Un recente libro, scritto da un poliziotto, ripercorre le tappe non sempre facili che portarono all’approvazione della Legge 121/81: per questo immagina di narrare i ricordi di un tutore della legge ormai in pensione
Un poliziotto “carbonaro”, in pensione, ripercorre le tappe più importanti della sua vita attraverso un puntuale preciso racconto, che lo vede prima giovane e spensierato nella sua terra natia, e poi protagonista inconsapevole di un eccezionale evento storico.
Egli, infatti, decide di reagire per riscattare se stesso e gli altri, conquistandosi un ruolo di primo piano in quello che si andava delineando come l’embrione dal quale poi si svilupperà il Movimento sindacale della Polizia, e la sua smilitarizzazione. L’Italia agli inizi degli anni ’70 era ancora uno dei pochi Paesi democrativi occidentali ad avere un Polizia militarizzata, pervasa di principi autoritari e paternalistici.
Già, ma come era la vita nella Polizia in quegli anni? Lasciamo parlare questo poliziotto.
“Una vita dura, senza diritti né certezze, con la sola convinzione e determinazione di cambiare le regole. Non potevo accettare passivamente di essere trattato come una bestia, di subire angherie e ricatti. Per questo decisi di ribellarmi, o quantomeno di provarci, per riscattare me e gli altri. Adesso, che ho appeso la divisa al chiodo, mi assale il desiderio irreprimibile di ritornare nei luoghi a me famigliari, dove ho trascorso buona parte del tempo in cui sono stato alle dipendenze del ministero dell’Interno. Sono impaziente di rivedere Carlo un vecchio collega “carbonaro” che aveva condiviso insieme a me molte delle battaglie che portarono alla smilitarizzazione della Polizia ed alla sua sindacalizzazione. Approfittando della prima occasione, ritorno dopo alcuni anni nella caserma “Ferdinando di Savoia” che ospita ancora il primo Reparto Mobile. Alla vista di quell’antico portone, maestoso e solenne, vengo pervaso da un intenso brivido, le gambe diventano tremolanti e la voce un po’ roca. Mostro la mia tessera di pensionato ad un giovane agente dai modi cortesi che dopo aver ascoltato la mia richiesta mi fa accomodare nell’ampio corridoio. Quante cose sono cambiate da allora. L’aria è diversa, l’atmosfera rilassata. Dov’è quel luogo tetro e lugubre di tanto tempo prima? L’enorme piazzale è pieno di luce. Dalla finestra di una delle grandi sale fuoriescono motivi musicali che si irradiano per tutta l’area: la banda musicale perfeziona alcuni brani del suo repertorio. Qua e là gruppetti di giovani poliziotti dall’aspetto sereno che scherzano tra di loro...”
Forse qualche differenza c’è fra la caserma di allora e quella di oggi.
Ecco, ancora, dal vecchio tutore della legge ormai in pensione, le sue impressioni.
“Con il passare dei giorni mi assaliva sempre più la malinconia. Quelle condizioni di vita erano veramente difficili da accettare. Eravamo reperibili di giorno e di notte. Dormivamo con gli scarponi ai piedi pronti ad alzarci per qualsiasi evenienza. Una routine faticosa in cui c’era poco tempo per se stessi. Antonio qualche volta si abbandonava a momenti di sconforto: gli mancava la famiglia, la sua vita e, soprattutto, Liliana. Si rendeva conto che prima di poter concretizzare il suo sogno sarebbe dovuto passare tanto tempo. Ci fu rappresentato che i poliziotti potevano sposarsi soltanto a ventotto anni: bisognava aspettare quindi più di otto anni. Mi chiedevo se ce l’avesse fatta a resistere. Era assurdo, incomprensibile, attendere tutto questo tempo, in una situazione di incertezza, quasi di anonimato. Lontani dalla propria terra, dai riferimenti più importanti, più che mai si avvertiva l’esigenza di una casa propria per godere di quei pochi attimi di intimità che questo lavoro ci negava.
In caserma, nei pochi momenti di pausa, ci trascinavamo stancamente da un corridoio all’altro, in modo quasi meccanico. Lo sguardo spaziava al di là delle grandi finestre dell’edificio, alla ricerca di qualche stimolo, di qualche emozione che ci potesse distogliere da quella contagiosa apatia in cui eravamo sprofondati...”
