della giustizia. In Italia, un referendum del 21 maggio 2000, in mancanza del quorum, non è riuscito a operare questa divisione. In Francia, molti magistrati fanno resistenza, ma un numero sempre maggiori di magistrati del Tribunale, e in particolare 33 primi Presidenti di Corte d’Appello, si sono pronunciati a favore della separazione. L'Italia non ha una scuola della magistratura mentre la Francia si inorgoglisce di questa istituzione creata nel 1958. La quale ha un grave difetto, che è il seguente : se il giudice deve essere rispetto alla società in una posizione al di sopra delle parti, sarebbe necessario che egli abbia potuto avere per un certo periodo un’altra posizione, e che non passi subito dall’infanzia alla funzione di giudice. Ora, il 90% dei giudici francesi si trovano in questa situazione, sono dei giovani che lasciano i loro genitori per l’Università, poi lasciano l’Università per un tribunale, dopo ventotto mesi di Scuola della Magistratura. Questa formazione è basata in qualche modo sull’idea che una “patente di giudicare” può essere rilasciata a dei giovani che hanno superato un concorso, e questo a vita, senza nemmeno il passaggio di una scuola a metà della carriera, come avviene in campo militare con la Scuola di Guerra. La regolazione giuridica di domani sarà molto più delicata da realizzare, poiché non si tratterà solamente di emettere delle decisioni che siano applaudite dal pubblico e dai media. Quando si dovranno prendere di petto dei seri corporativismi, o degli interessi nascosti, o delle potenze che rifiutano, come i media, ogni responsabilità, bisognerà che i giudici siano maggiormente sostenuti dal pubblico, e che la loro autorità non sia confusa con la loro legalità. La Scuola della Magistratura in Francia è un bello strumento che però, attualmente, così come funziona, porta nei venti anni a venire a una crisi tra la nazione e i suoi giudici. Questo tanto più che il discorso corrente nella magistratura rifiuta assolutamente ogni discussione sul termine di legittimità considerato come un inganno destinato ad ostacolare il lavoro giudiziario. Il giudice tende sempre a vivere nell’onnipotenza del pensiero, e a fare astrazione dal fatto che la sua forza dipende largamente anche dalla sua legittimità simbolica, che fa accorrere i gendarmi quando egli fa schioccare le dita. Ora, la legittimità è un concetto duro come la cioccolata quando è fredda, e che fonde al primo colpo di calore. È di questo che oggi si tratta, e sul quale la riflessione è più povera, almeno in Francia. Senza dubbio in Italia le discussioni sul potere del Consiglio Superiore della Magistratura girano egualmente attorno a questo problema, che un giorno bisognerà bene affrontare. Ed è forse in Italia, dove la forza dei poteri giudiziari si è espressa in alcuni campi prima che in Francia, che la riflessione sarà più precoce. Certo anche perché, avendo i giudici e i procuratori già vissuto la loro bella stagione, la saggezza si affermerà prima.

Riassumendo, si tratta di sapere se i nostri giudici diversi dai nostri procuratori e formare due corpi reclutati in maniera diversa, e considerati come due parti nel processo. Si tratta poi di sapere come reclutare e formare i giudici altrimenti che con un concorso, e quale esperienza sociale può essere preliminare. Si tratta infine di sapere se il Consiglio Superiore della Magistratura deve o non deve essere staccato dalla società civile e politica. L’autogestione dei giudici è certamente il peggiore dei sistemi nella misura in cui finisce col creare una casta con delle ramificazioni occulte, non democratiche, e il tutto in una posizione quasi aristocratica, come sottolineava il Professor Michel Troper. Nella maggioranza dei Paesi democratici (Commonwealth, Germania, Stati Uniti), il giudice è collegato alla società civile e politica. La sua nomina proviene chiaramente da un luogo nel quale si esercitano democraticamente dei procedimenti di scelta , molto più democraticamente di un’assemblea costituzionale autonoma composta solo da giudici. In Francia, l’ultima riforma abortita del Consiglio Superiore della Magistratura aveva previsto un sistema di 21 membri con un voto di maggioranza per i non magistrati, Se dobbiamo continuare a pensare al Consiglio Superiore della Magistratura in termini di istituzione e non di luogo, di esercizio di scelta democratica, senza dubbio occorrerebbe immaginare un completo rovesciamento del concetto, e considerare che la quasi totalità dei membri di questo Consiglio dovrebbe essere formata da “laici”. Sono temi del dibattito di domani.



Daniel Soulez-Larivière, avvocato al Tribunale di Parigi, è tra i più reputati giuristi francesi, noto, oltre che per gli importanti processi da lui vinti, per la sua attività di studioso dei problemi della Giustizia. Autore di libri (in Italia è stato pubblicato, nel 1994, “Il circo mediatico giudiziario”, Ed. Liberilibri), collabora regolarmente ai quotidiani “Le Monde”, “Libération”, “Le Figaro”.

<<precedente indice successivo>>
 
<< indietro

Ricerca articoli
search..>>
VAI>>
 
COLLABORATORI
 
 
SIULP
 
SILP
 
SILP
 
SILP
 
SILP
 
 
Cittadino Lex
 
Scrivi il tuo libro: Noi ti pubblichiamo!
 
 
 
 
 

 

 

 

Sito ottimizzato per browser Internet Explorer 4.0 o superiore

chi siamo | contatti | copyright | credits | privacy policy

PoliziaeDemocrazia.it é una pubblicazione di DDE Editrice P.IVA 01989701006 - dati societari