La Gazzetta Ufficiale n. 100 del 10 aprile 1981 riportava il testo del “Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della Pubblica Sicurezza”: un evento legislativo impensabile appena qualche anno prima.
L’Istituzione tornava civile (dopo circa quarant’anni di “stellette”) e veniva riconosciuta la libertà sindacale, seppure “attenuata” in certi punti. Cosa è accaduto in questi due decenni? È cambiata la Polizia? Quali punti della Riforma sono rimasti disattesi? Rispondono, a cominciare da questo numero, i testimoni e i protagonisti di quella esaltante battaglia democratica
Aprile 1981. Aprile 2001. Sono passati vent’anni dal varo della legge numero 121, la Riforma che ha trasformato la vecchia Pubblica Sicurezza in Polizia di Stato. Vent’anni sono tanti e pochi al tempo stesso. Pochi se guardiamo la storia dell’umanità e del mondo naturale nei loro grandi cicli millenari. Tanti, se si pensa alla rapidità dei cambiamenti della società contemporanea e alla profondità delle trasformazioni culturali ed economiche.
La Riforma è stata un fatto storico per l’Italia, un evento poco compreso come tale. Venti anni per applicare una legge sono tanti, e, infatti, la Polizia è totalmente cambiata e con essa le politiche della sicurezza e dell’ordine pubblico. Ma nello stesso tempo si potrebbe affermare che venti anni sono stati pochi. Spicca, infatti, un dato: la legge 121 è rimasta – in alcune sue parti e per alcuni aspetti tecnico-politici - “un’incompiuta”. Alcune direttrici (come il reale coordinamento tra le Forze di polizia, per esempio) non sono state applicate completamente, come avrebbe voluto lo spirito del legislatore, non certo per sciatteria o malignità di qualche politico, quanto piuttosto a causa della sua stessa natura di legge aperta, un testo che avrebbe dovuto essere capito e assimilato prima di tutto dal punto di vista culturale, poi applicato e realizzato a pezzo a pezzo. Nonostante il carattere di incompiuta, la 121 continua, paradossalmente, a dar fastidio e oggi è apertamente rimessa in discussione da varie parti, cosicché la sua vita, il suo futuro non sono più scontati. Anzi, come ogni riforma che si rispetti, potrebbe avere presto una sua “controriforma”. Alcune avvisaglie le abbiamo già notate e fanno parte della cronaca. Per questo abbiamo ritenuto utile fissare dei punti che ci servano a riflettere sugli errori del passato e magari possano dare qualche strumento di conoscenza.
La Riforma dell’81 è stata un fatto storico per l’Italia per vari motivi. Ricordiamo qui i principali solo per cominciare a riordinare i ricordi e le idee. Con questo numero della rivista, tra l’altro, cominciamo a pubblicare i contributi che abbiamo chiesto sul quel periodo storico ai protagonisti, ai poliziotti del Movimento dei “carbonari”, ai sindacalisti e ai politici. Con quella legge – che pure rappresentava un compromesso tra le richieste del Movimento dei poliziotti e gli equilibri politico-partitici – la Polizia italiana è stata smilitarizzata, introducendo la libera sindacalizzazione. Prima di allora il Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza non era mai stato riformato e con la smilitarizzazione si interveniva per sanare un’anomalia che si era determinata con la crisi del regime fascista. Nella storia dell’Italia unita la Polizia non era mai stata militare, neppure durante il ventennio fascista. Era stata invece militarizzata nel 1943 con il decreto Badoglio, che temeva fughe e possibili defezioni dei suoi uomini. Poi però la guerra è finita, la Resistenza e gli Alleati hanno sconfitto Benito Mussolini e la sua dittatura. L’Italia tornava ad essere un Paese libero capace di ricominciare a pensare al futuro. Ma ci si era “dimenticati” un piccolo particolare: la Polizia era rimasta militare. Una Forza con le stellette, come i Carabinieri che facevano però parte dell’Esercito italiano. L’Italia del dopoguerra rappresentava dunque un’anomalia nell’Europa liberata: era rimasta cioè l’unico Paese con una Polizia militare preposta all’ordine pubblico. Anzi con due Polizie militari. Tutti gli altri Stati avevano invece ben distinti i compiti delle Forze armate dalle Forze di polizia civili.