Ma poi, fra gli stessi poliziotti, comincia a farsi strada una certa volontà di cambiare le cose, di cambiare la Polizia, per renderla più efficiente. E il personaggio del libro, così ricorda.
“Un giorno, dopo aver letto un articolo particolarmente spinoso pubblicato su ‘Ordine Pubblico’ decisi di conoscere di persona il direttore del ‘mensile’ Franco Fedeli, preoccupato tra l’altro dall’acuirsi del malcontento tra i poliziotti. Era il mese di agosto, ed in una città soffocata da un caldo africano, dopo aver annotato l’indirizzo della redazione, mi incamminai verso il civico 65 di Via Napoli, a pochi passi dal ministero e dalla questura. Mi qualificai come Guardia di Pubblica Sicurezza e chiesi a Fedeli, se poteva dedicarmi un po’ del suo tempo, dicendogli di aver letto un suo articolo del quale volevo appunto parlare. Ricordo che le mie parole furono esattamente queste: ‘Condivido pienamente l’iniziativa che sta portando avanti, vorrei anch’io fare qualcosa di concreto per modificare dall’interno l’Istituzione in cui opero considerato che il clima di scontentezza è generalizzato’. Mi fece accomodare in un angolo del suo studio e si mise ad ascoltarmi in silenzio prestando particolare attenzione a tutto ciò che dicevo. Parlai per circa due ore, senza venire mai interrotto. Alla fine del mio lungo racconto ero pervaso da una strana sensazione. Era la prima volta che esternavo alcune tematiche che da tanto tempo mi ronzavano nella mente, ma che non potevo condividere con nessuno, se non con mia moglie. Lui per tutta risposta, mi disse che tutto quello che avevo espresso era giusto, ma che per giungere a dei risultati tangibili bisognava procedere con calma e a piccoli passi: il tratto di strada da percorrere era ancora lungo e cosparso d’incognite. Aggiunse che già dal 1970 altri poliziotti motivati e temerari avevano preso contatti segreti con lui per avviare un dialogo costruttivo che portasse alla riforma della pubblica sicurezza. ‘L’opera di sensibilizzazione dell’intera categoria costituisce l’elemento cardine per sostenere le istanze riformatrici ed affrontare un discorso teso a modificare l’attuale sistema’ - puntualizzò Fedeli. Era questo l’aspetto principale su cui bisognava insistere e non era una cosa facile da mettere in pratica. Fu un approccio decisamente positivo, quello con il giornalista ‘rivoluzionario’: nome che gli era stato attribuito da tutti coloro che non condividevano le sue idee. Avevo trovato in quest’uomo, così carismatico, una grande apertura. Al mio personale e legittimo interrogativo, se potevo fidarmi o meno di lui, prevalse un istintivo consenso, che mi spinse ad aderire ciecamente alle sue proposte. Fedeli, tra l’altro, non perse tempo e mi invitò a ritornare in redazione la sera seguente: desiderava presentarmi gli altri colleghi che stavano costituendo la prima cellula di una organizzazione ‘clandestina’ ancora tutta da delineare. Mi raccomandò inoltre di non far parola con nessuno di quello che ci eravamo detti e di usare ogni precauzione per non mettere in pericolo quel poco che era stato fino ad allora realizzato. Benché si percepisse una inevitabile e reciproca diffidenza, giustificata dalla limitata conoscenza, ci salutammo con una energica stretta di mano, fissandoci negli occhi. Durante il percorso verso casa, ero pervaso da una intensa e stimolante carica interiore che mi spingeva ad attivarmi subito. Qualcosa, mi incoraggiava a credere che i tempi stavano maturando e che l’alba di quel nuovo giorno che tanto avevamo sognato non era poi così lontana...”
Insomma, questo è un bel libro che molti poliziotti che parteciparono al Movimento dovrebbero leggere.
Gli autori, Giuseppe Sergio Balsamà (siciliano, in servizio alla Squadra Mobile di Roma) e Mario Ciotti (giornalista e scrittore), hanno dato vita ad un personaggio che, nella narrazione, vive e soffre gli anni bui del suo ingresso nel Corpo e poi quelli esaltanti delle lotte per la Riforma.
“Angeli ribelli - la storia di chi cambiò la storia” (Edizioni AEP - £ 15.000) in sostanza è l’emozionante storia di una vita spesa per un ideale, quello di un poliziotto che ha lottato insieme con gli altri colleghi per “sovvertire” un sistema anacronistico.
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