Scandalo a Savile Row, la piccola strada nei pressi di Piccadilly Circus regno universalmente riconosciuto dell’eleganza maschile stile “british”: dai tempi di Lord Brummel, qui una decina di sartorie dettano legge su come deve vestire un gentiluomo se vuole apparire tale, e a Savile Row da ogni parte del mondo vengono personaggi di ogni tipo per ordinare, a caro prezzo, abiti su misura. Richard James, a Savile Row dal 1992, è uno di questi sarti celebrati e riveriti, anzi potrebbe considerarsi una sorta di “primus inter pares”, dato che nell’ottobre 2008 il British Fashion Council lo ha nominato “sarto dell’anno”: oltre che nel suo negozio-sartoria, i suoi abiti sono venduti da Harvey&Nichols e da Harrods, lussuosi grandi magazzini della capitale, e nelle più prestigiose boutiques maschili di tutto il mondo, a prezzi che variano dai 600 ai 2500 euro.
E ora Richard James, in seguito alla denuncia di un sarto rivale, Tony Lutwyche, è stato oggetto di un’indagine del Trading Standards, l’ufficio del governo britannico che controlla il rispetto delle regole commerciali, e privato del diritto di porre ai suoi abiti la fatidica etichetta “made in England”. Motivo: da due anni giacche, pantaloni e panciotti vengono confezionati in Africa, nell’isola di Mauritius, dove ovviamente la manodopera è molto meno cara, e poi inviati in Inghilterra dove vengono solamente cucite le maniche e attaccati i bottoni. Un portavoce ha affermato che la celebre sartoria “non ha fatto niente di male”, il che sotto un certo aspetto può essere vero dato che il valore di un abito dipende da come è fatto, non da chi lo ha fatto. Comunque, Richard James ha deciso di continuare a produrre in Africa, rinunciando alla nobile etichetta distintivo dell’eleganza inglese.
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