Il Comitato per la riaffermazione dei valori della Riforma ha ritenuto opportuno dar vita alla iniziativa di Vasto non per sentimenti di nostalgia e per un amarcord, che avrebbe comunque motivo di esistere, ma per l’esigenza avvertita da molti operatori delle Forze di polizia di verificare, con grande serietà ed obiettività, l’applicazione della Legge 121/81, in relazione ai principi di democrazia che l’ispirarono.
Più che la legge, che ebbe un iter piuttosto lungo e complesso, andrebbero riletti gli atti parlamentari, per riflettere e rivedere l’atteggiamento delle varie forze politiche a fronte di una pressione, che aveva radici nelle giuste rivendicazioni della base della pubblica sicurezza che si presentava non solo compatta nelle sue componenti, ma animata da uno spirito nuovo, aperta al dialogo ed impegnata sul fronte sociale, non per ottenere benefici alla categoria, ma per portare mutamenti in tutte le Forze di polizia, affinché le stesse potessero operare dignitosamente nell’interesse di tutti i cittadini.
Qualsiasi critica si voglia fare alla legge secondo personali convincimenti, su un punto non ci saranno obiezioni da sollevare: la riforma nacque per la volontà e la fede nella democrazia della maggioranza dei poliziotti e questa è la linea guida del provvedimento.
Fu e doveva essere riforma trainante nel percorso di affermazione democratica delle istituzioni, ma incontrò molti ostacoli sia per la difficoltà di emanazione dei decreti attuativi, per i quali si lavorò per anni, sia per successive “evoluzioni del pensiero”. Evidentemente i poliziotti avevano vinto la battaglia parlamentare, ma non avevano convinto tutti i responsabili dei dicasteri.
A distanza di venti anni ci ritroviamo con molti problemi insoluti (e ciò potrebbe anche non stupire, visti i tempi di attuazione di tante leggi) ma soprattutto ci troviamo a dover assistere ad un mutamento di indirizzo, che ci preoccupa non poco. Avendo lottato per anni per fare chiarezza, riteniamo sia doveroso e coerente da parte nostra, porre alcune questioni di carattere generale, per stabilire come si intenda realizzare e organizzare - nell’immediato futuro - il servizio di Polizia.
Per noi sono tuttora validi i principi della Riforma. È così anche per altri? Abbiamo, in proposito, molte perplessità.
Convinti come siamo che nella Legge 121/81 sono state poste le basi per una Polizia democrativa a livello europeo, abbiamo assistito ad un susseguirsi di provvedimenti, forse superflui, enunciati come innovativi, per quel che riguarda l’organizzazione delle banche dati, delle sale operative comuni e tanti altri punti, mentre non restava che dare attuazione a quello che già il Parlamento aveva sancito.
Abbiamo seguito con interesse - senza apprendere nulla di nuovo - molti dibattiti sul problema del coordinamento per il mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica, mai risolto concretamente, non per carenza di norma, ma per assenza di volontà politica; non per la base di tutte le Forze di polizia fraternamente accomunate nel quotidiano lavoro, ma per incomprensioni e pretese di vertice.
Abbiamo anche registrato un possibile equivoco su questo problema, in quanto giustamente lo si lega ad una situazione di carattere generale, ma non si sottolinea - a nostro avviso - a sufficienza che è nel campo dell’ordine e della sicurezza pubblica che le Forze di polizia vanno a coordinarsi, secondo l’indirizzo che è nella piena responsabilità del ministro dell’Interno, mentre nel campo della Giustizia, il coordinamento è onere esclusivo della magistratura.
Data la delicatezza del tema, avevamo sostenuto, e sosteniamo ancora, l’esigenza del prevalere di un indirizzo civile nell’azione del produrre sicurezza, in linea con gli altri paesi europei, distinguendo il lavoro di polizia dall’azione militare.
Ci ritroviamo, invece, ad indicazioni del tutto diverse e preoccupanti.
Analogamente, avendo conquistato per le donne un trattamento di assoluta parità e avendo verificato come sia stata valida la loro presenza a tutti i livelli, senza limitazione alcuna, senza particolarismi o altro (è uguale in Polizia anche il cappello e c’è qualche modifica - per ovvi motivi - solo nelle giacche), ci troviamo ad ascoltare come sia da celebrare l’ingresso delle donne nell’esercito, che prevede divise di gala e “molti omaggi”, ma è un passo indietro di fronte alle pari opportunità, essendo stretti i vincoli per la limitazione dei posti e per le reali concrete barriere poste alle poche fortunate, perché possano operare serenamente e naturalmente come fanno da anni le donne poliziotto, le donne della Polizia Penitenziaria, della Polizia Forestale, che portano disinvoltamente divise non firmate.
Vogliamo confrontarci su questi e altri temi, non per rivendicare la validità di una azione che costò anni di sacrifici, di lotte e denuncie, non per ricordare coloro che oggi non ci sono più e che credettero nella Riforma, come elemento di riscatto per una Polizia vilipesa, sfruttata e utilizzata senza scrupoli da un potere arrogante, sottoposta al ricatto dello status militare, ma per verificare cosa realmente si vada attuando e se siano rispettati quei principi per i quali si sono battuti migliaia di poliziotti e che sono i soli per i quali è possibile dare al Paese una Polizia all’altezza dei suoi compiti, nell’interesse di tutti i cittadini, sostenuta nella sua dignità e forte per il riconosciuto impegno e per un rinnovato entusiasmo delle sue componenti, che vanno rivalutate per quello che già hanno dato, per quello che fanno e per quel che potenzialmente potranno ancora far vedere.
Eugenio D’Alberto - Vasto
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