Con la legge 121 si è posto dunque fine a un periodo lungo (quasi quarant’anni) in cui, proprio mentre si viveva la ricostruzione e la successiva modernizzazione che ha portato il Paese ai livelli di sviluppo di tutti gli altri occidentali, la Polizia rimaneva un Corpo separato, organizzato in base alle regole militari e in fondo sempre pronto a essere usato come un esercito in caso di conflitti sociali. La Polizia di Scelba, da questo punto di vista, non è stata un’eccezione, un incidente della storia. Per questo la smilitarizzazione della Pubblica Sicurezza non si può rileggere solo come un fatto organizzativo interno, una questione di gradi e di rottura di quel muro di separazione che ha messo da sempre gli uni contro gli altri gli uomini. Si è trattato, prima di tutto, di un grande fatto di cultura politica: con la smilitarizzazione la Polizia non è diventata più debole e meno rassicurante come potrebbe pensare qualche sprovveduto, innamorato dei cliché da film di guerra o da super-eroica. La Polizia è diventata invece uno strumento civile al servizio dei cittadini e non contro i cittadini (o meglio contro una parte di essi). Con lo status militare il potere politico avrebbe potuto usare (e lo ha fatto) la Polizia anche in funzione antidemocratica. E se magari qualche poliziotto fosse stato assalito dai dubbi e dalle perplessità nell’eseguire gli ordini, c’era sempre il Tribunale militare pronto: condanne, destituzioni, punizioni, trasferimenti.
È stato merito di un piccolo manipolo di uomini arrivare a questo risultato. Tra loro c’era Franco Fedeli, il fondatore della rivista che state leggendo. Era un giornalista molto esperto, che si era formato proprio tra gente con le stellette. Aveva fatto l’inviato di guerra, il fotografo in luoghi pericolosi, il giornalista e il direttore in riviste specializzate. Franco, insomma, conosceva molto bene i militari, la filosofia della caserma, la potenza dei gradi e delle parate militari. Ma era un democratico convinto, un “militante” della Costituzione e dei diritti dei lavoratori. L’incontro tra lui e alcuni poliziotti che in modo assolutamente clandestino stavano cercando di organizzarsi e due o tre politici convinti, hanno determinato la scintilla che ha portato alla Riforma. Si sono incontrate, quasi per miracolo, due esigenze. Da una parte la volontà dei poliziotti (certo, di una parte di essi) di emanciparsi dalla loro storica condizione di subalternità sociale e culturale (“state attenti che vi rispediamo nei campi”, usavano dire i superiori alle guardie). Dall’altra la volontà di una parte dei sindacalisti e dei politici italiani di “democratizzare” la Polizia per farla uscire dalle caserme e utilizzarla davvero come forza civile al servizio dei cittadini.
Ci sono volute decine e decine di riunioni clandestine, semiclandestine o camuffate. Incontri tra poliziotti e politici, articoli, lettere, comunicati e vere e proprie invenzioni organizzative. Ci sono volute anche tante manifestazioni e cortei in cui i poliziotti, ancora militari, sfilavano con il volto coperto. Ci sono voluti tanti piccoli e grandi gesti di coraggio da parte di poliziotti che durante le manifestazioni degli studenti o degli operai cominciavano a svincolarsi dall’ordine di attaccare, subendo le relative punizioni dei superiori. È stato necessario un coordinamento continuo da parte di alcuni che erano diventati punti di riferimento insieme a Fedeli, che si è girato l’Italia in lungo e largo per costruire la “rete”, in un’epoca in cui la grande Rete elettronica faceva i suoi primi passi timidi dall’altra parte dell’Oceano tra i computer delle Università americane. Poi, piano piano, la legge ha preso forma, è stata scritta, è atterrata in Parlamento, è stata votata e approvata. La Gazzetta Ufficiale contenente il “Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della Pubblica Sicurezza”, legge n.121, è datata 10 aprile 1981.
