Cosa posso dire di Franco Fedeli? Non ci sono parole che possano lumeggiare la sua statura morale, il suo grande amore per la gente, il suo modo di sentire e capire le sofferenze morali e fisiche del popolo dei poliziotti dell’immediato dopoguerra, trattati o meglio bistrattati come soldati di ventura, feriti nell’onore e defraudati della loro dignità.
Franco è stata la bandiera, l’antisignano e la voce della riscossa dei proletari poliziotti.
È stato lui, coi suoi scritti, i suoi dibattiti, i suoi interventi a formare la coscienza di uomini perduti nel duro ed indefesso cammino, di tutori della legge, di guardiani dello Stato, di questo Stato per il quale hanno lottato affinché rimanesse libero e democratico, lavorando in un contesto sociale difficile, fosco e tortuoso.
Ricordo quando lo conobbi nel lontano 1974, rimasi incantato dalla sua eloquenza concreta, dal suo spiccato senso del realismo, dal suo grande e nobile ideale verso il bene dello Stato e dei suoi difensori.
È riuscito, dopo immani fatiche, a scuotere le coscienze dei poliziotti e riformare il Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza, (relegato nel piccolo mondo monocratico) contribuendo fattivamente a renderlo democratico e più vicino alla gente, al popolo.
Qui a Catanzaro, terra del profondo e bistrattato Sud, un gruppo di poliziotti da me capeggiati, si riuniva in clandestinità e nel 1976 nasceva il primo Comitato (il sindacato di Polizia in embrione) lentamente, faticosamente cominciava a nascere prima nelle nostre coscienze rivificati da Fedeli, indi, nelle caserme (ancora militari), nelle questure, nei più remoti posti di lavoro.
Voglio ricordare, soprattutto ai giovani poliziotti e agli immemori, che il Siulp nasceva in Calabria, come altrove, come reazione alle condizioni di vita e di lavoro avvilenti dei poliziotti, che specialmente nel profondo Sud, venivano considerati cittadini di “serie B”.
Quante sofferenze subite, ricordo quando prestavo servizio presso il Reparto Mobile di Bari e venivamo caricati su camion forniti di panche di legno e coperti con laceri tendoni, per andare a contrastare i lavoratori scesi nelle piazze per reclamare un pezzo di terra, incolta, di proprietà di grossi latifondisti opulenti e strafottenti.
Ci gettavano addosso monetine, in segno di disprezzo volendo significare che i nostri corpi e forse anche le nostre anime, l’avevamo vendute per un misero piatto di lenticchie.
Per fortuna i lavoratori oggi hanno capito che anche noi facciamo parte del mondo del lavoro e non siamo più dei robot e la Polizia ha capito di avere errato, nel passato, col dimostrarsi violenta, arrogante, chiusa ad ogni dialogo democratico, sorda e cieca verso i profondi bisogni del popolo, uscito dalla guerra con le ossa rotte.
Questa presa di coscienza dei poliziotti, questa ventata di democrazia su di un Corpo chiuso ed ostico, è stato in grande misura il frutto delle lotte sostenute da Fedeli che spesso ha pagato con umiliazioni, come l’allontanamento dalla rivista “Ordine Pubblico”, ad opera di piduisti, grigi grifoni, ottusi papaveri che imperversavano nel palazzo: lui con coraggio ha saputo reagire fondando altra rivista da cui poi si è allontanato per fondare l’attuale pubblicazione “Polizia e Democrazia”, libera ed indipendente da ogni vincolo; alla nascita della quale, hanno contribuito tanti poliziotti grati per l’opera di Fedeli, che non ha prezzo.
Anche io in Calabria, nel mio piccolo ho combattutto, a tutti i livelli, i soprusi ed i privilegi e le infamie perché, lo dico con orgoglio, forgiato nella scuola di Franco Fedeli, uomo giusto e angelo dei poliziotti, bisognosi di recuperare la loro personalità.
Oggi i cittadini italiani, compresi i tutori della legge, vorrebbero una società più giusta in una democrazia sana e forte, dove si abbia il coraggio di premiare chi merita, ma anche punire chi demerita. Fedeli si era accorto ed aveva capito che i sacrifici suoi e di noi che lo seguivamo, venivano stracciati ed umiliati dal clima di antiriforma che ancora oggi aleggia nella Polizia di Stato, ad opera dei soliti falchi neri rigeneratisi come l’Araba fenice.
Questo succede perché non esiste un unico sindacato pensante, come propugnato da Fedeli ed anche da chi scrive, naturalmente con le differenziazioni all’interno. Ci sono oggi due dozzine di sindacatini che hanno indebolito la forza di coesione, facilitando la volontà di chi divide per imperare, dei conservatori, che, purtroppo ancora contano, a dispetto dell’attuale Capo della Polizia, uomo illuminato e democratico.
Ricordo che in una delle tante assemblee, molti di noi poliziotti proponemmo a Franco Fedeli di candidarsi alle elezioni politiche, ma lui sdegnosamente rifiutò. Adesso capisco, più di allora, che il suo abito mentale era: giustizia e democrazia, difesa degli oppressi; voleva troppo bene ai poliziotti, fossero essi Carabinieri, Agenti di Custodia, Agenti di Ps, Finanzieri. È infatti anche per loro che ha fatto tante lotte e molte coronate da successo, per loro, non bisogna dimenticarlo, ha sacrificato gli anni migliori della sua vita.
Mi duole di non aver potuto dare l’estremo saluto a Franco, perchè impedito da grave malattia (sono portatore di quattro by-pass e, all’epoca, mi trovavo in ospedale colpito da infarto).
Comunque, Franco è nel mio cuore e per me non è scomparso, ma è sempre vivo in me.
A tutti voi di “Polizia e Democrazia” saluti con tutto il cuore, in particolare a Ettore Gerardi fedele amico di Franco ed anche lui paladino della giustizia e difensore dei tutori della legge.
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