Con quella disposizione il Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza e il Corpo di Polizia femminile erano sciolti. Al loro posto nasceva la Polizia di Stato, smilitarizzata, aperta alle donne, aperta alla sindacalizzazione. Quest’ultimo punto, la possibilità per i poliziotti di avere un proprio sindacato, è stato ovviamente uno dei punti più controversi della legge. La 121 attribuisce agli appartenenti alla Polizia di Stato, per la prima volta, il diritto di associarsi in sindacati. I poliziotti però non possono iscriversi “a sindacati diversi da quelli del personale di Polizia, né assumere la rappresentanza di altri lavoratori”. Con la legge si escludeva pertanto anche il collegamento organizzativo con altri sindacati. Il Siulp, storicamente il primo sindacato di Polizia in Italia, nascerà dunque come sindacato unitario ispirato alla concezione confederale di Cgil, Cisl, Uil.
Agli appartenenti alle Forze di polizia erano poi confermati i diritti politici che spettano a tutti gli altri cittadini. Anche i poliziotti hanno il diritto di presentarsi come candidati alle elezioni politiche e amministrative. Ai poliziotti – che a quel tempo, come potete leggere dalle schede che pubblichiamo in queste pagine, erano pagati un terzo di ciò che percepiva un insegnante – sono riconosciuti anche diritti economici e sindacali. Sarà progressivamente aumentato lo stipendio (che oggi è equiparato a quello degli insegnanti di scuola superiore) e sarà introdotto, anche questa una novità assoluta: l’orario di lavoro.
Per tutte queste cose la legge 121 ha modificato radicalmente la situazione. La condizione attuale del poliziotto, il suo rapporto con la società, non hanno niente a che vedere con la situazione di venti anni fa. È sugli aspetti più tecnici e operativi che la legge non ha prodotto ancora tutti i risultati che avrebbe potuto produrre. I punti più critici rimangono, infatti, il coordinamento, l’organizzazione del lavoro (ovvero l’impiego del personale) e la formazione. Si tratta di aspetti centrali che non devono essere per niente sottovalutati. E sono aspetti che non solo hanno avuto in questi venti anni sviluppi discontinui, ma che rischiano oggi – come dicevamo all’inizio - di essere stravolti. Le ultime leggi approvate, compresa quella che attribuisce ai Carabinieri lo status di Quarta Forza Armata, cambiano il quadro dei rapporti tra le diverse Forze di polizia. Così come una certa politica della sicurezza potrebbe portare a cambiamenti anche notevoli nell’utilizzazione e nell’inquadramento della Polizia di Stato. Potrebbe perfino cambiare la politica dell’ordine pubblico e la gestione della sicurezza nelle diverse città. Potrebbero infine cambiare i ruoli e le funzioni nel campo della giudiziaria e della Polizia investigativa, così come sono rimessi in discussione i rapporti con la magistratura.
Molte cose sono successe in questi venti anni e il racconto lo potrete trovare anche negli articoli dei protagonisti che cominciamo con questo mese a pubblicare. Molto si poteva fare e non si è fatto, molte conquiste sono state invece ottenute. Molte cose potrebbero ancora succedere. La nostra convinzione riguarda però le grandi conquiste di civiltà che la 121 ci ha consegnato insieme alla rivoluzione culturale della categoria. Una categoria di operatori della sicurezza che è cambiata così da riuscire a toccare punte di eccellenza. Crediamo che da qui non si debba né si possa tornare indietro.
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